Attualità
Anche la Russia ha la sua criptomoneta di Paolo Savona
Vladimir Putin ha annunciato che la Russia intende introdurre il criptorublo, la moneta elettronica statale. Il Ministro delle comunicazioni Nikolay Nikiforov ha affermato “lo introdurremo per una semplice ragione: se non lo facessimo ora, tra un paio di mesi ci anticiperebbero i vicini della Comunità economica euroasiatica”.
Ha anche aggiunto che la creazione non avverrà con le tecniche consuete delle criptovalute, quella delle così dette “miniere” che hanno quantità prefissate, ma si deve presumere che faranno ricorso alla tecnologia blockchain che offre trasparenza e sicurezza per il creatore e il possessore di moneta. Hanno anche deciso che il criptorublo è uno strumento per ripulire il danaro sporco pagando una tassa del 13%; al termine della trasformazione dalle forme tradizionali a quelle telematiche, la moneta russa non potrà più servire per traffici illeciti.
Se Stati e banche centrali del mondo decidessero di raggiungere un accordo per passare alle criptomonete nazionali, la lotta alla criminalità organizzata, che come ben noto opera a livello globale, sarebbe più efficace; l’attività illecita non potrebbe più svolgersi nei circuiti ufficiali della moneta tradizionale e si dovrebbe rivolgere ai circuiti alternativi, i paradisi fiscali, o usare i beni preziosi, strumenti meno gestibili di quelli di possedere moneta nazionale.
Se gli Stati muovessero questo passo, sarebbe saggio se, approfittando dell’occasione, creassero una sola moneta telematica, i criptoSDR, i diritti speciali di prelievo, evitando i costi di transazione da una criptovaluta nazionale all’altra e le manipolazioni dei rapporti di cambio a fini competitivi; questo però è un altro problema, piuttosto importante ma storicamente irrisolto nelle relazioni economiche internazionali, che forse è meglio non far gravare sulle deboli ed egoistiche spalle degli attuali leader mondiali.
Nonostante non si conoscano i dettagli dell’iniziativa russa, dove come noto si nasconde il diavolo, la logica che muove la scelta è una risposta ai problemi sollevati da questo giornale sulla diffusione delle criptovalute. È chiaro che si delinea uno scontro storico tra settore privato e pubblico su chi gestirà la sovranità monetaria, simbolo della sovranità dello Stato (dove esso esiste).
Il processo di appropriazione privata del potere monetario è già andato molto oltre; sarebbe stata la gioia di Friedrich Hayek, che l’aveva auspicato, anche se in nome delle libertà individuali, che allora non poteva contare su uno strumento adatto come la telematica. Non solo le criptovalute si vanno moltiplicando a centinaia, ma i privati hanno anche organizzato centri di loro scambio e compensazione per aumentarne l’accettabilità, creando reti informatiche simili alle clearing house ben note al mercato (il Target 2 dell’eurosistema è una di queste).
Gli esperti di informatica si sono impossessati del meccanismo di creazione delle criptovalute, le “miniere” gestite con la tecnologia blockchain, e poiché l’inventore dei bitcoin Nakamoto ha saggiamente fissato un limite massimo alla circolazione della sua creatura, ma non ha potuto prevenire che il mercato ne inventasse numerose altre (l’ethereum è la principale), nasce l’esigenza di renderle intercambiabili; per le monete tradizionali esistono il mercato dei cambi e le stanze di compensazione, che già fanno ampio uso di mezzi informatici, e per quelle telematiche si è dato vita a un mercato criptovalutario alternativo.
Esistono infatti siti web che offrono convertitori istantanei delle principali valute nazionali in criptovalute, ma in funzione prevalentemente informativa, e stanze di compensazione telematiche; tra queste vi è la COMIT, acronimo di Cryptographically-secure Off-chain Multi-asset Instant Transaction network, che offre servizi di compensazione con lo slogan “rendere i pagamenti globali a buon mercato, veloci e facili come inviare un messaggio”; usa un crosschain network che collega tutti i blockchain che gestiscono criptovalute e aderiscono al nuovo meccanismo.
Credo di essere stato finora troppo cauto nell’affermare che gli Stati dovessero prevenire che il mercato espropriasse la loro sovranità a seguito della diffusione delle criptovalute e mi sono lamentato della trascuratezza delle banche centrali nell’affrontare questi sviluppi: già oggi la creazione di moneta è decisa dal mercato, come dicono gli economisti è endogena, ossia la sua quantità è uscita dal controllo delle autorità sul piano tecnico; richiede solo di diffondersi, trovando gli unici ostacoli nella comprensione di come si accede a esso – ma esistono siti che lo spiegano in dettaglio e intermediari che offrono il servizio – e nell’acquisire fiducia nel nuovo strumento, attualmente riposta nell’autonomia e preparazione delle banche centrali, nonché in un più claudicante sistema bancario.
Il ritardo con cui le autorità stanno affrontando il problema e la mancata messa in sicurezza dei depositi bancari minano l’attuale fiducia, agevolando l’uso delle criptovalute, con il rischio che la frattura si realizzi improvvisamente, come la storia finanziaria insegna.
Gli Stati possono proibire l’uso delle criptovalute, come ha fatto la Cina, ma non impedirlo. Sta accadendo come per gli eurodollari e i derivati, la cui sottovalutazione degli effetti, che denunciai presentando argomenti scientifici, portò rispettivamente alla fine del regime valutario di Bretton Woods e alla Grande Recessione dalla quale non siamo ancora completamente usciti. Dobbiamo infatti ancora rientrare, soprattutto in Europa, dagli effetti dell’accondiscendenza monetaria del Quantitative Easing.
Continuiamo ad adagiarci in ciò che si conosce, a sottovalutare le conseguenze di ciò che sta accadendo, a non pensare al futuro, a provare fastidio verso i grilli parlanti e a rivolgerci a chi vende illusioni che le cose si risolvano da sè. È auspicabile che qualcuno dotato di poteri convochi una riunione internazionale per affrontare il problema, la cui preparazione non può essere affidata ai retrotopici, come li ha chiamati Bauman prima della sua scomparsa, ossia coloro che vogliono tornare ai fasti veri o presunti del passato monetario. Gli sviluppi della telematica lo rendono impossibile.
Paolo Savona, Milano Finanza 21 ottobre 2017
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