Attualità
Strategie per l’europa contro i populismi (ovvero come darsi la zappa sui piedi)
Ho letto con interesse un saggio pubblicato da Astrid di Nicola Verola, alto funzionario statale e sostenitore accanito e pensante del progetto europeo, una di quelle persone che dovrebbe collaborare con il Professor Savona.
Prima di tutto ne sintetizzerò in pensiero facendo citazioni, ma non riportando il testo per intero in quanto coperto da diritti e cercando di essere il più fedele possibile al pensiero dell’autore.
Il saggio parte da una constatazione, la crisi dell’ideale europeista :
” Lo scenario “del parlamento Europeo di oggi è ” vagamente surreale, come un Sinodo aperto agli anticlericali.”
Dopo pochi decenni, l’inverosimile si è verificato.
Calcoli alla mano, ciò vuol dire che una quota compresa fra il 20 e il 25% degli eurodeputati nutre seri dubbi sulla costruzione europea, quando non la avversa del tutto. Un dato che potrebbe persino peggiorare con le elezioni del 2019.”Citazione1
Questo porta al superamento della tradizionale antitesi destra sinistra.
“Gli elettori non sono più chiamati a scegliere, come in passato, fra ricette alternative per la gestione della cosa pubblica. Devono scegliere fra due visioni del mondo. O meglio, due visioni alternative del rapporto fra la comunità di appartenenza, comunque intesa, e il resto del mondo: da una parte, i fautori della chiusura, che vedono nei vincoli internazionali un ostacolo alla libera espressione della sovranità popolare; dall’altra, i fautori dell’apertura, che considerano l’interdipendenza come un dato ineludibile, l’integrazione europea come una conquista e e la gestione congiunta delle problematiche transnazionali come un valore.” Citazione2
Per Verola questa contrapposizione radicale (e manichea) presenta dei vantaggi (ovviamente per il fronte eurista), ma limiti perché
“ Non rappresenta la complessità del reale” e dà un “ approccio remunerativo” solo a certe condizione e nel breve periodo. Radicalizzando infatti le posizioni rischia di portare consenso ad un antieuropeismo più radicale nel medio periodo. Quindi
“occorre elaborare una mappatura più accurata della nuova geografia politica europea. Una mappatura che faccia salve le istanze di fondo del modello duale – cogliere l’elemento di novità dell’ascesa dei populismi, identificare con chiarezza la posta in gioco, fornire una guida per l’azione politica – delineando al tempo stesso un quadro più articolato delle opzioni politiche disponibili.” Citazione3
Applicando il metodo proposto, si possono individuare quattro grandi orientamenti: gli europeisti convinti, gli europeisti condizionali, gli euroscettici pragmatici e gli euroscettici radicali, … Se si prendono come metro di paragone le politiche economiche, i primi sono fautori convinti dell’approccio ordo-liberista che caratterizza l’Eurozona; i secondi lo condividono fino a un certo punto ma lo ritengono utile per promuovere un’agenda di riforme nazionali; i terzi vedono tutti i limiti delle politiche europee degli ultimi anni ma nutrono una profonda sfiducia nella capacità del proprio Paese di operare correttamente senza un “vincolo esterno” imposto dall’Europa. E’ quest’ultimo un approccio “ortopedico” particolarmente radicato in Italia.” Citazione4
Volgendo poi l’attenzione sulle categorie intermedie l’autore sostiene che
” gli europeisti condizionali ritengono che il “gioco” europeo vada giocato fino in fondo, seguendone con correttezza le regole, anche quando non sono condivisibili. Essi pensano infatti che i suoi benefici complessivi siano tali da rendere tollerabili anche delle policy subottimali. Certo, cercano di modificarle e le contestano in alcuni casi anche duramente. Ma sempre facendo attenzione a non mettere a repentaglio la tenuta complessiva dell’edificio comune. “Citazione5
“Gli euroscettici pragmatici non condividono la visione cosmopolita alla base del progetto europeo ma possono tutto sommato conviverci. Anche perché essi sono spesso conservatori sul piano politico e vedono tutto sommato nell’UE un elemento dello “statu quo”. Se si trovassero a dover scegliere, probabilmente non sottoscriverebbero l’avvio ex nihilo del processo d’integrazione. Ma accettano di preservare quanto è stato costruito dal 1957 ad oggi.
Al tempo stesso, gli euroscettici pragmatici hanno un atteggiamento sostanzialmente positivo nei confronti delle politiche dell’Unione. Molto positivo, fino alla piena adesione, quando ne condividono le premesse ideologiche; abbastanza positivo, tendente all’acquiescenza, quando le considerano un male minore.” Citazione6
Per poi passare agli euroscettici radicali definiti un po’ più sbrigativamente:
“L’ultima categoria, iscritta nel quadrante in basso a destra, è per certi versi la più definita. Ad essa appartengono le formazioni politiche che respingono tutti gli aspetti del processo di integrazione. Gli euroscettici radicali sono contrari alle condivisioni di sovranità e si oppongono alle politiche dell’Unione, per la semplice ragione che, indipendentemente dalla bontà o meno delle singole scelte, non ritengono che esse spettino al livello sovranazionale. Per loro, l’Unione Europea è un insopportabile intralcio; un organismo da abbattere per consentire ai popoli di tornare a essere padroni del proprio destino.” Citazione7
A questo punto avanza la sua tesi.
Dallo schema che abbiamo tratteggiato emergono alcune indicazioni operative. La principale è che, per frenare la deriva anti-europea, occorre innanzitutto evitare che le categorie 2 e 3 – gli europeisti condizionali e gli euroscettici pragmatici – convergano sulla categoria 4. Si radicalizzino cioè fino a diventare apertamente euroscettici.
L’autore ritiene migliore una strategia articolata perché
“Laddove la distanza culturale fra partiti conservatori e moderatamente nazionalisti, da un lato, e populisti anti-europei, dall’altro, è ampia, come in Francia, il “ralliement” liberal democratico (lo schema dualista di Macron) può funzionare. Nei Paesi in cui questa distanza è minore, ingabbiare il dibattito in una dinamica binaria può ritorcersi contro la causa europea, portando gli euroscettici pragmatici o quantomeno i loro elettori a spostarsi verso posizioni più radicali….
… occorre tuttavia parlare il linguaggio della ragionevolezza e della moderazione più che quello della chiamata alle armi. In fondo, gli euro-pragmatici hanno una percezione abbastanza positiva dell’impatto delle politiche europee. Occorre coltivarla, promuovendo riforme mirate. Una governance dell’Eurozona che facilitasse la ripresa nei Paesi maggiormente colpiti dalla crisi del 2008-2012 e politiche migratorie più efficaci farebbero molto per evitare uno smottamento di questa categoria verso posizioni più radicali. “Citazione8
“Per la principale componente degli europeisti condizionali, i progressisti, ciò significa superare l’approccio neo-liberale ed austeritario che ispira la governance dell’Eurozona. O quantomeno far sì che esso non sia una scelta obbligata, come è stato il caso finora, ma una delle ricette alternative a disposizione della politica.
Più in generale, ripristinare l’opzione “voice” all’interno dell’UE significa superare l’approccio tecnocratico, secondo cui la gestione della cosa pubblica non è altro che l’attuazione di una serie di scelte tecniche “inevitabili”. Per farlo, occorre ri-politicizzarle, ciò renderle contendibili” N. VEROLA – LA NUOVA GEOGRAFIA DELLA POLITICA EUROPEA Citazione9
Interessantissima è la conclusione
“Nel complesso, anche se l’opzione “voice” dovesse fallire, lo statu quo potrebbe essere ancora sostenibile. Un’Unione non riformata potrebbe ancora destreggiarsi fra gli scogli dell’euroscetticismo aspettando magari tempi migliori. Questo “tirare a campare” (o, più elegantemente, “muddle through”, secondo l’espressione ormai in voga a Bruxelles) lascerebbe però l’Europa a metà del guado. Con il rischio che prima o poi arrivi un’onda di piena. Una catastrofe inattesa che potrebbe assumere le forme di un’altra crisi finanziaria o semplicemente di un “incidente” elettorale – come per molti versi è stata la Brexit – in un Paese chiave.
E non basta neanche promuovere delle mere alleanze elettorali. Occorre piuttosto adoperarsi per prevenire lo smottamento verso posizioni euroscettiche dei due gruppi che abbiamo definito europeisti condizionali ed euroscettici pragmatici. Un’opera di consolidamento che richiede innanzitutto il ripensamento di alcune delle principali politiche dell’Unione.” Citazione10
Oggettiva e non discutibile l’analisi iniziale citazioni 1 e 2 interessante la distinzione operata nelle 4 posizioni sull’Europa: Euroentusiasti (citazione 2 e 4), europeisti condizionali ( perlo più la Sinistra) (citazione 5), Euroscettici pragmatici (individuati nei conservatori) (citazione 6) ed euroscettici radicali (citazione7). L’autore s’è infatti concentrato sulla composizione del secondo e terzo gruppo ricercando delle strategie che impedissero la radicalizzazione dell’euroscetticismo trascurando l’architettura interna del primo e del quarto gruppo (questa assai approssimativa ed anche un po’ grottesca). Mi spiego: il cambiamento in senso più “sociale” delle strategie europee va a confliggere con due assi portanti del primo gruppo vale a dire gli interessi del liberismo finanziario (egemone nella struttura europea odierna) e gli interessi di una parte del terzo gruppo e delle nazioni dell’Europa del Nord per nulla favorevoli ad andare incontro ai debiti del Sud nell’accezione di una narrativa consolidata e maggioritaria della situazione, fatta e propagandata con costanza negli ultimi 10 anni. E questo spiega perchè la proposta Macron è di fatto già cassata (intendiamoci, l’apparente generosità di Macron nel mettere in comune i debiti aveva una contropartita, si sarebbe spogliata l’Italia di tutto ciò che era a lui appetibile e cedibile a garanzia, non solo di tratti di mare pescoso).
Per quanto riguarda il quarto gruppo lo studio si dimentica di un problema fondamentale che molti suoi esponenti pongono: cioè l’incompatibilità dell’attuale costruzione europea e dei suoi vincoli con i sistemi democratici nazionali, ribaltando l’asserzione che gli euroscettici siano i portatori di una deriva autoritaria mentre lo è l’Europa. Che un alto burocrate non si ponga il problema essendo l’attuale Europa un’organizzazione burocratica e non un organismo democratico (lo inviterei a studiarsi un po’ il professor Guarino) è comprensibile, ma a livello di cittadini il problema rimane ed è spesso percepito così. Sorvolo poi sul fatto che davanti ai singoli problemi gli esponenti della Prima e della Seconda posizione tendano a partire con insulti diretti, intimidazioni mafiose, ricatti finanziari e no, ed altri mezzucci “vomitevoli” che poco hanno a vedere con l’idea della moderazione che l’autore auspica, ma mi appunto sul finale. Lì l’autore, senza rendersene conto, di fatto legittima ed auspica un piano B per un’uscita dall’Euro. Infatti nel caso che sulla sua strategia fallisca (cosa che in base agli argomenti sopracitati è possibile, anzi probabile) e il massimo che si riuscirà a ottenere è che l’Europa galleggi fino alla prima seria crisi (citazione 10), resta da chiedersi cosa fare quando essa arriverà e l’Europa dei burocrati e delle banche affonderà, subire gli eventi o aver pronta una scialuppa di salvataggio? Messa così direi che ha ragione il Professor Savona.
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