Attualità
Un impegno concreto: aboliamo la “filantropia” per legge
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Nello stucchevole teatrino della contemporaneità, una scena si ripete con inquietante cadenza, animata da un protagonista in maschera altrettanto immancabile: il filantropo magnanimo, un uomo misteriosamente ricco e dai meriti misteriosamente incerti. Così ricco da potersi comprare uno Stato in saldo, lasciando il resto come mancia ai suoi zelanti commessi venditori. Così ricco da essere tra i primi finanziatori di un’organizzazione mondiali di stati votata alla tutela della nostra salute e probabilmente conquistata (o acquistata?) dalla di lui sconfinata liberalità. Così ricco da poter punteggiare il cielo di migliaia di satelliti, come agli antichi dei riusciva con le stelle. Tanto ricco, infine, da poter inondare di quattrini nazioni, associazioni, organizzazioni o gruppi, movimenti, cittadini affinchè le une e gli altri si prodighino “disinteressatamente” per il bene dell’umanità. Ma siccome parliamo di una scena, di un personaggio e di una maschera, basta guardare dietro il sipario, per scoprire tonnellate di polvere, proprio come sotto il proverbiale tappeto. La generosità del filantropo è sempre “calcolata”; e quanto egli concede non è mai il frutto di un cuore altruista, ma solo il prezzo del servizievole slancio di chi, lautamente beneficiato, poi provvederà a ricompensare il proprio benefattore.
Il tema, lo avrete intuito, è quello delle regalìe degli oligarchi della finanza, della tecnologia, dell’informatica a favore delle “espressioni” della cosiddetta “società civile”; e, in particolare, a buon pro di enti e soggetti operanti nel mondo della salute e della sanità, ma non solo. Il fenomeno, spesso sottovalutato, genera una spirale perversa di condizionamenti, tanto sottili quanto efficaci. Il favorito dalla cospicua prebenda – vuoi un consesso di paesi, vuoi un istituto di “ricerca”, vuoi uno “scienziato” da prima serata, vuoi un ente di “difesa” dei diritti umani – agisce poi inevitabilmente motivato da un sussiegoso senso di riconoscenza nei confronti del mecenate di turno.
Un meccanismo di manipolazione perfetto, e talora perverso, magistralmente studiato dal grande psicologo e sociologo Robert Cialdini, e compendiabile nel famoso detto latino del “do ut des”: chi riceve un favore si sente in obbligo, sempre e comunque (foss’anche solo a livello inconscio), di restituirlo. E la “restituzione”, in questi casi, si traduce in una agenda politica, in una narrazione mediatica, in una “letteratura” scientifica, in una opinionistica da salotto o anche solo in un social entertainment. Tutti “spintaneamente” sintonizzati sulla lunghezza d’onda degli interessi di chi paga. Come sempre, che retribuisce i musicisti decide la canzone.
Se durante la pandemia di Covid-19 abbiamo assistito al trionfo dello Storytelling Vaccinale a Lingue Unificate, lo dobbiamo anche al flusso ininterrotto di fondi spruzzati come spray, dalle grandi aziende farmaceutiche, onde coltivare la giusta riconoscenza da parte di medici, fondazioni, associazioni, istituti di ricerca. Contributi sparsi con generosità, certo, ma sempre accompagnati da un sottotesto implicito: l’opinione pubblica doveva previamente essere “informata” rispettando la trama di un copione apocalittico per poi essere “educata” alla sacra legge dell’ago. Oggi assistiamo a una riproposizione pedissequa dello stesso schema in altri ambiti: dalla geopolitica all’ambiente, dai fenomeni migratori alla tecnologia. E i maggiori “sponsor” sono i magnifici (e munifici) rappresentanti della categoria da cui abbiamo preso le mosse; ovvero i Paperon de’ Paperoni e i Rockerduck di “Cuoropoli”: la città, anzi la civiltà, del buon cuore e delle iniziative “umanistiche”.
Il caso più recente è quello dei finanziamenti che la fondazione di Bill Gates ha dirottato a diverse realtà italiane. Nulla di illegale, beninteso. La perplessità è un’altra: i soggetti sostenuti dall’occasionale filantropo, una volta ricevuti i fondi, sono ancora in grado di esprimere un giudizio autonomo sui temi che toccano gli interessi di chi li finanzia? O piuttosto finiscono per adottare posizioni “convenienti” che non mettono mai in discussione il potere economico del benefattore? O addirittura, e soprattutto, che ne implementano i programmi e ne realizzano le intenzioni? Qui non si tratta di demonizzare la beneficenza privata, bensì di riconoscere che essa, in mancanza di regolamentazione, rischia di trasformarsi in un micidiale strumento di soft power dove il target, destinatario dei “servizi”, siamo noi. Mentre lo scopo è quello di fare politica senza fare politica. Non serve sporcarsi le mani con le elezioni, i parlamenti e la rappresentatività popolare. Basta essere multimilionari e finanziare chi farà il lavoro; e magari pure lo sporco lavoro di portare avanti i desiderata di quelli a cui piace “fare” stando (apparentemente) a guardare.
Ne deriva una esigenza indifferibile di cui dovrebbe farsi interprete, traducendola in proposte legislative draconiane, qualsiasi partito di vocazione autenticamente democratica: vale a dire, una normativa chiara, a livello nazionale ed europeo, atta a disciplinare il “pasticcio” di interessi di cui sopra. Si badi bene: non proponiamo di bloccare o impedire le donazioni dei magnati dalle mani tese o dei colossi di Big Pharma o dei capitani coraggiosi del Capitalismo dal volto umano. Semplicemente, la loro magnanimità va incanalata in un sistema che tronchi, alla radice, ogni filo “diretto” tra il beneficiante e il beneficiario. Chi dà non deve sapere chi riceve e chi riceve non deve sapere chi ha dato. In elegante applicazione del monito evangelico: non sappia la tua destra ciò che fa la tua sinistra.
Dev’esserci una stanza di compensazione, rigorosamente pubblica (a livello locale, nazionale e internazionale) dove vanno fatti confluire i finanziamenti dei novelli francescani miliardari, magari fissando una soglia oltre la quale il contributo diventa “sorprendente”; e, dunque, deve restare anonimo. Dopo di che, da quella che abbiamo definito “stanza di compensazione” potranno partire – sotto un severo controllo pubblico di persone passate al vaglio di un’urna – aiuti, contributi, elargizioni a società, fondazioni, comunità di dottori, enclavi di scienziati, movimenti di comuni cittadini. I quali, però, dovranno tassativamente ignorare la provenienza dei “favori”. Così da non innescare la trappola della “reciprocità”. E così da permettere ai successivi “favoriti” di non essere minimamente influenzati, né influenzabili, dalla tentazione, anche solo “istintiva” e “non voluta”, di compiacere chi li ha compiaciuti.
Il finanziatore privato non verrebbe “privato” del piacere di donare, ammesso che solo e soltanto tale sublime e regale virtù sia il movente di cotanta filantropia. Però lo farebbe con modalità diverse: senza mai poter immaginare, né prima né dopo, a chi siano stati veicolati i suoi soldini. Si tratterebbe, molto semplicemente, di farli diventare “pubblici”, in tutti i sensi. E come tali – una volta bonificati dall’odioso sospetto di un secondo fine strumentale – essi giungeranno a destinazione senza nome, senza loghi e senza distintivi. Questo sistema salverebbe capra e cavoli: la “capra” dell’incoercibile istinto umanitario dei novelli Creso in saio di juta e i “cavoli” dei volonterosi volontari o degli enti di pubblica utilità o degli uomini di scienza impegnati in tante lodevoli attività altrettanto umanitarie.
Scommettiamo che riapparirebbero, come per magia, “piste” scientifiche, soluzioni mediche, ipotesi di “lavoro”, proposte politiche oggi insabbiate, o calunniate, o non considerate sol perché invise agli obbiettivi, agli interessi e alle agende dei carissimi benefattori? E scommettiamo, altresì, che calerebbero drasticamente anche le donazioni? Ma questo effetto collaterale sarebbe comunque utile a smascherare la pantomima attuale.
Post scriptum. Il progetto di legge in questione dovrebbe prevedere pene esemplari (detentive ovviamente, e di carattere assolutamente afflittivo e massimamente punitivo) nei confronti di qualsiasi individuo, amministratore, professore, scienziato, ricercatore – per quanto conosciuto, stimato, illustre (o “lustrato”) – il quale venga beccato con le mani nella marmellata. Vale a dire, pizzicato a farsi finanziare, in qualsiasi modo, per qualsiasi somma e sotto qualsiasi forma (dalle sponsorizzazioni alle donazioni, dai viaggi premio ai benefit in natura, dai contributi ai rimborsi spese) da qualunque soggetto privato in conflitto di interessi con la materia di cui il (vero o presunto) soggetto gratificato, direttamente o incidentalmente, si occupi.
State certi che, in tal modo, risolveremmo – se non del tutto, in buona parte – uno dei più gravi problemi dei nostri tempi: la “corruzione” non tanto legale, quanto mentale, morale, culturale di chi copiosamente “dona” e di chi, altrettanto “amorevolmente”, ricambia.
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com
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