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Banca Romana: lo scandalo che rivelò il profondo male italiano dei legami fra finanza, stampa e politica

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Lo scandalo della Banca Romana fu uno dei primi grandi scandali che scosse l’Italia dalle fondamenta, mettendo il luce i legami fra grande finanza, stampa, potere politico e Vaticano che per decenni avrebbero segnato la nostra storia. Ancora oggi la stampa in Italia non riesce a rompere la propria sudditanza con il grande capitale che, nel frattempo, ha semplicemente lasciato il nostro paese per diventare etereo e in’afferrabile. L’unico frande cambiamento fra il 1892-94 se mai è che anche il Vaticano è diventato uno strumento, mentre prima era un pilota.

Ricordiamo i passaggi principali di quello scandalo che cambiò un’epoca e portò alla fondazione della Banca d’Italia.

Alla nascita della Lira Italiana, nel 1862, le banche autorizzate a emettere banconote erano sei, ridotte poi a cinque.  C’era la  Banca Nazionale nel Regno d’Italia (che veniva dalla fusione fra la Banca di Genova e la Banca di Torino) al nord; al Centro la Banca Nazionale Toscana, affiancata nel 1863 dalla Banca Toscana di Credito per le Industrie e il Commercio d’Italia; al Sud il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia. Quando, dopo l’annessione di Roma nel 1870, la Banca degli Stati pontifici divenne Banca Romana, gli istituti di emissione diventarono sei.

Queste banconote avevano il diritto a emettere una determinata quantità di banconote a fronte dei depositi in oro nelle proprie casse.

Lo scandalo Banca Romana fu uno dei primi grandi casi di corruzione nella storia dell’Italia unita, che coinvolse politici, banchieri, giornalisti e anche il Vaticano. In questo post cercherò di spiegare cos’è successo, quali furono le conseguenze e come il Vaticano fu implicato in questa vicenda.

La Banca Romana era, come abbiamo visto, una delle sei banche nazionali autorizzate ad emettere moneta nel Regno d’Italia. Fondata nel 1834 come erede della Cassa di Sconto, aveva sede a Roma e godeva del privilegio dell’emissione di banconote nello Stato Pontificio. Dopo la presa di Roma nel 1870, la Banca Romana entrò in crisi a causa della bolla immobiliare scoppiata nella nuova capitale e delle richieste di finanziamenti da parte della classe politica.

Il governatore della Banca Romana, Bernardo Tanlongo, per far fronte alle difficoltà, ricorse a pratiche illecite, come la falsificazione dei bilanci, l’emissione di banconote oltre il limite legale,  quindi senza copertura aadeguata in oro, la concessione di crediti a tassi usurai e la corruzione di parlamentari, ministri e giornalisti. L’emissione senza copertura di banconote dovrebbe far meditare chi vuole un ritorno alla banconota basata sull’oro o chi possiede ETF in oro….

Tra i beneficiari dei prestiti della Banca Romana c’erano anche alcuni esponenti del Vaticano, che avevano interessi economici e politici nella città.

Lo scandalo scoppiò nel 1892, quando una commissione parlamentare incaricata di verificare le condizioni delle banche nazionali scoprì le irregolarità nella gestione della Banca Romana. Il presidente del consiglio Francesco Crispi, che era stato informato da Tanlongo delle sue manovre, cercò di insabbiare lo scandalo e di salvare la banca con un decreto che ne aumentava il capitale sociale. Tuttavia, il decreto fu respinto dal parlamento e Crispi fu costretto a dimettersi.

Il successore di Crispi, Giovanni Giolitti, decise invece di liquidare la Banca Romana e di istituire la Banca d’Italia come unica banca centrale del paese. Giolitti fu però accusato da Crispi e dai suoi sostenitori di aver favorito i creditori della Banca Romana e di aver ricevuto tangenti da Tanlongo. Inoltre, Giolitti fu messo in difficoltà dalla pubblicazione di un plico contenente documenti compromettenti sulla sua attività politica e finanziaria, il famoso “Plico Giolitti”, di cui parleremo in seguito.

Il plico Giolitti era stato consegnato al deputato radicale Felice Cavallotti da un anonimo informatore che si firmava “un amico”. Cavallotti lo rese pubblico in parlamento nel 1893, scatenando uno scandalo che costrinse Giolitti a dimettersi. Si scoprì poi che l’informatore era Rocco de Zerbi, un ex direttore della Banca Romana che aveva agito per vendetta contro Giolitti, che lo aveva licenziato. De Zerbi si era procurato i documenti grazie alla complicità di alcuni impiegati della banca e li aveva manipolati per farli apparire più gravi.

Tra i documenti del plico Giolitti c’era anche una lettera del cardinale Mariano Rampolla del Tindaro, segretario di Stato del papa Leone XIII, indirizzata a Tanlongo. Nella lettera, Rampolla chiedeva a Tanlongo di concedere un prestito al Vaticano per acquistare alcune proprietà a Roma. La lettera dimostrava che il Vaticano aveva rapporti con la Banca Romana e che ne aveva approfittato per espandere il suo patrimonio nella capitale.

Il coinvolgimento del Vaticano nello scandalo Banca Romana fu motivo di polemica tra i sostenitori della monarchia sabauda e quelli del papato. I primi accusavano il Vaticano di essere complice della corruzione e di ostacolare l’unità nazionale. I secondi difendevano il Vaticano come vittima di una persecuzione e di una campagna diffamatoria. Il Vaticano, dal canto suo, negò ogni responsabilità e si dichiarò estraneo alle vicende della Banca Romana.

 

Bernardo Tanlongo, detto “Sor Bernardo”

Che fine fece Bernardo Tanlongo? Nel 1894 fu assolto da tutte le accuse, nonostante avesse confessato vari reati. L’impunità nei casi di frode bancaria grave in Italia sembra quasi una regola storica. Morì nel 1896 ed era ancora senatore.

Lo scandalo della Banca Romana ebbe delle conseguenze sia economiche che politiche per l’Italia. Dal punto di vista economico, lo scandalo mise in evidenza la fragilità del sistema bancario italiano, basato sul pluralismo degli istituti di emissione e sulla mancanza di controllo da parte dello Stato. La soluzione adottata fu quella di creare una banca centrale unica, la Banca d’Italia, che avesse il compito di regolare la circolazione monetaria e di vigilare sulle altre banche. La Banca d’Italia nacque nel 1893 dalla fusione tra la Banca Nazionale nel Regno d’Italia e la Banca Nazionale Toscana, e assorbì successivamente anche la Banca Romana e altre banche minori. La Banca d’Italia ebbe il privilegio esclusivo dell’emissione della moneta e il potere di decidere la politica monetaria del paese.

Dal punto di vista politico, l’evento scosse la fiducia dei cittadini verso le istituzioni e i partiti dell’epoca. Lo scandalo rivelò infatti i legami tra la finanza e la politica, tra gli interessi privati e le decisioni pubbliche, tra i favori personali e le nomine istituzionali. Lo scandalo mise in crisi soprattutto la figura di Giolitti, che fu costretto a dimettersi da presidente del Consiglio e a ritirarsi temporaneamente dalla vita politica.

Tuttavia, Giolitti riuscì a ricostruire la sua immagine e a tornare al potere nel 1901, dando inizio alla sua lunga stagione di governo nota come “Giolittismo”. Lo scandalo ebbe anche delle ripercussioni sul movimento socialista, che si divise tra i riformisti guidati da Filippo Turati, che cercavano un’intesa con Giolitti, e i massimalisti guidati da Napoleone Colajanni, che denunciavano lo scandalo e chiedevano una rottura con il sistema liberale.

Crispi nel breve periodo fu il vincitore nella vicendda, appoggiato dalla stampa conservatrice e dal grande capitale. Però la storia non fa sconti a nessuno e lui paagò tutto, con gli interessi, con la sconfitta di Adua. Però pagarono anche, duramente, gli italiani.


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