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Politica

Askatasuna e il paradosso italiano: quando l’illegalità diventa “Bene Comune” (e i veri poveri aspettano)

Askatasuna e il paradosso di Torino: quando occupare è “sociale” e i veri poveri restano invisibili. Il piano di Lo Russo e le divisioni della destra.

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Punti chiave

  • Qual è la vera posta in gioco nel “Caso Askatasuna” oltre la cronaca locale?

    La questione supera i confini di Torino e diventa il simbolo di due visioni opposte della legalità in Italia. Da una parte c’è il tentativo della giunta Lo Russo di “istituzionalizzare” un’occupazione abusiva tramite la co-progettazione e la retorica del “bene comune”; dall’altra c’è la richiesta di ripristinare lo Stato di Diritto, trattando l’illegalità come tale, senza corsie preferenziali per chi urla più forte o gode di coperture ideologiche.

  • Perché la narrazione del “valore sociale” del centro sociale appare contraddittoria?

    La contraddizione risiede nella definizione stessa di “sociale”. Mentre l’amministrazione premia chi occupa immobili pubblici e si rende protagonista di episodi violenti (come l’irruzione a La Stampa o gli scontri in Val di Susa), i veri poveri, i senzatetto e le famiglie che faticano ad arrivare a fine mese restano nell’ombra. Si incentiva chi prevarica la legge in nome di un’ideologia, ignorando chi soffre in silenzio mantenendo la propria dignità.

  • Come si sta muovendo la politica tra divisioni interne e scontri istituzionali?

    Lo scenario è caotico. A sinistra si assiste a una “sagra dell’ipocrisia” dove si condanna la violenza a parole ma si legittimano nei fatti gli autori se “compagni”. A destra, pur condividendo l’obiettivo dello sgombero, si registrano fratture tattiche tra Fratelli d’Italia (linea referendum vs linea delibera), che rischiano di indebolire l’azione di contrasto. Nel mezzo, il governo nazionale interviene duramente, evidenziando l’anomalia torinese rispetto al resto del Paese.


La vicenda del centro sociale Askatasuna, asserragliato nello storico immobile di Corso Regina Margherita 47 a Torino, è la perfetta cartina di tornasole per comprendere cosa non funzioni oggi in Italia nella gestione della cosa pubblica. Non è solo una bega di condominio allargata o una questione di ordine pubblico: è lo scontro tra la realtà fattuale e la narrazione ideologica, condito da quel tipico vizio nazionale di chiamare le cose con il nome sbagliato per giustificare l’ingiustificabile.

Il “Sociale” che piace ai salotti, non ai poveri

Il Sindaco Stefano Lo Russo, esponente di un centrosinistra che cerca instancabilmente nuove vie per “istituzionalizzare” l’antagonismo, sta tentando un’operazione spericolata: trasformare un’occupazione abusiva in un “patto di collaborazione”. L’idea è far passare Askatasuna come un ente di alto valore sociale.

Tuttavia, bisogna intendersi sulle parole, perché la neolingua politica tende a confondere le acque.

Il vero sociale è quello che si occupa degli ultimi veri:

  • I senzatetto che muoiono di freddo.

  • I pensionati che non arrivano alla terza settimana del mese.

  • I padri separati che dormono in auto.

  • Chi mantiene la propria dignità nel silenzio e nel rispetto delle regole.

Quello che vediamo a Torino, invece, assomiglia molto a un premio per chi la legge la aggira sistematicamente. La visione dell’amministrazione sembra suggerire che, in Italia, un corteo rumoroso o un’occupazione prepotente meritino più attenzioni e fondi di cento drammi della povertà vissuti in silenzio. È un messaggio devastante: se rispetti la legge sei invisibile, se la infrangi diventi un interlocutore istituzionale.

Due visioni inconciliabili della Città

La situazione attuale vede contrapposti due modelli distinti di gestione del conflitto urbano, che riassumiamo in questa tabella per chiarezza:

ModelloSostenitoriStrategiaObiettivo Dichiarato
“Bene Comune”Giunta Lo Russo, Sinistra, AccademiciCo-progettazione e legalizzazione dell’occupazioneIntegrare l’antagonismo, evitare lo scontro, “uscita dall’illegalità”.
LegalitàGoverno, Centrodestra, Terzo PoloSgombero e ripristino delle regoleTolleranza zero, rispetto della proprietà pubblica, sicurezza.

Secondo Alessandra Algostino, docente e garante dell’operazione, bisogna superare il modello di “Torino laboratorio di repressione”. Una visione accademica che stride, però, con la realtà dei fatti. Il Ministro Zangrillo ha replicato seccamente: Lo Russo non solo ignora, ma “contraddice in modo palese le leggi dello Stato”.

La realtà operativa: altro che “Laboratorio di Pace”

Mentre si discute di massimi sistemi e patti di collaborazione, la cronaca ci restituisce un quadro ben diverso dall’immagine bucolica del “centro culturale”. Askatasuna è stato definito dal Ministro Piantedosi un “focolaio di violenza“.

Basti ricordare due episodi recenti che avrebbero dovuto chiudere ogni trattativa in un Paese normale:

  1. L’assalto a “La Stampa”: Trenta attivisti, alcuni a volto coperto, irrompono nella redazione del quotidiano torinese. Motivo? La copertura della guerra a Gaza. Risultato? 36 identificati dalla Digos. Reazione della politica locale? Il percorso di legalizzazione prosegue come se nulla fosse.

  2. La “Guerra” in Val di Susa: L’onorevole Montaruli (FdI) denuncia come il centro sociale esporti il proprio modus operandi nei cantieri TAV, trasformando il territorio in zona di guerriglia contro le forze dell’ordine.

E qui scatta la doppia morale. La sinistra istituzionale (Schlein, Conte, Bonelli) esprime solidarietà ai giornali attaccati, condanna la violenza “in astratto”, ma si guarda bene dal chiedere lo scioglimento di Askatasuna o dal nominare direttamente i responsabili, cosa che invece accade puntualmente – e giustamente – quando la violenza è di matrice opposta. È la classica “Sagra dell’ipocrisia”: i violenti sono tutti uguali, ma alcuni sono più “compagni” di altri.

Il Centrodestra: uniti nell’obiettivo, divisi sul metodo

Se la sinistra gioca col fuoco, la destra non brilla per compattezza strategica. L’obiettivo è univoco: chiudere il centro e ripristinare la legalità. Ma su come arrivarci, scatta la competizione interna, in particolare dentro Fratelli d’Italia:

  • La linea “Popolare” (Montaruli): Vuole un referendum cittadino. L’idea è: facciamo decidere ai torinesi, bypassando la Giunta. Questo permetterebbe alla politica di mettersi direttamente in gioco dialogando con la popolazione, qualcosa che non si vede in Italia da un po’.

  • La linea “Istituzionale” (Crosetto): Punta su una delibera di iniziativa popolare che poi passi nella giunta comunale e porti quindi

Una divisione che crea malumori, con l’assessore regionale Marrone che fa notare l’ovvio: una delibera deve essere votata dal Consiglio Comunale, dove Lo Russo ha la maggioranza e la boccerà. Il referendum, forse, sarebbe l’arma più affilata per mettere la sinistra davanti al giudizio dei cittadini, che spesso sono meno ideologici dei loro amministratori. Intanto, piovono ricorsi al TAR. Sarebbe poi un ritorno alla politica come “Bene comune”, qualcosa che non si vede da un po’.

Che messaggio stiamo dando?

Il sindaco Lo Russo si difende attaccando la Lega e rispolverando vecchie dichiarazioni di Salvini sul Leoncavallo, in un gioco di specchi che serve solo a buttare la palla in tribuna.

La verità, cruda e semplice, è che la vicenda Askatasuna è l’ennesimo esempio di un’Italia che funziona al contrario. Si sprecano risorse intellettuali, giuridiche e politiche per salvare un fortino di illegalità, ammantandolo di sociologia spicciola, mentre la città reale, quella che lavora, paga le tasse e talvolta cade in povertà senza fare rumore, resta a guardare.

Se il “modello Torino” dovesse passare, il messaggio per il futuro sarebbe chiaro: non serve rispettare le regole per avere uno spazio in città, basta occuparlo e avere gli amici giusti nei salotti buoni. E questo, con buona pace del Sindaco, non ha nulla a che fare con il “sociale”.

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