Attualità
UN SUGGERIMENTO PER “PREMIARE” IL DEBITO ITALIANO E RISOLVERE UN PROBLEMA DI GIUSTIZA FISCALE
Il coronavirus presenterà la necessità di far fronte ad impegni di carattere finanziario di un ordine variabile fra i 100 ed i 200 miliardi di euro, ma temiamo che la cifra sarà più vicina al limite superiore. Inoltre è possibile che questo fabbisogno si renda necessario per più di un anno, risultando quindi, alla fine, superiore. Per questi motivi si rendono necessarie delle soluzioni di carattere finanziarie innovative, che non possono ricadere all’interno dell’uso del MES, sia per la sua limitazione nella versione meno vincolante, sia perchè imporrebbe politiche restrittive pro-cicliche che andrebbero contro i principi fondamentali dell’economia politica.
Fatta questa premessa le forze politiche più avvedute (quindi non il PD e più stretti accoliti, che insegue il sogno degli Eurobond, che mai si realizzeranno, per una concezione fideistica, non logico-politica) si sono messe a cercare delle soluzioni che, alla fine, convergono in due direzioni:
a) debito monetizzabile;
b) un debito “Preferenziale” con rendimento migliorativo, a lungo termine, da dedicare ai cittadini italiani, premiante soprattutto se detenuto a lungo termine.
Sul primo tema sono intervenuti anche Pisani-Ferry e Blanchard, con parole rassicuranti circa gli effetti di una monetizzazione nella situazione economica attuale, a cui in questo sito si è aggiunto Fabio Lugano con alcune osservazioni. Vorrei però spingermi oltre e considerare la seconda opzione.
Un’emissione fiscalmente o redditualmente premiale per i cittadini italiani ha , come significato, che la detenzione per un tempo sufficientemente lungo del titolo stesso o permette di ottenere un rendimento netto maggiorato rispetto ai titoli emessi con le aste ordinarie, oppure un trattamento fiscale preferenziale sia in termini di imposta di successione, sia, a quello che si è capito, anche di detraibilità fiscale di una percentuale del titolo stesso alla scadenza, se detenuto per un certo numero di anni. Possiamo immaginare dei titoli di durata almeno decennale che:
- abbiano un rendimento più elevato rispetto alle normali emissioni e privi delle ritenute alla fonte che di solito colpiscono gli interessi destinati ai residenti. In questo specifico caso si dovrebbe applicare una ritenuta alla fonte per i percettori esteri di eventuali rendimenti;
- siano esentate da imposte di trasferimento o successione o da imposta di bollo;
- possano godere di un vantaggio fiscale se detenuti sino alla scadenza.
Se immaginiamo un’emissione di 100 miliardi con un rendimento del 1% rispetto alle emissioni normali e quindi un premio del 5% per la detenzione alla scadenza, si tratta di coprire per ogni anno una maggiore costo del 1% , un miliardo, più la quota annualizzata del futuro esborso totale. Se questo viene fatto con le entrate-uscite attualmente previste dal Bilancio dello Stato abbiamo che il costo ricadrà sulla fiscalità generale, ed avremo la realizzazione del solito circolo chiuso: debito- > tassazione > manovra recessiva.
Bisogna quindi porre il problema in un’ottica diversa, di giustizia fiscale. Negli ultimi 30 anni alcuni paesi europei si sono identificati come autentici “Paradisi fiscali” all’interno dell’Unione:
- Paesi Bassi: nessuna tassazione sui trasferimenti di quote societarie con plusvalenze, nessuna tassa di successione, nessuna tassazione sugli utili distribuiti, tassazione agevolata degli utili, forme di elusione diffusa tramite Fondazioni e terzo settore (vedi Ikea);
- Lussemburgo, con accordi specifici verso multinazionali per la tassazione sul territorio europeo;
- Irlanda: tassazioni agevolate non giustificate unite ad una tassazione del 6,25% sui proventi da diritti d’autore.
Questa ingiustificata trattazione favorevole di certe categorie di utili ha portato ad una situazione di scorretta concorrenza fiscale,e che ha attratto una forte base imponibile dal nostro paese, ed ha favori forti fenomeni di elusione ed evasione nascosta. Nello stesso tempo le trattative su base europea per giungere ad una tassazione più uniforme sono fallite sul nascere, e non si può avere neppure uno scambio informativo efficiente per definire i volumi del fenomeno, ma basta sottolineare che FCA, Mediaset, Campari ed altre multinazionali prima con sede in Italia hanno trasferito la sede fiscale all’estero.
Quindi ad un problema di necessità finanziaria se ne accompagna uno di giustizia fiscale: una società di capitali che eroicamente decide di mantenere la sede in Italia paga imposte più alte, soprattutto in capo ai soci, rispetto alcaso in cui sposti la sede all’estero. Alla base di questo trattamento ci sono gli accordi bilaterali contro la doppia tassazione, come quello del 1990 con i Paesi Bassi, o quello ancora recentemente rivisto nel 2014 con il Lussemburgo. A questo punto l’Italia dovrebbe denunciare, portando a termine e disapplicandoli, gli accordi con paesi che presentano dei regimi manifestamente eccessivamente premiali sulla tassazione degli utili aziendali e dei trasferimenti di capitale e di proprietà rispetto all’Italia. Questo porterebbe a tensioni fra l’Italia ed alcuni paesi, ma porrebbe la base legale per un recupero di base imponibile, da soggetti al culmine della piramide economica, ed anche di ogni altra multinazionale i cui profitti sono prodotti in modo diretto o indiretto in Italia, sui profitti stessi. Inoltre la denuncia dell’accordo permetterebbe finalmente di ridiscuterlo su basi più eque e meno distorte. Per evitare distorsioni l’Italia potrebbe evitare, unilateralmente , la doppia tassazione dei redditi da lavoro dipendente di italiani residenti nei Paesi Bassi, Olanda ed Irlanda, almeno entro certi limiti, riducendo così ingiustificate distorsioni.
Dal punto di vista dei rapporti internazionali sarebbe un forte colpo, ma è giunto il momento, anche sotto la spinta dell’emergenza, di chiudere questa assurda situazione di concorrenza fiscale estrema fra i vari paesi, iniziando da quelli dell’Unione. Si tratta di una svolta necessaria che sarà la base di una nuova crescita.
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