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BANCHE: CAMBIARE O MORIRE (di Nino Galloni)

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La contabilità bancaria è falsa: la banca, quando fa un prestito incredita se stessa e indebita il prenditore. Ha bisogno dei soldi veri dei risparmiatori per reggere i vincoli di capitale (una misura del tutto arbitraria decisa a tavolino dalle autorità) e gestire le domande di cash dei clienti; depositi e conti correnti sono partite che non possono venir saldate contemporaneamente per tutti, ma appunto, in piccolissime percentuali nell’unità di tempo; se manca liquidità, oggi, le banche non si aiutano più l’una l’altra, ma intervengono – contro titoli anche tossici, anche tossicissimi, collateralizzati – le Banche Centrali. Quindi non ci sono perdite, sofferenze ed incagli, ma solo mancati arricchimenti. Le banche lo sanno benissimo, ma temono di perdere – se accettassero quanto la buona teoria segnala da decenni – i loro esagerati privilegi: così facendo, però, rischiano il peggio, scomparire, venir commissariate, accorpate, chiuse da chi decide i livelli della liquidità, vale a dire le Banche Centrali.

Ma venire ad una contabilità bancaria veritiera è un futuribile.

Così, qualcuno deve pagare il conto: risparmiatori, correntisti, depositanti, mancati prenditori, ordinary people soggetto alla tassazione. La politica decide solo con chi prendersela di più o di meno: il braccio di ferro è cominciato! La guerra fra poveri un’ottima prospettiva per la grande finanza.

Alla fine si accelererà l’emissione di titoli su titoli, all’infinito, come è nell’attuale capitalismo ultrafinanziario che non guarda più alla valorizzazione dei titoli (con cattiva pace dei risparmiatori), ma alla massimizzazione nella loro emissione: come dire, più i debitori (nel caso in esame le banche stesse) stanno male e meglio è. Si emetteranno ulteriori titoli!

Inoltre, la banca, dopo l’abbandono della netta separazione tra finanza e credito, si gestisce come se il credito fosse solo un optional capace in genere di generare perdite (falso) e come se la finanza fosse tutto e potesse sempre garantire guadagni se non dalla valorizzazione dei titoli almeno dalla estensione delle loro emissioni: il risparmio viene quindi drenato – suo malgrado – su base volontaria, ingannevole o, addirittura, non libera con investimenti non concordati ovvero disastrosi e con il bail in.

La riforma del credito cooperativo andrà verso accorpamenti in varia guisa, onde soddisfare i vincoli di capitale imposti dalle autorità; tutto sbagliato: la forza della banca di credito sta nel territorio, nel suo essere integrata, forte, credibile con esso. Anche un piccolissimo sportello di quartiere – se fa bene il suo lavoro di selezione dei prenditori (in base alle prospettive di reddito, non al reddito accumulato) – può rappresentare l’interesse sociale meglio di un grande, grandissimo gruppo che sa fare di tutto meno il credito.

Più le banche sono grandi, oggi, e più sono piene di derivati e titoli tossici: se riescono a piazzarli dentro le Banche Centrali la giostra va avanti, se no i risparmiatori saranno chiamati a rispondere della situazione in nome del fiscal compact. Auguri.


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