Cultura
When the world’s crashing down
When I fall and hit the ground
I will turn myself around
Quando cadrò e colpirò il suolo
Mi risolleverò
Premessa 1 – Perche’ le crisi mondiali ? L’Ipotesi di instabilità finanziaria
Le crisi finanziarie sono oggetto di studio da decenni: ma se il problema è da così lungo tempo oggetto delle preoccupazioni della comunità economica e sociale, è possibile che nessuno sia in grado di prevederle?
Per l’economista statunitense di nome Hyman Philip Minsky, semisconosciuto fino a pochi anni fa, vale un modello detto di “Ipotesi di instabilità finanziaria” e porta alla conclusione che il sistema finanziario sia endogenamente instabile poiché i singoli agenti economici (privati, industrie, banche e governi), in corrispondenza di grandi espansioni, tendono ad adottare comportamenti fortemente speculativi nell’aspettativa di un’infinita crescita economica. Questo atteggiamento è caratterizzato anche da un eccessivo indebitamento e quindi da una situazione finanziaria strettamente correlata all’andamento dei tassi di mercato. Sembra un’analisi scritta oggi, ma in realtà è stata enunciata negli anni ’70. Governi ed economisti del nuovo millennio dovrebbero rifletterci su. Secondo Minsky, ogni qualvolta si avvera un evento di “scostamento” (una nuova tecnologia, nuove infrastrutture, tassi particolarmente bassi per un lungo periodo, ecc.) gli agenti economici, presi dall’euforia delle nuove aspettative, aumentano sia i propri investimenti sia i propri livelli di spesa, in gran parte finanziandosi facendo ricorso al credito. Quest’euforia contagia anche il sistema bancario, che nella speranza di lauti guadagni, ben volentieri asseconda la sete di debito. La spirale può sembrare positiva, e fino a certi livelli di indebitamento lo è: l’economia ne trae forti benefici, si creano nuovi posti di lavoro, le aziende aumentano i fatturati e le banche con il loro credito creano le precondizioni per una crescita apparentemente infinita. Alcuni operatori economici, presi dal miraggio di enormi guadagni, nel frattempo si sovraindebitano e successivamente iniziano e reindebitarsi per pagare i vecchi debiti, fin quando non riescono più a sostenere la situazione e vanno in default. A seguito dei primi fallimenti le banche iniziano a rivedere le proprie politiche del credito e, spesso in concomitanza con un rialzo dei tassi, fungono da agente destabilizzante (con il cosiddetto “credit crunch”) portando panico fra gli attori economici e facendo scoppiare la bolla speculativa. Tanto più vorticoso è il “boom” economico, tanto più devastante diventa il crollo successivo. Va da sé che un sistema economico laddove pochi agenti economici (o troppi agenti economici) possono avere una così grande influenza, è un sistema endogenamente instabile.
Premessa 2 – Conseguenze dell’aumento dei debiti senza limiti: ritorno al punto di partenza
Rimane tuttavia un aspetto sociologico oltre che economico: quello del sovraindebitamento. Esso ha scaturito e amplificato gli effetti delle varie crisi e un sistema economico basato sull’indebitamento non potrà che riportarci al punto di partenza. Al di là degli interventi che i cittadini e le imprese possono cercare in entità sovranazionali e non, va specificato che una cultura molto radicata rispetto all’uso dell’indebitamento per salire nella scala sociale (ed esprimerlo mediante il consumo) non è sostenibile. Questo atteggiamento culturale è e sarà alla base delle cicliche crisi che continueranno ad attanagliare ogni velleità di crescita stabile e costante.
Il debito non va però demonizzato: senza di esso avremmo economie stagnanti. Ma gli agenti economici devono farne un uso congruo allo sviluppo della creatività imprenditoriale, mentre andrebbe evitato l’indebitamento finalizzato a spese inutili e speculazioni.
Premessa 3 – Le crisi recenti (subprime, eurozona, etc) sono tasselli di una crisi mondiale in atto
Una crisi come quella come affrontiamo non è solo finanziaria o economica ma culturale. Stiamo assistendo a un cambio strutturale dell’economia mondiale, con profonde ricadute geopolitiche, generato nel corso di pochi anni ed esploso con sorprendente velocità.
L’elevato grado di globalizzazione raggiunto dalla finanza e, in minor misura, dall’economia reale, ha portato la crisi da un angolo all’altro dal pianeta, colpendo però più duramente l’ex – centro del mondo (Europa e Usa) che l’ex-periferia, oggi divisa tra mondo emergente o quasi – emergente (una volta chiamato con un po’ d’ottimismo in via di sviluppo) e mondo in ritardo di sviluppo (composto da un certo numero di paesi lontani da una possibile “emersione”, e dal “sud del sud”, quelle parti di società degli emergenti non ancora toccate dalla crescita accelerata).
Un blocco della crescita economica al centro del sistema si era dato solo in occasione delle due guerre mondiali, che avevano favorito l’ascesa di chi ne era fisicamente lontano (gli Usa, che ne emersero come la nuova potenza di riferimento) e quei paesi della periferia che prosperarono grazie al fatto di essere rimasti fuori dal conflitto. Le due guerre mondiali mutarono drasticamente le realtà economiche preesistenti. L’attuale crisi sta avendo gli stessi effetti: la “guerra mondiale” cui stiamo assistendo è un conflitto più esteso, non combattuto con le armi belliche tradizionali ma con quelle finanziarie e economiche.
Spesso il mainstream analizza le crisi recenti considerandole “crisi come le altre, solo un po’ più forte”, dalla quale era logico aspettarsi di uscire facendo uso delle ricette abituali, solo usate con più determinazione. Alla fine, il mondo sarebbe tornato come prima.
Premessa 4 – Dalle recenti crisi sta uscendo un mondo profondamente diverso
Peccato che ormai sia chiaro che non è così: dalle recenti crisi sta uscendo un mondo profondamente diverso. Nel quale la crescita mondiale si origina, per la prima volta dai tempi della rivoluzione industriale, fuori dai paesi occidentali: non è la prima volta nella storia dell’umanità, dato che prima di quella rivoluzione Cina e India erano già tra le prime potenze economiche mondiali.
Siccome in Europa l’attenzione si è concentrata soprattutto sulla sostenibilità dell’euro, credo sia utile chiarire che questo è solo un aspetto della crisi, ma non quello – chiave. Se la crisi del debito che stiamo vivendo (in Europa, non solo nell’eurozona ma anche in Gran Bretagna e negli Usa) sta evidenziando la necessità di riformare a fondo un certo modo di gestire le finanze pubbliche, ma anche di modello economico.
La finanziarizzazione si è materializzata, nel corso degli anni ottanta e novanta, mediante un trasferimento in massa di risorse (i risparmi delle famiglie) dai titoli di stato che alimentarono la spesa pubblica verso i mercati azionari ed i valori immobiliari, che da allora si sono moltiplicati, dando luogo a un effetto – ricchezza abbastanza illusorio nelle classi medie, apparentemente soddisfatte dal fatto che le case acquisite si rivalutassero sempre più velocemente (i valori immobiliari urbani in occidente si sono in media quintuplicati nel corso dell’ultimo trentennio, generando l’illusione di una crescita infinita). La conseguente conversione dell’economia in finanza non ha però arricchito le classi medie: le statistiche dicono unanimemente il contrario.
Il processo aveva raggiunto il suo massimo nel periodo 2007 – 2008, al termine di un periodo nel quale gli operatori finanziari – chiave avevano creato un nuovo mostro mettendo assieme i due feticci (finanza e mattone): per dopare la crescita economica in contesti economici di capitalismo maturo (Europa e Usa), nei quali la crescita aveva raggiunto livelli fisiologicamente bassi, legati anche alla struttura demografica di società mature, non restava altro che continuare a spingere verso l’alto i valori finanziari e l’immobiliare, unici vettori di crescita nel mondo post – industriale.
Dopo l’esplosione della bolla del 2008, si pensò a un raggiustamento semi – automatico, ma la montagna di titoli in scadenza di debiti sovrani, di obbligazioni d’imprese e di buoni – spazzatura crea quegli scossoni che stanno sconvolgendo i mercati. Non ce ne sarà per tutti, e questo porterà al fallimento d’imprese e probabilmente anche Stati. La competizione per ottenere risorse per sopravvivere non porterà, purtroppo, a un ridimensionamento “negoziato” (un po’ di meno per tutti, in cerca del bene comune), ma sarà il risultato di una guerra senza esclusione di colpi, di cui una delle armi principali è la pressione informativa, i costanti allarmismi, i messaggi devianti, lo scarico di responsabilità su altri colpevoli.
Le dimensioni enormi e finanziarie della crisi hanno avuto per effetto di rendere insufficiente la prima risposta di tipo keynesiano, che ha avuto come corollario aggravante quello di mettere in crisi gli Stati. Grazie al processo di convergenza verso l’euro, quelli europei venivano da un decennio di buona salute finanziaria. Gli Usa invece il loro bonus lo hanno sciupato in Iraq, in Afghanistan e nella riduzione fiscali per i più abbienti. Si è aggravata la situazione d’indebitamento degli Stati senza che migliorasse quella delle imprese e della stragrande maggioranza delle famiglie, le altre due macrocomponenti del sistema.
Premessa 5 – La crisi degli Stati e dell’Euro: chi paghera’?
In questo quadro, gli Stati sono ridivenuti i “cattivi”: la finanza è riuscita a uscire più o meno intatta dal disastro provocato e rilancia. Gli Stati si vedono attaccati da più parti, in primis da agenzie di rating che hanno un ruolo fondamentale nel dare le carte. L’indebitamento degli Stati è in fondo ancora contenuto rispetto alla quantità di titoli spazzatura in circolazione: sono loro l’anomalia del sistema, non gli Stati, come sembrerebbe al leggere la stampa.
La vera guerra è quindi quella delle risorse relativamente scarse: diversi i fronti di battaglia. Quello dell’euro è molto gonfiato, a causa delle debolezze dimostrate dall’architettura dell’eurozona. In realtà, la valuta euro non è debole, e i mercati lo confermano (vedere quotazioni dall’inizio della crisi) e l’eurozona nel suo complesso sta meglio di Usa, Giappone e Gran Bretagna da un punto di vista macroeconomico, specie quando sommiamo debiti privati, pubblici ed esposizione del sistema finanziario, una sommatoria catastrofica nel caso dei due anglosassoni.
Il ritorno alle monete nazionali, per tutti o solo per qualcuno, supporrebbe un peggioramento della crisi globale, dato che al fallimento della maggioranza delle imprese aventi debiti denominati in euro e divenuti impagabili nelle nuove valute, si sommerebbe il fallimento degli Stati, a loro volta sommersi da montagne di debiti non fronteggiabili. L’impoverimento netto dell’ex – Eurozona sarebbe molto più significativo delle sofferenze attuali, e l’intero capitale di asset produttivi europei (il più grande al mondo) andrebbe sul mercato a prezzi stracciati, per la gioia degli investitori d’ogni altra parte del mondo. Ma non confondiamoci, la crisi dell’euro non è né la causa delle incertezze globali né il problema principale: semmai ne è un sintomo. Il nodo della questione è chi pagherà, nei prossimi due – tre anni. Chi si arricchirà e chi si impoverirà, tra paesi, imprese e famiglie. Esattamente come successe nel caso delle due guerre mondiali del XX secolo, che arricchirono alcuni e impoverirono altri, portandosi dietro un mondo e creandone uno diverso.
Conclusioni: e’ possibile risorgere?
L’occidente e’ in crisi profonda, una crisi economica e finanziaria ma anche culturale. La crisi e’ anche una crisi di sistema, di finanze pubbliche allegre, di debiti di stati, imprese e famiglie che crescono in modo indefinito.
Da questa crisi se ne uscira’ unicamente con una cambio di modello economico e culturale: resta da capire se cio’ avverra’ a seguito di un BIG BANG (crisi globale finale o evento traumatico) o se avverra’ preventivamente per presa coscienza collettiva (improbabile ma non impossibile).
L’occidente deve abbandonare illusioni di crescite economiche artificiali a debito, di Spese pubbliche improduttive ed allegre, di soluzioni tramite scorciatoie, di comportamenti e stili di vita non compatibili con la sostenibilita’ a lungo termine.
L’occidente deve agire sulla spesa rendendola produttiva, sui debiti affinche’ siano sostenibili ed incentrati su investimenti, sulla demografia (che deve essere sostenibile), sulla finanza (che deve essere mezzo e non scopo), sulla produzione di ricchezza basata sul sudore del lavoro (e non su quella di scommettere nella slot machine di turno), sui valori genuini, semplici e veri (buon senso, senso del dovere, famiglia, risparmio, realismo).
Dobbiamo puntare come valore primario al lasciare alle future generazioni qualcosa migliore di cio’ che si e’ ereditato, o comunque dar loro la possibilita’ di avere e costruirsi un futuro”… concetto banale, ma che vale piu’ di 100 articoli costituzionali a mio vedere.
GPG Imperatrice
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