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Antonio Maria Rinaldi nella Marche. Un’analisi economica piena di realismo, ma anche voglia di battersi (di Marco Minossi)

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Antonio Maria Rinaldi, eurodeputato della Lega, fa ennesima tappa nelle Marche, diffondendo consapevolezza e passione sulle problematiche e sulle incognite che abitano in noi di questi tempi, in regione e nel Paese.

Ci tiene anzitutto a fare una precisazione: “sovranisti” sì, ma come lo siamo tutti sulla base dell’articolo 1 della Carta Costituzionale, che sancisce in termini incancellabili che “la sovranità appartiene al popolo”.

Non cadiamo nel tranello di far strumentalizzare entrambi i concetti, sovranità e popolo, in “sovranismo” e “populismo” per il tornaconto di coloro i quali vogliono delegare l’esercizio della nostra democrazia ad istituti altri e sovranazionali, oltretutto non eletti tranne che il Parlamento Europeo, non certo l’istituzione – quindi – dotata dei maggiori poteri.

Anche perché, nei momenti di maggiore difficoltà o di emergenza, L’Unione Europea ha dimostrato di non esserci, e sono intervenuti gli stati singoli. Buon per chi, come ad esempio un pizzaiolo italiano residente ed operante in Belgio, ha potuto tamponare le proprie sofferenze con una burocrazia minima che gli ha accreditato in conto corrente tremila euro dopo tre giorni dalla (snella) richiesta. Teniamo presente che il Belgio non se la passa esattamente bene da un punto di vista finanziario, penalizzato com’è dal debito pubblico a livelli “italiani”. Anche negli altri paesi, gli stati hanno dato risorse consistenti ed immediate a fondo perduto, in Italia in modo macchinoso e a prestito.

L’attività del Parlamento Europeo è anche quella di un controllo sulle decisioni che prende la Commissione. Ad esempio fu Rinaldi stesso, lo scorso 23 luglio, ad ammonire che non andava bene l’atteggiamento dei paesi cosiddetti “frugali” (termine che non si sa bene cosa voglia significare, osserva lui; “che non ne vogliono tante, oltre agli interessi propri e della Germania”, ci permettiamo di integrare noi qui) rispetto alle risorse finanziarie da assegnare all’Italia.

Berlino manda in prima linea queste nazioni satelliti nel manifestare opposizione, per poi far riconoscere loro in cambio da Bruxelles i rebates (sconti-abbuoni in fattura) sui contributi europei da versare.

L’Italia negli ultimi 20 anni – fece egli notare in quella recente occasione – ha versato nelle casse dell’unione 160 miliardi di Euro, così ripartiti: 102 miliardi come differenza tra il dare e il ricevere indietro ( la condizione di “contribuente netto”); inoltre, per l’assistenza ai paesi in difficoltà finanziaria, cioè per i vari fondi quali MES e SURE per citare i più noti, abbiamo negli ultimi 20 anni versato 58 miliardi, per una posizione complessiva di passività pari a 160 miliardi di Euro.

Pensare che i contribuenti in attivo, cioè che ricevono più di quanto versano, sono quelli che attivano politiche fiscali più attrattive, in contrasto e in palese disomogeneità con quanto in vigore in UE, ed esercitano tali veti, significa assumere un atteggiamento scorretto e dannoso, e non è certo l’Italia che possa e debba farne le spese, né che sia oggetto di richiami morali.

Non è giusto che il secondo paese industriale dell’Unione, nonché terzo contributore netto, vada sempre a Bruxelles in ginocchio e con il cappello in mano a chiedere l’elemosina, è ora di cambiare atteggiamento.

C’è da osservare, a nostro avviso e salvo sviste o distrazioni, come tale intervento fondamentale per il nostro paese, non é stato correttamente mai riportato dai mass-media, oscurato dai balletti e dai tira-molla tra i nordici e Conte e Gualtieri, che ne hanno approfittato per apparire loro stessi quali strenui difensori degli interessi italiani.

Critica costruttiva ed anti-europeismo sono state precisate da Rinaldi essere due cose completamente diverse, pertanto. Esercitare la prima è il motivo per cui i tuoi connazionali ti votano, cosa che per lui è avvenuta proprio nel collegio delle Marche, tale resoconto ha pertanto gratificato e rassicurato i suoi elettori presenti nell’occasione e nella sede alle quali ci stiamo riferendo, Porto Sant’Elpidio il 29 agosto.

Lo stesso Mario Draghi al meeting di Rimini ha ammesso che è giusto e legittimo contestare queste regole europee, ma anche qui parliamo della parte del suo discorso cui è stato dato risalto scarso o nullo, c’è da andare a leggere bene tra le righe del testo per accorgersene.

E poi, non poteva mancare il passaggio sul Recovery Fund: Rinaldi “ci sta in mezzo”, facendo egli parte della Commissione ECON, e può purtroppo assicurare che prima che arrivino dei fondi concreti passerà parecchio tempo; sì, proprio quelle risorse di cui l’economia italiana reale avrebbe bisogno non da domani mattina, ma “da ieri”. Si rischia così di uccidere l’economia italiana stessa, che non è fatta di multinazionali (che avranno facile accesso alle risorse del Recovery), ma di piccole imprese, di piccolo commercio, le attività che hanno fatto grandissimo il nostro Paese, e che sono destinate a morire (quante chiuderanno ad ottobre-novembre?), salvo gli sforzi che la parte che egli rappresenta sta facendo.

Attenzione quindi a non crearsi facili aspettative, che verranno disattese, e che saranno in ogni caso debito da rimborsare e condizioni da rispettare, e sulle quali essere rigidamente controllati (Rinaldi usa il famoso termine “condizionalità” per facilitare la comprensione immediata, noi ci permettiamo di insistere sul fatto che esso è una complicazione lessicale politica studiata ad arte, e non esiste nella lingua italiana, che prevede solo la parola “condizioni”).

La controprova di quelli che saranno i ritardi di questo piano di salvataggio sta ne fatto che la Presidente della BCE Christine Lagarde ha messo in piedi un “Quantitative Easing Pandemico” per ben 1.350 miliardi in un anno: che bisogno ci sarebbe stato di una tale disponibilità a sottoscrivere titoli di stato, nel caso in cui la quota del Recovery fosse davvero arrivata? E che necessità reale ha di questo strumento e del MES il governo italiano, quando le aste dei BTP continuano ad avere la domanda di gran lunga superiore all’offerta?

Un piccolo “carico di briscola” riteniamo opportuno aggiungerlo anche noi, a tale ultimo riguardo: i cittadini italiani sono consapevoli del fatto che, nel caso in cui lo Stato si debba ritrovare in una situazione di cassa tale da poter rimborsare soltanto una tranche di titoli pubblici in scadenza con i risparmiatori e gli investitori istituzionali, OPPURE una tranche del debito con l’UE da Recovery e/o da MES, sarebbe obbligato a preferire quest’ultima in quanto credito privilegiato per l’emittente, e ove non lo facesse di sua iniziativa si ritroverebbe condannato a farlo da un Tribunale estero, con ulteriori interessi e sanzioni, e quindi con limitazioni aggiuntive alla nostra democrazia?

A prescindere dal credo politico, nessuno può negare che Antonio Maria Rinaldi sia un mix vincente, in quanto convincente, di competenza professionale economica e di passione per l’Interesse Italiano. Mentre scriviamo, egli è già ritornato a Bruxelles dove opera assiduamente, in quanto ritiene che l’impegno verso chi gli ha dato fiducia sia anzitutto quello di lavorare.

Marco Minossi


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