Economia
Ai confini del diritto ed anche oltre: la capacità giuridica potenziale. La Costituzione calpestata in materia tributaria.
Una sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Genova mi ha fornito lo spunto per questo articolo.
Si trattava di un ricorso contro l’imposta Comunale sulle pubblicità ed affissioni in cui, oltre alle consuete questioni di merito, mi spingevo ad ipotizzare l’incostituzionalità dell’imposta sul presupposto che la stessa non sia compatibile con l’art. 53 Cost.
In particolare sottolineavo come l’imposta in questione fosse pacificamente scollegata con qualsivoglia capacità contributiva colpendo unicamente la speranza di ottenerla. Capacità contributiva potenziale e non effettiva.
La risposta della Commissione Tributaria, con cui devo comunque essere benevolo dato l’accoglimento del ricorso nel merito, all’eccezione d’incostituzionalità ha dell’incredibile e dimostra le enormi criticità che esistono in materia: Commissione Tributaria Prov Ge – Sentenza n 2603.
A pag. 3 della sentenza si legge testualmente: “Non si ravvede, infine, alcuna violazione di norme costituzionali in quanto anche l’insegna pubblicitaria, ovviamente con determinate caratteristiche, costituisce quel “quid pluris” che va, in alcuni casi, ad incentivare l’attività economica di chi la espone e quindi ad incrementare la capacità contributiva”.
Sono rimasto di stucco alla lettura delle motivazioni visto che in questo caso siamo giunti obiettivamente ai confini del diritto. In sostanza la Commissione, invece di usare i consueti giri di parole per giustificare le imposte indirette ha preferito, per così dire, la strada della sincerità. Ovvero ha affermato ciò che era evidente per questi tipi di imposte: non sono espressione di capacità contributiva effettiva. Ergo avrebbe dovuto concludere per l’incostituzionalità ma non l’ha fatto.
Mai spunto poteva essere migliore per riprendere dunque il tema dell’art. 53 Cost. e del suo significato che, ovviamente, limita lo Stato che non è affatto libero di tassare tutto ciò che ritiene. Come vedrete l’esame completo non può limitarsi all’art. 53 ma deve giungere a ricomprendere gli artt. 1 e 47 Cost., arrivando così a delineare il ruolo giuridico della contabilità pubblica per la quale si rinvia anche a questo articolo: clicca qui.
L’art. 53 Cost. è stato oggetto di un profondo dibattito in seno all’Assemblea Costituente, dibattito che in parte ho già riportato nell’articolo sull’incostituzionalità delle imposte sulla casa (clicca qui). Solo grazie a tale dibattito è forse possibile ipotizzare la legittimità di alcune imposte indirette nel nostro ordinamento (per inciso come vedrete non sono d’accordo con questa tesi), ma non certo nella misura diffusa in cui sono oggi presenti (attualmente imposte dirette ed indirette sono prossime ad equivalersi nelle entrate del bilancio dello Stato).
Ma andiamo con ordine partendo proprio dalla piana lettura dell’art. 53 Cost. che recita: “Tutti sono tenuti a contribuire alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
I principi che debbono essere esaminati e che fungono da paletti per il Legislatore sono due, quello della capacità contributiva e quello della progressività fiscale. Principi che sono tra di loro strettamente correlati e non scindibili.
La capacità contributiva si misura sul reddito effettivo, ogni altro approccio, se si ha un minimo di onestà intellettuale, non può essere considerato conforme al dato letterale della norma. Per definizione il reddito effettivo è l’unico dato che consente di misurare la capacità contributiva visto che l’inclinazione al consumo può variare anche a parità di reddito. Inoltre anche la mera proprietà di beni non fruttiferi non è espressione di capacità contributiva ma semplicemente di accumulo di risparmi conseguenti ad una precedente, e dunque già tassata, capacità. Ricordiamo che la Repubblica favorisce e tutela il risparmio in tutte le sue forme, ergo non può tassarlo. Il combinato tra gli artt. 47 e 53 è infatti tranciante.
Dunque la figura della capacità contributiva potenziale non esiste e non può essere portata in alcun modo a tassazione. La Commissione Tributaria ha certamente errato nel formulare le proprie motivazioni di rigetto dell’eccezione d’incostituzionalità.
Infatti il cd. “salvagente” per siffatte imposte risiede in diversa argomentazione giuridica che trova spunto nella seconda parte dell’art. 53 Cost. ove si parla di un sistema semplicemente “informato” a criteri di progressività. Dunque si ammette generalmente la possibilità, in misura residuale, di applicare tributi indiretti, tuttavia tali Tributi debbono essere in ogni caso espressione di capacità contributiva effettiva. L’unica motivazione per salvare le imposte sulla pubblicità è legata al fatto che si è in presenza di un tributo indiretto su un bene non necessario che dunque rappresenta l’espressione di capacità contributiva dimostrata, sostanzialmente, con l’investimento stesso. Anche la migliore delle spiegazioni tuttavia fa palesemente acqua da tutte le parti. Non vi è logica in questo ragionamento posto che era più corrispondente a realtà proprio quello della citata sentenza, che per tale ragione doveva condurre all’esito opposto.
Infatti che cos’è un tributo indiretto in sostanza, lo spiega benissimo l’On. Scoca durante l’Assemblea Costituente, anno 1947: “Se poi consideriamo che più dei tributi diretti rendono i tributi indiretti e questi attuano una progressione a rovescio, in quanto, essendo stabiliti prevalentemente sui consumi, gravano maggiormente sulle classi meno abbienti, si vede come in effetti la distribuzione del carico tributario avvenga non già in senso progressivo e neppure in misura proporzionale, ma in senso regressivo. Il che costituisce una grave ingiustizia sociale, che va eliminata” ed ancora “Ho sempre pensato che chi ha dieci mila lire di reddito e ne paga mille allo Stato, con aliquota del 10 per cento, si troverà con 9 mila lire da impiegare per i suoi bisogni privati; mentre chi ne ha centomila, dopo aver pagato l’imposta del 10 per cento in base alla stessa aliquota, si troverà con una disponibilità di 90 mila lire. E’ ovvio che per pagare l’imposta il primo contribuente supporta un sacrificio di gran lunga maggiore del secondo, e che sarebbe equo alleggerire l’aggravio del primo e rendere un po’ meno leggero quello del secondo”.
I tributi indiretti non rispettano il principio della capacità contributiva in quanto regressivi, questa è l’unica conclusione onesta sotto il profilo intellettuale. Capacità contributiva e progressività sono, nei fatti, un unicum.
Diciamoci dunque la verità: sino ad oggi i tributi indiretti sono stati salvati unicamente sul presupposto di un’emergenza di cassa per lo Stato, presupposto assolutamente falso. La nostra Costituzione, infatti, imponendo la sovranità popolare anche sulla moneta (ex artt. 1 e 47 Cost. “la Repubblica disciplina, coordina e CONTROLLA il credito”), esclude implicitamente che lo Stato possa mai avere carenza di liquidità: la quantità liquida disponibile è decisa sovranamente dallo Stato stesso (insomma si può anche fare una pessima politica monetaria ma se si rispetta la Costituzione il fallimento di cui tutti millantano è impossibile). Peraltro anche se questa emergenza contabile esistesse non si vedrebbe la ragione per imporre tributi indiretti e dunque regressivi anziché tributi diretti e progressivi, anche su questo la Corte Costituzionale non si è mai pronunciata.
Insomma giurisprudenza e dottrina sino ad oggi hanno completamente errato e lo hanno fatto per paura oppure sull’erronea conoscenza della contabilità pubblica. I professionisti devono tener presente che quando si sostiene l’incostituzionalità di un’imposta dunque non bisogna mai fare riferimento al solo art. 53 Cost. ma inscindibilmente anche agli artt. 1 e 47 Cost. Lo Stato infatti deve creare risparmio e per farlo deve tassare meno di quanto spende, non potendo sperare che le esportazioni possano colmare in eterno l’ammanco di moneta provocato da politiche fiscali recessive. Anche l’art. 53 Cost. non è dimentico di tale concetto laddove parla di contribuzione di tutti alla spesa pubblica. Contribuire, non significa certo pagarla tutta. Se così fosse addio risparmio.
I Costituenti avevano ben chiaro che il problema della contabilità pubblica era di rilievo Costituzionale: “Scoca: Onorevoli colleghi, avevo notato che in questo nostro progetto di Costituzione si è trattato di molte cose, e di alcune anche molto analiticamente, mentre viceversa vi era soltanto un accenno alla materia finanziaria, ed ho pensato che una Costituzione, specialmente se discende a certe analisi, non potesse ignorare la sostanza del fenomeno finanziario“.
Avevano altrettanto chiaro che: “Scoca 19.05.1947 – Salve le esenzioni determinate dalla necessità di assicurare a ciascuno la soddisfazione dei bisogni indispensabili alla esistenza, tutti debbono concorrere alle spese pubbliche, in modo che il carico tributario individuale risulti applicato con criterio di progressività”.
Oggi i bisogni indispensabili all’esistenza vengono negati sempre in nome di una falsa emergenza di cassa dello Stato.
A riprova del ragionamento svolto è molto interessante anche la lettura della seduta della Costituente del 23 maggio 1947 che si trascrive: “Gli onorevoli Castelli Edgardo, Vanoni, Marazza, Vicentini, Martinelli, Arcaini, Cavalli, Mannironi, Avanzini, Firrao, Cremaschi, Franceschini, Ferreri, Sampietro, Balduzzi, Bertola, hanno presentato il seguente emendamento:
Tutti quanti partecipano alla vita economica, sociale o politica dello Stato sono tenuti al pagamento dei tributi in rapporto alla loro effettiva capacità contributiva, salvo le esenzioni e le prerogative previste dalle leggi. L’onorevole Castelli ha facoltà di svolgerlo:
Castelli Edgardo. Onorevoli colleghi, le tre formule dell’articolo aggiuntivo così come sono state presentate possono essere trasformate in una sola che viene a contemplare tutto l’insieme. La nuova formulazione che ho concordato anche con l’accordo degli onorevoli Scoca, Meda Luigi, Grieco e Laconi, è la seguente:
Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.
Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
Dunque ricapitolando dall’interpretazione autentica dell’Assemblea Costituente si evince che la capacità contributiva effettiva è un paletto insormontabile (con buona pace dell’idea che possa esistere una capacità contributiva potenziale) ed ancora che i tributi diretti debbano essere progressivi. Dunque resterebbe il solo spazio dei tributi indiretti regressivi, purché espressione di capacità contributiva e che non riguardino il risparmio.
Ma quali tributi indiretti (necessariamente regressivi) possono essere anche, in astratto, espressione di capacità contributiva extra? A mio avviso nessuno, posto che se ho, ad esempio, il reddito per comprare una lussuosa villa oppure una supercar, detto reddito mi è stato già tassato e dunque ho già versato tributi progressivi in proporzione alla mia effettiva capacità contributiva. Insomma se guadagno centomila euro l’anno devo pagare le stesse tasse a prescindere dal modo in cui spendo i miei soldi: questo è ciò che è scritto nell’art. 53 Cost.
In ogni caso, anche non aderendo alla ratio dello scrivente (interpreto alla lettera la Costituzione) anche l’interpretazione autentica dei padri costituenti lascia margini ben minori rispetto a quelli che il vorace fisco del nostro paese oggi si è attribuito ed è sempre Scoca a fissarli nel 1947: “se ai singoli tributi indiretti non si addice il metodo della progressività, si può e si deve tener presente complessivamente tale criterio, gravando la mano sui consumi non necessari e di lusso”.
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Se vogliamo trarre le conclusioni sono incostituzionali tutti i tributi che:
-non siano espressione di capacità contributiva effettiva;
-se indiretti, non siano limitati ai soli beni non necessari e di lusso;
-colpiscano il risparmio;
-impongano prelievi fiscali diversi a capacità contributive identiche (qui anche ex art. 3 Cost.).
Credo pertanto che delle imposte del nostro ordinamento possa rimanere davvero poco o nulla se soggette ad un serio esame di legittimità costituzionale che non tenga conto di una falsa rappresentazione di uno stato di emergenza nei conti pubblici.
E’ ora che la Magistratura smetta di tamponare gli errori dei Governi con la consapevolezza che, così facendo, non causerà alcun danno al paese ma lo salverà.
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