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EconomiaEnergia

Terre Rare dai rifiuti elettronici: la rivoluzione del “Riscaldamento Joule Lampo” che può cambiare tutto

Un nuovo processo ultra-veloce e pulito permette di recuperare terre rare dai magneti scartati con rese del 90%, riducendo drasticamente costi, inquinamento e la dipendenza strategica dall’estero.

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Le chiamano “terre rare”, ma di raro, nella nostra vita quotidiana, hanno solo il nome. Sono ovunque: negli smartphone, nei computer, nei motori delle auto elettriche e nelle turbine eoliche. Il problema? La loro estrazione è inquinante e costosa, e la catena di approvvigionamento è saldamente in mano a pochi Paesi, con la Cina a fare da padrona. Una dipendenza strategica che l’Occidente sconta da anni. Ora, però, una scoperta dei ricercatori della Rice University potrebbe rimescolare le carte in tavola.

Un team guidato da James Tour e Shichen Xu della Rice University  ha messo a punto un metodo fulmineo per recuperare questi elementi preziosi dai magneti gettati via, il cuore pulsante di molta componentistica elettronica. La tecnica, denominata Riscaldamento Joule Lampo (Flash Joule Heating – FJH), promette di essere non solo incredibilmente veloce, ma anche più pulita ed economica dei metodi tradizionali. Un piccolo passo per un laboratorio, un balzo da gigante per l’economia circolare.

Come funziona la “scossa” che purifica i materiali

Dimenticate i lenti processi idrometallurgici, che richiedono enormi quantità di acidi e acqua, generando scorie tossiche. Il nuovo approccio è quasi brutale nella sua semplicità ed efficienza.

Il materiale di scarto (ad esempio, vecchi magneti al neodimio-ferro-boro o al samario-cobalto) viene sottoposto a una potentissima e brevissima scarica elettrica. Questo processo innalza la temperatura a migliaia di gradi in pochi millisecondi. Contemporaneamente, viene immesso del cloro gassoso. A questo punto interviene la termodinamica: gli elementi non desiderati, come ferro e cobalto, hanno un’affinità maggiore con il cloro e punti di ebollizione più bassi. Si trasformano così in cloruri volatili e, semplicemente, evaporano.

Ciò che resta è una polvere ricca di ossidi di terre rare, separati in pochi secondi e senza l’uso di una sola goccia d’acqua o di acidi. “Abbiamo dimostrato di poter recuperare elementi di terre rare dai rifiuti elettronici in secondi, con un’impronta ambientale minima”, ha commentato il professor Tour.

I risultati: parlano i numeri

Il laboratorio non si è limitato a dimostrare la fattibilità, ma ha anche analizzato l’impatto complessivo del processo tramite un’analisi del ciclo di vita (LCA) e un’analisi tecno-economica (TEA). I risultati, rispetto all’idrometallurgia convenzionale, sono impressionanti:

  • Purezza e resa: Oltre il 90% in un singolo passaggio.
  • Consumo energetico: Ridotto dell’87%.
  • Emissioni di gas serra: Ridotte dell’84%.
  • Costi operativi: Tagliati del 54%.

Questi numeri trasformano una brillante idea accademica in un percorso industriale potenzialmente molto redditizio.

Implicazioni economiche e geopolitiche: verso l’autonomia strategica

Il vero potenziale di questa tecnologia risiede nella sua scalabilità e flessibilità. Il processo è così efficiente che non richiede impianti giganteschi. Si potrebbero costruire piccole o grandi unità di riciclo direttamente vicino ai centri di raccolta dei rifiuti elettronici (RAEE). Questo ridurrebbe i costi di trasporto e l’impatto ambientale della logistica, creando un vero modello di economia circolare a chilometro, si potrebbe dire, quasi zero.

Per Paesi come l’Italia e per l’Europa intera, fortemente dipendenti dalle importazioni di materie prime critiche, questa è una notizia di portata strategica. Sviluppare una filiera domestica per il recupero delle terre rare significa non solo creare posti di lavoro e know-how tecnologico, ma anche e soprattutto ridurre una pericolosa vulnerabilità geopolitica.

La strada è già tracciata: la Rice University ha concesso in licenza la proprietà intellettuale a Flash Metals USA, una startup texana che punta a iniziare la produzione entro il primo trimestre del 2026. Se questa tecnologia manterrà le sue promesse su scala industriale, potrebbe davvero innescare una rivoluzione nel modo in cui il mondo recupera e riutilizza le sue risorse più critiche.

Terre rare sulla tabella degli elementi

Domande e Risposte

1) In parole semplici, come funziona esattamente questo nuovo metodo? Il metodo, chiamato Riscaldamento Joule Lampo, applica una fortissima corrente elettrica ai rifiuti di magneti per una frazione di secondo. Questo genera un calore estremo (migliaia di gradi) che, in presenza di cloro, fa “evaporare” i metalli indesiderati come ferro e cobalto sotto forma di gas. Le terre rare, che reagiscono diversamente, non evaporano e rimangono come una polvere solida e purificata. È un processo di separazione termochimica ultra-veloce che non necessita di acidi né di acqua.

2) Quali sono i vantaggi economici concreti di questa tecnologia rispetto ai metodi tradizionali? I vantaggi sono notevoli. Innanzitutto, i costi operativi sono ridotti di oltre il 50% grazie al minor consumo di energia (-87%) e all’assenza di reagenti costosi e difficili da smaltire come gli acidi. La velocità del processo (secondi contro ore o giorni) permette di processare maggiori volumi in meno tempo, aumentando la produttività. Infine, la possibilità di creare impianti di riciclo locali e più piccoli riduce drasticamente i costi di logistica e trasporto dei rifiuti, rendendo il recupero economicamente conveniente anche per volumi minori.

3) Questa tecnologia può davvero ridurre la dipendenza dell’Occidente dalla Cina per le terre rare? Sì, ha il potenziale per essere un fattore chiave. La dipendenza attuale non deriva solo dalla scarsità di miniere in Occidente, ma anche dagli alti costi ambientali ed economici dell’estrazione e della raffinazione. Creando una via efficiente, pulita ed economica per riciclare le terre rare già presenti nei nostri rifiuti (“miniera urbana”), si può costruire una fonte di approvvigionamento interna e circolare. Questo non eliminerà del tutto la necessità di importazioni, ma può ridurla drasticamente, aumentando la sicurezza e la resilienza delle catene di approvvigionamento strategiche per l’industria high-tech e green.

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