Attualità
Dazi, GNL e norme: la partita a scacchi tra Trump e un’Europa divisa e contraddittoria
Con la scadenza del 9 luglio che incombe, l’ultimatum di Trump sta spaccando l’Unione Europea. Scopri il drammatico braccio di ferro tra Washington e Bruxelles, con dazi, GNL e la sovranità normativa dell’UE in gioco. La Germania è pronta a cedere, ma la Francia resiste: l’Europa è sull’orlo del precipizio.

Mancano pochi giorni alla scadenza del 9 luglio, e la tensione tra Washington e Bruxelles è palpabile., nonostante Trump si sia detto disposto a rinviare la scadenza dell’ultimatum commerciale.
La poposta lanciata dal presidente Donald Trump non è solo una questione di dazi, ma una sfida frontale all’arroganza del modello normativo dell’Unione Europea.
Sul tavolo c’è un’offerta “che non si può rifiutare” per dirla secondo Il Padrino: un dazio di base del 10% su tutte le merci UE, acquisti massicci di Gas Naturale Liquefatto (GNL) americano e, soprattutto, un drastico ridimensionamento delle ambizioni normative europee. Di fronte a questa offensiva, l’UE si presenta divisa, e confusa e le sue “linee rosse” che sbiadiscono di ora in ora.
La logica di Trump: riequilibrare i conti
Per comprendere l’aggressività dell’amministrazione Trump, è necessario partire da un numero: 236 miliardi di dollari. Questo è l’ammontare del surplus commerciale di beni che l’UE ha registrato verso gli Stati Uniti nel 2024. Dal punto di vista della Casa Bianca, questo non è un dato statistico, ma la prova di uno squilibrio sistemico e di una concorrenza sleale che dura da decenni. La filosofia di Trump, sostenuta da consiglieri come Peter Navarro e Stephen Miran, vede i deficit commerciali come una perdita netta di ricchezza e posti di lavoro per l’America.
L’offerta, quindi, è brutale nella sua semplicità: per evitare dazi punitivi che potrebbero arrivare fino al 50% , l’UE deve non solo accettare un dazio “reciproco” di base del 10%, ma anche impegnarsi ad acquistare “350 miliardi di dollari di energia americana”, principalmente GNL, per azzerare il deficit. Una cifra definita “comicamente impraticabile” dagli analisti, dato che supera l’intera capacità di esportazione statunitense e il fabbisogno europeo, ma che serve come potente simbolo politico della portata del riequilibrio richiesto. L’importante è la riduzione del deficit commerciale.
Il Vero Bersaglio: Green Deal e Sovranità Digitale
Se i dazi sono l’arma, il vero obiettivo strategico di Washington sembra essere la sovranità normativa dell’UE. L’amministrazione Trump considera le due iniziative faro di Bruxelles, il Green Deal e il pacchetto di regolamentazione digitale (DMA/DSA), come astute “barriere non monetarie” e una forma di “estorsione d’oltremare” progettate per escludere le aziende americane.
Il Green Deal, con i suoi stringenti standard ambientali (ad esempio sulle emissioni di metano), è visto come un ostacolo protezionistico alle esportazioni di GNL e altri prodotti statunitensi. La richiesta di “flessibilità” su queste norme equivale a chiedere all’UE di annacquare le proprie politiche climatiche per accomodare i prodotti americani. Anche perché altrimenti queste norme sarebbero un vero e proprio dazio posto agli USA.
Ancor più duro è lo scontro sul fronte digitale. Il Digital Markets Act (DMA), che impone regole severe alle grandi piattaforme “gatekeeper” (quasi tutte americane), è apertamente definito una “tassa europea sulle aziende americane”. Un memorandum della Casa Bianca del 21 febbraio 2025 accusa l’UE di colpire ingiustamente le aziende USA, minare la libertà di parola e violare la “sovranità americana”. La richiesta è chiara: esenzioni per le Big Tech e un passo indietro sull’applicazione delle regole. Inizialmente definite “linee rosse” invalicabili da Bruxelles, queste normative sono ora sul tavolo dei negoziati, con la Commissione che ammette che “nulla è fuori discussione” per raggiungere un accordo. Del resto queste normative sono contetstae anche nella UE perché liberticide e complesse.
Un’Europa divisa: il Pragmatismo tedesco contro il Formalismo francese
La pressione di Trump ha fatto emergere tutte le crepe all’interno dell’Unione. Il motore franco-tedesco, tradizionalmente unito, oggi procede a velocità diverse. Da un lato, il Cancelliere tedesco Friedrich Merz, spinto dalla necessità di proteggere le potentissime industrie esportatrici del suo paese (automotive, chimica, manifatturiera), preme per un accordo “rapido e semplice”. Per la Germania, accettare un dazio di base del 10% e un accordo anche “squilibrato” è un prezzo pagabile in cambio della rimozione dei ben più dannosi dazi settoriali (25% sulle auto, 50% su acciaio e alluminio) e, soprattutto, in cambio di prevedibilità.
Dall’altro lato, il Presidente francese Emmanuel Macron ha inizialmente adottato una postura più formalista e intransigente, invocando una “pace commerciale” tra alleati. Tuttavia, con l’avvicinarsi della scadenza, anche Parigi ha ammorbidito la sua posizione. Macron ha recentemente dichiarato che, se necessario, si accontenterebbe di un accordo con dazi al 10%, simile a quello ottenuto dal Regno Unito. Questa ritirata strategica, unita all’uso interno della crisi per giustificare un’agenda di austerità , indebolisce ulteriormente il fronte negoziale europeo. Questa frattura tra il pragmatismo industriale di Berlino e il formalismo strategico di Parigi (ora in ritirata) è esattamente ciò su cui Trump conta per massimizzare la sua leva negoziale.
Perché il dazio del 10% è, praticamente, nulla, facilmente assorbibile a livello dei vari margini commerciali di produttori , importatori e fornitori di servizi. Il vero problema , in questo momento, è la svalutazione del dollaro, che sta pesando ben più del dazio sull’export.
Il Jolly geopolitico: dazi differenziali e la leva NATO
A complicare ulteriormente il quadro, Trump ha dimostrato di essere pronto a usare i dazi come strumento di politica estera, legandoli a questioni completamente diverse come la spesa per la difesa. L’esempio più lampante è la minaccia rivolta alla Spagna. Insoddisfatto dell’impegno di Madrid a raggiungere il nuovo obiettivo di spesa NATO del 5% del PIL, Trump ha dichiarato senza mezzi termini che la Spagna pagherà “il doppio” nei negoziati commerciali. “Se la Spagna non paga il 5%, pagherà sul commercio”, ha affermato, introducendo il concetto di dazi differenziali e punitivi basati non su logiche economiche, ma su allineamenti geopolitici.
Questa tattica trasforma il negoziato in un campo minato per l’UE, che negozia come un blocco unico. Qualsiasi concessione fatta a un singolo paese per ragioni non commerciali minerebbe la coesione e il principio stesso del mercato unico, ma sarebbe anche una grandissima tentazione.
Verso un accordo al ribasso?
L’UE, divisa e sotto pressione, potrebbe accettare il dazio di base del 10% e offrire concessioni significative, seppur formulate in modo vago, su Green Deal e DMA. In cambio, spera di ottenere la rimozione dei dazi settoriali più letali e una tregua temporanea. De resto e posizioni e gli interessi sono troppo diversi per poter veramente esprimere un’unica posizione, e tutti hanno troppo da perdere. Nello stesso tempo Bruxelles sembra incapace di raggiungere qualsiasi posizione di sintesi.
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