Attualità
A questo Cavaliere manca il ritorno allo spirito del ‘94 di Massimiliano Lenzi.
Adesso che Silvio Berlusconi compie 25 anni in politica – a proposito, buon compleanno Cavaliere! – perché tanti ne sono trascorsi dalla sua discesa in campo, era il 26 gennaio del 1994, possiamo azzardare un consiglio: serve più liberalismo delle origini e meno Bruxelles.
Quella discesa politica, infatti, in un Paese ancora frastornato dagli scandali e dalle inchieste di Tangentopoli che avevano spazzato via la vecchia classe politica, fu un atto imprevedibile e popolare ma anche populista, con la scelta di parlare direttamente agli elettori: “L’Italia è il Paese che amo, qui ho le mie radici (..)”. Un gesto nuovo e non previsto dalle élite, con l’establishment e i partiti tradizionali imbufaliti e contrariati per la scelta di un imprenditore di farsi politico.
Nel percorso di questi 25 anni Silvio Berlusconi è stato al Potere ed all’opposizione, ha vinto ed ha perso, non dimenticando mai la partenza di quel ‘94: fare una rivoluzione liberale. Le tasse, certo, non sono calate ma l’Italia è cambiata e molto, e ciò che prima era tabù, almeno per i salotti buoni, come Berlusconi al Governo, oggi non lo è più. A pensarci bene la novità di oggi di un Governo grillo-leghista non sarebbe stata possibile senza la rivoluzione politica del berlusconismo, ovvero il populismo che vince grazie al popolo.
Per questo il Berlusconi di oggi, ancora leader di Forza Italia, dovrebbe guardare più a se stesso e meno a Bruxelles. Con la Ue il Cavaliere non ha mai avuto paura di duellare, tra ironie e scelte politiche coraggiose. Quindici anni fa, ben prima dei vaffaday di Beppe Grillo, era il 2004, proprio sulle rigidità di Bruxelles Berlusconi sottolineava: “I governi europei non possono più fare una politica monetaria, essendo delegata alla Bce, così, come non possono fare una politica economica indipendente perché sono condizionati dal 3% del rapporto deficit/pil… È un limite assurdo da applicare in ogni circostanza, sia quando le cose vanno male, sia quando vanno bene”.
In quell’occasione, era tanto per cambiare durante la presentazione di un libro di Bruno Vespa, il Cavaliere confermava la volontà di proporre delle iniziative che consentissero una nuova “reinterpretazione” del trattato di Maastricht. Questo purtroppo non è accaduto in maniera sostanziale perché la politica è una questione di rapporti di forza e non solo di volontà.
Oggi, che ancora il tetto del 3% è al centro delle schermaglie tra l’Italia e la Ue, il fatto che poco sia mutato non è un buon motivo per schierarsi con Bruxelles. L’orizzonte italiano, la sfida per cambiare questo Paese resta infatti la rivoluzione liberale, meno burocrazia e meno tasse, quindi più capacità di spesa. “Fatto 100 il reddito nazionale – spiegava Berlusconi nel 1994 – se togliamo gli ammortamenti, le imposte indirette e i servizi pubblici, il reddito per le famiglie e le imprese fa solo 70. E una pressione fiscale di 40 su 70 fa poco più del 57 per cento del reddito disponibile. Appunto: sette mesi all’anno al servizio del fisco”.
Più Berlusconi e meno Bruxelles dunque, questo servirebbe oggi Cavaliere. Perché anche in politica, come nella vita, vale la frase di quel genio di Friedrich Nietzsche, “ci si stanca di ciò che non è il prezzo di una lotta”.
Massimiliano Lenzi, Il Tempo 5 gennaio 2019
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