Difesa
Zelensky ci avverte: “Dopo la Polonia, i droni russi potrebbero colpire l’Italia”. Ma chi li lancia davvero?
Zelensky avvisa: “Droni russi verso l’Italia”. Ma la realtà è più complessa: ecco chi potrebbe lanciarli davvero e perché la nostra risposta deve essere immediata.
Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, con un messaggio sui suoi canali social, lancia un avvertimento che tocca direttamente il nostro Paese. Dopo Norvegia, Danimarca e Polonia, secondo lui, l’Italia potrebbe essere il prossimo obiettivo delle incursioni di droni russi, o presunti tali.
La sua analisi è chiara: “La Russia sta testando la loro capacità di difendersi e sta cercando di influenzare le società affinché la gente inizi a chiedersi: ‘Se non siamo in grado di proteggerci, perché dovremmo continuare a sostenere l’Ucraina?’”. L’obiettivo, secondo Zelensky, sarebbe quello di erodere il consenso e ridurre gli aiuti a Kyiv, specialmente con l’inverno alle porte.
Regarding Russia’s attacks against European countries: Russia is testing their ability to defend themselves and trying to influence societies so people begin to ask: “If we can’t protect ourselves, why should we keep supporting Ukraine?” This is intended to reduce assistance to…
— Volodymyr Zelenskyy / Володимир Зеленський (@ZelenskyyUa) September 27, 2025
Come prova, cita un episodio specifico: “92 droni erano diretti verso la Polonia. Li abbiamo intercettati sopra il territorio ucraino, 19 hanno raggiunto il loro spazio aereo”. Da questa “coreografia di volo”, come la definisce, trae la sua conclusione: l’Italia è nel mirino, insieme a Norvegia, Danimarca e altri Paesi europei. Putin, insomma, starebbe “tastando il polso” alle difese del Vecchio Continente.
Un’analisi un po’ più approfondita
Se la narrazione di Zelensky è efficace dal punto di vista mediatico, un’analisi più fredda della situazione solleva qualche domanda. I droni che hanno sorvolato Danimarca e Norvegia non erano armi a lungo raggio, capaci di partire da migliaia di chilometri di distanza. Si trattava, con ogni probabilità, di droni di dimensioni relativamente piccole.
Questo dettaglio tecnico cambia completamente lo scenario. Questi velivoli, infatti, potrebbero essere stati lanciati:
- Da piattaforme navali (anche civili) in prossimità delle coste.
- Direttamente dai territori dei Paesi colpiti.
Chi potrebbe essere il mandante? Certo, potrebbero essere operatori legati ai servizi russi, ma non è l’unica possibilità. Operazioni di questo tipo sono alla portata di quasi qualsiasi entità statale o gruppo eversivo che abbia interesse a seminare caos, testare le difese di un Paese e creare tensione politica. In un mondo dove la guerra ibrida è la norma, attribuire la paternità di un drone da poche migliaia di euro è tutt’altro che semplice.
La risposta italiana: pragmatismo necessario
Il Ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha escluso che incursioni simili possano avvenire in Italia. Tuttavia, la prudenza non è mai troppa. Se un drone non identificato dovesse violare aree sensibili come porti, basi militari o infrastrutture strategiche, la linea d’azione dovrebbe essere una sola: abbattimento immediato, senza “se” e senza “ma”, usando gli strumenti disponibili e necessari. Non sono caccia supersonici, basta una mitragliatrice, o un’arma anti drone, o qualche rete. Se mai, in prospettiva, bisognerebbe accelerare il lavoro di sviluppo interno di questi sistemi.
Non si tratterebbe solo di un atto di difesa, ma di un’operazione di intelligence fondamentale. Recuperare il relitto del drone è l’unico modo per analizzarne la tecnologia, risalire (forse) ai suoi produttori e, si spera, ai suoi manovratori.
In un’epoca di propaganda martellante e di informazioni spesso contraddittorie, l’unica via per non diventare pedine di una parte o dell’altra è basarsi sui fatti. E per ottenere i fatti, a volte, è necessario agire con decisione per capire cosa succede realmente nei nostri cieli e distinguere gli amici dai nemici. O, più semplicemente, da chi vuole solo creare confusione.
Domande e Risposte per il lettore
1. L’Italia è davvero a rischio di un attacco con droni come dice Zelensky? La minaccia di un attacco diretto con droni a lungo raggio partiti dalla Russia è estremamente improbabile, data la distanza e le difese aeree intermedie. Tuttavia, il rischio di incursioni da parte di droni più piccoli, lanciati da navi vicine alla costa o da agenti sul territorio nazionale, è uno scenario possibile e tecnicamente realizzabile. Queste operazioni avrebbero più uno scopo di disturbo, spionaggio o guerra psicologica che di attacco militare vero e proprio, ma rappresentano comunque una minaccia alla sicurezza nazionale da non sottovalutare.
2. Perché la Russia (o chi per essa) dovrebbe usare questi metodi invece di attacchi più diretti? L’uso di piccoli droni non attribuibili con certezza è una tattica classica di guerra ibrida. L’obiettivo non è tanto il danno materiale, quanto quello psicologico e politico. Queste azioni servono a creare un senso di insicurezza nella popolazione, a mettere in dubbio l’efficacia dei sistemi di difesa e a generare divisioni politiche interne. Costringono inoltre uno Stato a investire risorse in pattugliamento e difesa, deviandole da altri scopi. È una strategia a basso costo e ad alto rendimento in termini di destabilizzazione.
3. Qual è la differenza tra abbattere un drone e le soluzioni proposte da Zelensky? Zelensky sottolinea che non si possono usare sistemi missilistici costosi come i Patriot per abbattere ogni drone, perché sarebbe insostenibile. Suggerisce quindi l’uso di “squadre di fuoco mobili” e altre contromisure basate sull’esperienza ucraina. La proposta di abbattere immediatamente i droni che violano spazi aerei sensibili in Italia è complementare: non si tratta di difendere l’intero territorio, ma di proteggere con decisione i punti strategici. L’obiettivo primario non è solo la difesa, ma anche l’intelligence: recuperare il drone per capire chi lo ha mandato e con quali tecnologie opera.
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