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Anticorpi monoclonali: una cura quasi ignorata

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Gli anticorpi monoclonali sono forse il modo più efficace per salvare la vita degli  infetti da COVID-19, ma probabilmente uno dei meno conosciuti e pubblicizzati. Riducono il rischio persino di essere ricoverati in ospedale dal 70% all’85%, anche se, per essere efficaci, devono essere somministrato con un certo anticipo per essere efficace, entro quattro giorni dall’infezione.  Peccato che non si faccia molta informazione in merito.

Il trattamento con anticorpi monoclonali (abbreviato mAb) sono conosciuti con nomi poco sentiti come REGEN-COV2 della Regeneron, o  Bamlanivimab (LY-CoV555) e Etesevimab della Ely Lilli, nomi poco noti eppure scientificamente provati come efficaci.

Eppure negli USA c’è una comunicazione molto forte in materia, nella quale si spinge chi è stato a contatto con dei contagiati gravi ad utilizzarli come linea difensiva contro la malattia. Nonostante questo anche negli USA sono poco usati.  Perchè no?

Forse è un effetto voluto dato che, non appena hanno iniziato a essere utilizzati su scala maggiore, è stato necessario iniziare a razionarli, con uno dei rari casi in cui il governo federale è intervenuto per distribuirli fra i singoli stati.

L’efficacia di REGEN e di altri trattamenti anticorpali è nota almeno da novembre, quando la Food and Drug Administration ha concesso l’autorizzazione di emergenza per REGEN e un altro mAb. Test precedenti avevano rilevato che REGEN era efficace per oltre il 70% nell’evitare malattie gravi e numerosi test successivi lo hanno confermato, anche se già a marzo erano stati testati con successo, proprio mente da noi si testava il siero iperimmune che si basa sulla stessa idea di massima. Nel frattempo sia Regeneron sia Eli Lilly hanno incrementato le produzioni.

Solo nell’ultimo mese i trattamenti anticorpali hanno iniziato a ricevere maggiore attenzione. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che il dottor Anthony Fauci alla fine, in ritardo, ha parlato, affermando che i trattamenti possono ridurre il rischio di ricovero o morte per COVID-19 dal 70% all’85%. I mass media si sono gettati  allora a corpo morto sulla materia negli USa, mentre in Europa c’è ancora il silenzio più assoluto.

Negli USA l’eccesso di successo ha fatto passare da una sovrabbondanza di offerta a, come abbiamo detto, il razionamento federale. Alcuni stati sono riusciti a essere più pronti a procurarsi le dosi, altri, come l’Illinois, sono  rimaste molto indietro sia nella comunicazione sia nel procurarsi le dosi.

Altri stati, come la Florida, di De Santis, hanno agito all’opposto: politiche di test aggressivo seguite immediatamente da trattamenti con gli anticorpi monoclonali per curare i positivi. In questo modo hanno avuto un tasso di positività apparentemente elevato, ma anche un tasso di complicazioni per il covid molto basso.

Perché allora queste terapie in Europa e in Italia passano quasi in silenzio? L’Italia rifiutò perfino la donazione di 10 mila dosi di anticorpi monoclonali lo scorso anno, salvo poi approvare la cura, e probabilmente condannando molte vite.  Il sospetto è forte che non si voglia disturbare la campagna preventiva, cioè quella attraverso i vaccini: se esistesse una cura riconosciuta e disponibile ci sarebbe una spinta in meno verso la vaccinazione. Allora si tace sulla terapia, anche se questa è riconosciuta internazionalmente. L’ipocrisia non ha più molti freni.


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