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Economia

Guerra segreta per TikTok: Trump ha trovato il compratore, ma la Cina si oppone. Cosa succede ora?

Un colpo di scena clamoroso scuote il mondo della tecnologia: Donald Trump annuncia di aver trovato gli acquirenti per TikTok. Ma la Cina resiste, bloccando la vendita di un tesoro segreto: l’algoritmo. Rivivi i momenti di tensione di una battaglia geopolitica che decide il destino di milioni di utenti.

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Logo di TikTok

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha dichiarato di aver trovato un gruppo di “persone molto ricche” pronte ad acquistare le operazioni americane di TikTok, il popolare social media di proprietà della cinese ByteDance. In un’intervista a Fox News, Trump ha rivelato:

“Abbiamo un acquirente per TikTok. Probabilmente servirà l’approvazione della Cina, e credo che il presidente Xi la concederà”. La scadenza per la vendita, fissata al 17 settembre 2025, è stata posticipata per la terza volta da gennaio, riflettendo l’importanza strategica e la complessità di questo accordo. Trump, che attribuisce a TikTok un ruolo chiave nel raggiungere i giovani elettori durante la campagna del 2024, ha promesso dettagli sugli investitori entro un mese.

Il piano, secondo quanto riportato dal Financial Times ad aprile, vedrebbe un consorzio di investitori americani, tra cui giganti come Andreessen Horowitz, Blackstone e Silver Lake, acquisire circa il 50% di TikTok USA. Gli attuali investitori di ByteDance, come General Atlantic, Susquehanna, KKR e Coatue, deterrebbero il 30%, mentre la Cina manterrebbe una quota inferiore al 20%, in linea con la legge statunitense che richiede il distacco da proprietà cinesi per motivi di sicurezza nazionale. Tuttavia, la trattativa è tutt’altro che semplice.

Un ostacolo cruciale è l’approvazione del governo cinese. In passato, Pechino ha dichiarato che bloccerebbe qualsiasi vendita, e le recenti tariffe del 54% imposte da Trump sulle importazioni cinesi hanno complicato ulteriormente i negoziati, portando a una sospensione delle trattative ad aprile. La Cina, infatti, considera TikTok un asset strategico, non solo per il suo valore economico (stimato fino a 50 miliardi di dollari per le sole operazioni USA), ma soprattutto per il suo algoritmo, il cuore tecnologico che personalizza i contenuti per gli utenti. Questo algoritmo, incluso nel database ufficiale cinese, è soggetto a rigidi controlli all’esportazione, e Pechino potrebbe opporsi a qualsiasi trasferimento.

Un altro punto critico è il controllo dell’algoritmo stesso. Alcuni analisti ritengono che, per rispettare l’ordine esecutivo di Trump, che minaccia la chiusura di TikTok in assenza di una vendita, un’entità statunitense debba averne il pieno controllo. Tuttavia, ByteDance e la Cina sembrano riluttanti a cedere questa tecnologia, considerata l'”ingrediente segreto” del successo di TikTok. Una proposta alternativa, avanzata da investitori come Frank McCourt Jr., prevede di migrare i dati degli utenti su una piattaforma open-source, evitando l’acquisizione dell’algoritmo.

Nonostante le difficoltà, Trump sembra determinato a mantenere TikTok operativo, evitando un ban che priverebbe 170 milioni di utenti americani della piattaforma. “Non voglio che TikTok sparisca”, ha ribadito, sottolineando l’interesse di numerosi acquirenti, tra cui nomi come Oracle, MrBeast, Elon Musk e Perplexity AI. Tuttavia, la Casa Bianca sta svolgendo un ruolo senza precedenti come mediatore, quasi come una banca d’investimento, per orchestrare un accordo che soddisfi sia gli investitori sia le esigenze di sicurezza nazionale.

La vicenda TikTok è un intreccio di geopolitica, economia e tecnologia. Le tensioni tra Stati Uniti e Cina, esacerbate dalla guerra commerciale, rendono incerta la possibilità di un accordo. Se da un lato Trump usa le tariffe come leva negoziale, dall’altro la Cina potrebbe preferire chiudere le operazioni USA piuttosto che cedere un asset strategico. Con la scadenza di settembre alle porte, aggiornata appena il 21 giugno scorso, il futuro di TikTok in America resta appeso a un filo, in un gioco di potere tra Washington e Pechino.


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