Attualità
7 ottobre 1571: ricordiamo la battaglia di Lepanto
Ricordiamo oggi il 446° anniversario della famosa Battaglia di Lepanto. Altri tempi: se oggi è un papa a dare il benvenuto a profughi musulmani, nel 1571 fu un papa, San Pio V, a formare, spronare, animare e financo finanziare in parte ed armare la Lega Santa, realizzando il miracolo diplomatico di mettere sotto una sola bandiera, la bandiera di Maria, le due grandi potenze navali mediterranee dell’epoca, Venezia e Spagna, e sconfiggere sul mare la superpotenza militare musulmana ottomana pronta ad attaccare il cuore della cristianità.
I precedenti
Un passo indietro: dopo aver conquistato la seconda Roma Costantinopoli nel 1453, massacrandone gli abitanti e islamizzando a forza i sopravvissuti, gli ottomani – una monarchia assoluta di carattere islamico – avevano saccheggiato e sottomesso la Grecia, i Balcani, buona parte dell’Ungheria e della Romania, del Medioriente e del Nordafrica inclusa la Terrasanta. L’isola di Rodi dopo l’assedio infruttuoso del 1480 di Maometto II, forte di 100,000 uomini contro i 2.500 cavalieri e fanti cristiani, fu sanguinosamente conquistata ai Cavalieri di Malta nel 1522, Vienna fu assediata nel 1529 e l’Ungheria merdionale presa nel 1526 da Solimano il Magnifico. La strategica isola di Malta quartier generale dei Cavalieri venne attaccata a più riprese e assediata nel 1565. Otranto venne attaccata più volte ed espugnata dai turchi di Gedik Ahmet Pascià reduci dall’assedio fallito di Rodi del 1480, con orrendi massacri, lo sterminio dei maschi sopra i 15 anni (12.000 morti) e il rapimento di 5.000 donne e bambini.
Per comprendere questo attivismo militare ricordiamo che ogni sultano ottomano doveva portare almeno una nazione infedele sotto dominio islamico durante il suo regno. Maometto II fece scolpire sulla sua lapide: “volevo conquistare Rodi e l’Italia“.
I corsari turchi poi compivano da secoli scorrerie frequenti e ferocissime sulle coste di tutta Europa (“Mamma li Turchi!”) saccheggiando e sequestrando cristiani a decine di migliaia per schiavizzarli. Le sue truppe di terra minacciavano i regni cristiani dell’Europa orientale, da Vienna alla Polonia.
Nel 1570 infine i Turchi avevano invaso l’isola veneta di Cipro con 100.000 soldati e 200 cannoni comandati dall’infame Lala Kara Mustafa Pascià, famoso per la sua crudeltà verso i nemici vinti. Dopo aver espugnato Nicosia e massacrato la popolazione cristiana Lala Pascià si volse verso l’ultimo caposaldo veneziano di Famagosta, e dopo un anno di assedio, condotto da 200.000 soldati, 1.500 cannoni e 150 navi contro solo 8.300 soldati veneti, ciprioti e stradiotti, e il 1° agosto 1571, finiti viveri e munizioni, ottenne con l’inganno la resa dei superstiti dell’eroica guarnigione e del suo comandante, Marcantonio Bragadin. La perdita del Regno di Cipro e la barbara fine degli ufficiali veneziani e dello stesso Bragadin, torturato per giorni e infine scuoiato vivo – nonostante la promessa scritta e sigillata dal Sultano di salvare la vita ai difensori in caso di resa – aveva mandato i veneziani su tutte le furie.
La Lega Santa
Ma un anno di resistenza eroica e accanita del Bragadin e dei suoi soldati aveva permesso al papa Pio V di formare la Lega Santa, il patto faticosamente siglato tra regno di Spagna e Serenissima Repubblica di Venezia in funzione anti-ottomana.
Pio V vedeva infatti i turchi e la loro religione come una minaccia mortale per la cristianità. Quel grande papa fece della battaglia all’Islam militarista ottomano la propria crociata.
Se il papa vedeva i suoi fedeli schiavizzati o convertiti, Spagna e Venezia temevano per i propri interessi e possedimenti mediterranei, e fu così che con mille sforzi diplomatici, minacce di scomunica e un contributo militare del papa la Lega Santa fu infine costituita e sancita il 25 maggio 1571, con l’obiettivo di riunire una grande flotta e riprendere il controllo del Mediterraneo, sbarrando la strada agli ottomani.
Gli Stati aderenti al patto erano:
- la Serenissima Repubblica di Venezia,
- la Spagna di Filippo II,
- i Cavalieri di Malta,
- la Repubblica di Genova,
- il Granducato di Toscana,
- il Ducato d’Urbino,
- il Ducato di Parma, l
- la Repubblica di Lucca,
- il Ducato di Ferrara,
- il Ducato di Mantova,
- il Ducato di Savoia.
Il comando era spagnolo, in virtù del peso maggiore finanziario e militare sopportato da Filippo II. I comandanti dei tre imperi erano don Giovanni d’Austria, Marcantonio Colonna e Sebastiano Venier. La flotta cristiana era forte di 208 galere, 24 galeotte e 6 galeazze con 26.000 fanti e circa 44.000 marinai e rematori. All’alba del 16 settembre 1571 l’armada prese il largo da Messina, preceduta dalla Capitana Real di don Juan, con l’obiettivo di prestar soccorso a Cipro e al Bragadin, senza sapere della resa e della morte di quest’ultimo.
La minaccia della flotta turca
La grande flotta del Sultano Selim II, succeduto a Solimano il Magnifico nel 1566, era il pericolo più immediato. Nell’estate 1571 forti contingenti di quella stessa flotta turca che verrà sbaragliata a Lepanto aveva compiuto sanguinose scorrerie sulle coste ioniche e adriatiche, catturando migliaia di cristiani. Creta venne devastata e 3.000 contadini uccisi, Zante e Cefalonia attaccate con 7.000 cittadini rapiti.
Nell’Adriatico i turchi occuparono Corfù, Dulcigno, Valona, Lesina, Durazzo, Antivari e attaccarono Curzola, Zara e altre città dalmate. Quell’estate i corsari turchi arrivarono a devastare il golfo di Venezia, con le cannonate che si udivano fin da piazza San Marco.
La flotta ottomana dopo l’ultimo raid su Rodi andò infine ad ancorarsi nei pressi di Lepanto, tra i Dardanelli e Cefalonia. Da lì avrebbe potuto attaccare i cristiani in qualunque momento e ovunque, da Roma alla Spagna. Si temeva fortemente in particolare il sacco di Roma, poco difesa e piena di bottino. L’intera cristianità era in pericolo mortale. Nelle parole di uno storico ottocentesco:
“conquistata la munitissima Rodi, invasa l’Ungheria, stretta di assedio la imperiale Vienna, conquassato quel saldissimo propugnacolo della Cristianità, Malta, condussero in loro balia il reame di Cipro. Questo fu il più pericoloso conquisto: Venezia perdette un baluardo, che l’assicurava dalla Soria e dalla Cilicia; e si aprì al Turco le porte del Mediterraneo; pericolava la stessa Roma.”
La battaglia di Lepanto
La flotta cristiana dopo aver appreso il 1 ottobre della presa di Cipro cercò lo scontro con la flotta turca, fino a trovarla il 7 ottobre nel golfo di Corinto. La vittoria cristiana nel tratto di mare a sud di Lepanto (Navpaktos), fu schiacciante, nonostante l’inferiorità numerica delle galere e pur se il lato destro dello schieramento, quello tenuto da Gian Andrea Doria, si aprì eccessivamente e favorì la penetrazione delle 93 galere e galeotte di un corsaro turco, il rinnegato ex pescatore calabrese Uluç Alì, Bey di Algeri. Allora già sulla settantina, noto ai cristiani come Occhiali, Uluç Alì distrusse in tal modo comodamente numerose galere isolate, arrivando quindi a minacciare il grosso della flotta cristiana prima di essere contrastato e costretto alla fuga dall’intervento della retroguardia spagnola. Dopo 5 ore di battaglia i turchi, forti di 250 galere e circa 50-60 galeotte con 25.000 fanti e 50.000 marinai e rematori, ebbero circa 20.000 uomini uccisi e altri 8.000 fatti prigionieri, un’ottantina di galere e 30 galeotte affondate, e 117 galere e 13 galeotte catturate.
La vittoria cristiana fu favorita da fattori umani e tecnici, tra i quali:
- bravura di comandanti e soldati, che si batterono tutti con grande coraggio e abnegazione, con poche eccezioni (qualcuno disse che l’unico comandante a non cercare lo scontro fu Gian Andrea Doria),
- l’innovazione tecnologica costituita dalle galeazze veneziane, vere fortezze galleggianti pesantemente armate che, poste davanti alla flotta cristiana vennero scambiate dai turchi per navi da rifornimento e inflissero grossi danni
- uso prevalente degli archibugi da parte cristiana, mentre i turchi si servivano ancora in prevalenza di arco e frecce,
- adozione delle pavesate sulle navi cristiane che proteggevano dalle frecce, mentre i turchi non avevano ripari onde poter usare gli archi,
- uso diffuso tra i cristiani di corazze leggere e imbottiture in grado di fermare le frecce e talvolta anche le archibugiate,
- sfruttamento migliore di posizioni elevate di tiro – piattaforme mobili innalzate a prua dette rembate – da parte degli archibugieri cristiani per decimare artiglieri e soldati avversari, potendo quindi arrembarne le navi con maggiore facilità,
- paradossalmente la vicinanza dei turchi alla costa amica, che indusse molti a scappare per mettervisi in salvo, provocando la rotta del fianco destro ottomano,
- la rivolta dei rematori cristiani che appena potevano schiodarsi dal remo attaccarono coraggiosamente i carcerieri turchi.
Il fante ventiquattrenne Miguel Cervantes de Saavedra, più tardi famosissimo autore del Don Chisciotte, combatté eroicamente contro el crudo pueblo infiel a bordo della Marquesa nell’ala sinistra, quella comandata dal capitano generale da mar Barbarigo, ricevendo tre ferite di cui una invalidante alla mano sinistra. Come scrisse il Cervantes:
“non appena uno cade, per non rialzarsi più, un altro prende il suo posto; e se lui anche cade nel mare, un altro e un altro ancora gli succedono senza nessun tempo tra le loro morti”
E ancora:
“In quella dolce occasione io ero triste, con una mano che afferrava la spada, e il sangue dell’altra che diramava giù. Sentivo il petto piagato da una profonda ferita, e la sinistra era lì, già spezzata in mille parti. Però il giubilo, che mi prese l’anima vedendo vinto il crudele popolo infedele da quello cristiano, fu tanto, re e signore mio, che non capivo se ero ferito davvero. Dunque era tanto mortale il mio sentimento (di gioia) che talora mi strappava via la coscienza (del dolore).” (Don Chisciotte, prologo al II atto)
La vittoria, se costò carissima in termini di morti e feriti nella Lega (i veneziani ebbero circa la metà dei fanti uccisi), oltre a un favoloso bottino – tra cui i 150.000 mila zecchini d’oro del patrimonio personale di Alí Pascià – permise la liberazione di moltissimi cristiani, non solo gli schiavi al remo ma anche servi e gentildonne portate a bordo dai loro padroni nonché molti dei rapiti nelle scorrerie estive, tra i quali centinaia di donne catturate a Dulcigno, Budva e Antivari e i ben 2.500 fatti prigionieri a Cefalonia – isola che poté così essere ripopolata.
In totale le cronache dell’epoca vantano la liberazione di ben 15.000 cristiani detenuti sulle galere catturate.
La battaglia di Lepanto fu la prima dopo Azio tra navi a remi, e l’ultima della storia.
La fine del kapudan pascià Alì
Ricordiamo solo un episodio della battaglia, l’arrembaggio dell’ammiraglia turca, la potente bastarda del kapudan pascià (ammiraglio della flotta) Mehmet Alì, che mossa da cinque muscolosi vogatori per remo, schiavi personali di Alì, si staccò dalle altre per tentare di speronare il gruppo delle Capitane, le ammiraglie cristiane. Dopo aver mancato sia la Capitana del Venier dall’immenso stendardo rosso della Serenissima che l’ammiraglia papalina di Marcantonio Colonna colpì la Real di don Juan ma fu a sua volta speronata sia dalla Capitana del papa che dalla Capitana veneziana del Venier e infine da un’altra galera spagnola a poppa. Nonostante l’arrivo della bastarda di Perteu pascià l’ammiraglia turca, spazzata dagli archibugieri spagnoli, arrembata da papalini, veneziani e spagnoli, dopo un lungo combattimento di arrembaggi e contrarrembaggi fu definitivamente presa da un attacco finale dei fanti veneziani e dei sardi di don Lope de Figueroa. La testa del kapudan pascià, che per alcuni si suicidò vedendosi soverchiato, secondo altri fu colpito da un’archibugiata in fronte cadendo tra i rematori cristiani che lo decapitarono, fu innalzata su una picca per mostrarla a tutti galvanizzando le truppe cristiane in gran difficoltà nella mischia di potenti bastarde turche cariche di giannizzeri ben armati.
La Capitana di Venier rimorchiò l’immenso stendardo verde di Mehmet Alì pascià fino all’arsenale di San Marco, per poi farne dono al papa. Come riportano le cronache era un “un drappo di pesante seta verde sul quale 28 mila e 900 costantinopolitane avevano ricamato, a filo d’oro zecchino, 28 mila e 900 volte il nome di Allah”.
Bilancio di Lepanto
La grande vittoria, se fermò l’espansionismo turco e scongiurò ulteriori attacchi al cuore della cristianità, non ebbe il peso militare e politico di lungo termine sperato dal papa. Le ingenti perdite della flotta cristiana – 8.000 morti e altrettanti feriti, quindici galere perdute e tutte le altre danneggiate – sconsigliarono ulteriori imprese, nonostante i piani di riconquista di Lepanto, persa da Venezia nel 1499, o di attaccare e saccheggiare isole e fortezze turche o addirittura forzare i Dardanelli e magari minacciare Costantinopoli stessa. L’inverno poi impedì ogni continuazione anche dopo che le navi furono riparate e gli equipaggi ricostituiti.
Il Sultano dopo lunghe trattative con Venezia si tenne Cipro e riuscì durante l’inverno a ricostruire una flotta altrettanto potente e questa volta armata con 25.000 archibugieri, comandata da Uluç Alì (Occhiali nelle cronache cristiane), al secolo Giovanni Dionigi Galeni un rinnegato calabrese schiavizzato e messo al remo fino alla conversione, diventato corsaro e reduce di Lepanto, con la quale riprese nel 1574 la Tunisia conquistata da don Giovanni nel 1573. Le navi corsare di Mori e Turchi continuarono per altri 3 secoli a depredare le coste cristiane.
Una nuova spedizione della Lega Santa fu annullata nel 1573 e la Lega fu sciolta per la defezione di Venezia che aveva concluso una pace separata con il Sultano.
Se la battaglia si fosse svolta al principio dell’estate forse il destino dell’impero ottomano sarebbe stato diverso.
La vittoria ebbe però un enorme eco morale in tutta la cristianità, galvanizzando e rincuorando i cristiani oppressi da secoli di sconfitte e scorrerie e conquiste ottomane. Il papa istituì il 7 ottobre come festa di Maria delle Vittorie, alla quale numerose chiese furono consacrate.
… E una bizzarra fine
A suggellare definitivamente la fine dell’epoca di Pio V arrivarono il Concilio Vaticano II e un papa come Montini. Paolo VI infatti, come pochi sanno, restituì alla Turchia il vessillo di Mehmet Alì pascià catturato da Sebastiano Venier e donato a Pio V, con una lettera che molti tra i cattolici tradizionalisti giudicarono umiliante e storicamente ingiustificata. Un Pio V difese legittimamente la cristianità e i cristiani, un Paolo VI rinnega quella storia in nome di un buonismo interreligioso che oggi ha il suo massimo esponente in papa Francesco. Non possiamo fare a meno di pensare che don Juan, Sebastiano Venier, Pio V e tanti altri si saranno rivoltati nella tomba.
Qui la lettera di Paolo VI.
Note storiche
La flotta riunita a Messina sotto il comando di Giovanni d’Austria (don Juan), era composta da 208 galere, 6 galeazze, 24 galeotte e 26.000 fanti, con 350 cannoni di calibro medio-grande e 2.750 artiglierie di piccolo calibro. Oltre alle potenti galeazze, innovazione tecnica creata nell’Arsenale di Venezia, le galere erano così formate:
- 108 galere di Venezia
- 81 galere di Spagna
- 12 galere del papa (Toscana)
- 3 galere di Savoia
- 4 galere dei Cavalieri di Malta
La flotta si formò tra il 20 luglio 1571 (arrivo delle navi papaline) e il 5 settembre (arrivo delle navi di Napoli e Sicilia), troppo tardi dunque per salvare Bragadin.
Le truppe imbarcate erano formate come segue:
Fanteria spagnola del re, 8.160 soldati
- Napoli 1,576 (don Pedro de Padilla)
- Sicilia 1,944 (don Diego Enriquez)
- Tercio di don Lope de Figueroa 2.208 (“spagnuoli vecchi che avevano servito alla guerra di Granata”)
- Tercio don Miguel de Moncada 1.806
- Tercio di Lombardia 445
Fanteria italiana del re
- Generale conte Sforza di Santafiora, 5.208, di cui:
- Paolo Sforza 1.540 reclutati nel Ducato di Urbino
- Vincenzo Tuttavilla conte di Sarno 1.423 reclutati nel regno di Napoli
- Sigismondo Gonzaga 1.21 reclutati nello Stato di Milano
- Altri italiani 500, imbarcati sulle galere siciliane
Tiberio Brancaccio 300 napoletani (molti degli 800 napoletani inizialmente arruolati disertarono)
Milizia del regno di Napoli
- Circa 800 tra calabresi e pugliesi
Fanteria tedesca del re
- Soldati 4.987, di cui 1.000 presenti alla battaglia
Gli 8.000 soldati sulla carta furono decimati dalla malattia a Genova e La Spezia oppure non giunsero in tempo, essendo imbarcati sulle navi di don Cesare d’Avalos
Fanteria veneziana, Paolo Orsini 4.300
- Pompeo Giustini da Castello 1.200
- Prospero Colonna 1.000 calabresi
- don Gaspare Toraldo di Tropea 800
- Duca d’Atri 500 fanti da Otranto
- don Antonio Tuttavilla 600 fanti da Otranto
- Camillo da Carreggio e Filippo Ronconi 500 fanti da Corfù
Fanteria pontificia
- Onorato Caetani signore di Sermoneta, cognato di Marcantonio Colonna, con 1.500 fanti ben armati e valenti
Altri
- Fanti di Savoia 180 comandati da Andrea Provana di Leiní
- Duca di Urbino Francesco Maria II Della Rovere con 12 servitori e 115 “caballeros y particolares muy bien armados”
Per approfondire:
http://www.clubdelgommone.it/storia/lepanto.html
http://lepanto1571.gr/en-gb/thenavalbattleoflepanto/leadersoftheottomans.aspx
Commentari della guerra di Cipro e della Lega dei principi cristiani contro il turco – (1527) Bartolomeo Sereno, Montecassino (Abbazia) [le memorie manoscritte di un reduce italiano stampate nel 1845]
https://www.britannica.com/event/Battle-of-Lepanto
MIGUEL DE CERVANTES ALLA BATTAGLIA DI LEPANTO
Alessandro Barbero, Lepanto La Battaglia dei Tre Imperi, Laterza (2010)
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