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Sorpasso storico! La piccola Guyana umilia il gigante venezuelano. Il mercato batte la statalizzazione 900mila a 800mila

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C’è una certa ironia, quasi crudele, nella storia economica. A volte, Davide non si limita a sconfiggere Golia con una fionda, ma lo sommerge sotto un mare di greggio. È quanto accaduto ufficialmente questo novembre, una data che rimarrà negli annali dell’energia sudamericana: la minuscola Guyana ha superato il Venezuela nella produzione di petrolio.

Parliamo di una nazione con la popolazione di una provincia italiana (circa 800.000 anime) che ha messo la freccia e superato il paese che detiene le maggiori riserve provate del pianeta. Un paradosso geologico ed economico che merita di essere analizzato, non solo come notizia di cronaca, ma come case study su come la gestione delle risorse conti più della risorsa stessa.

I numeri del sorpasso

Secondo l’ultimo rapporto dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE), i dati sono impietosi. A novembre 2025, la produzione venezuelana è crollata a 866.000 barili al giorno (bpd), perdendo circa 150.000 barili rispetto ai mesi precedenti. Al contrario, la Guyana ha sfondato il muro dei 900.000 bpd.

Per dare un quadro chiaro della situazione, ecco un confronto diretto che spiega l’abisso in termini di efficienza:

IndicatoreGuyanaVenezuela
Popolazione~800.000 abitanti~28,5 Milioni di abitanti
Riserve Accertate11 Miliardi di barili300+ Miliardi di barili
Produzione Nov. ’25> 900.000 bpd866.000 bpd
Inizio Sfruttamento2019 (6 anni fa)Decenni fa
Modello di GestioneInvestimenti Esteri (Exxon, CNOOC)Controllo Statale (PDVSA)

Due modelli, due destini

Il sorpasso non è frutto del caso, ma di scelte strutturali diametralmente opposte.

Da un lato abbiamo il Venezuela. Caracas siede su un oceano di petrolio, ma soffre di quella che potremmo definire una “sclerosi da nazionalizzazione”. La compagnia statale PDVSA, un tempo fiore all’occhiello, è stata svuotata da anni di mancati investimenti, gestione politica e, recentemente, da rinnovate tensioni geopolitiche. Le molestie alle petroliere e la presenza della Marina USA nei Caraibi hanno creato un blocco de facto per la “flotta ombra” che portava i diluenti necessari a raffinare il pesante greggio venezuelano.

Dall’altro lato c’è la Guyana. Georgetown ha compreso che il petrolio sotto terra non vale nulla se non hai la tecnologia per estrarlo. Si è affidata al capitale estero, aprendo le porte a colossi come ExxonMobil, Hess e la cinese CNOOC. Il risultato? Dal primo barile estratto nel 2019, la crescita è stata esponenziale.

Il blocco Stabroek e l’entrata in funzione del progetto Yellowtail hanno permesso al paese di diventare l’unico al mondo a produrre più di un barile al giorno per ogni singolo abitante. Un record che ha polverizzato il precedente primato del Kuwait.

Geopolitica e il “Grande Gioco” dell’Essequibo

Il sorpasso economico avviene in un contesto di altissima tensione. Il Venezuela rivendica storicamente l’Essequibo, la regione della Guyana ricca, guarda caso, proprio di quel petrolio che oggi fa la fortuna dei vicini.

Tuttavia, mentre Caracas si perdeva in retorica nazionalista e dispute verbali, la Guyana trivellava.

La presenza americana nell’area non è casuale. Proteggere gli asset delle compagnie occidentali in Guyana è diventata una priorità strategica che, indirettamente, ha soffocato ulteriormente l’export venezuelano.

Venezuela, Guyana e la regione dell’Essequibo, pretesa dal Venezuela

Prospettive future: La Guyana non si ferma

Se qualcuno pensa che questo sia un fuoco di paglia, si sbaglia. Le proiezioni sono chiare:

  • Entro il 2026, il progetto Uaru aggiungerà altri 250.000 barili al giorno.
  • L’obiettivo è superare il milione di barili al giorno entro il 2027.
  • ExxonMobil prevede una capacità di 1,7 milioni di barili entro il 2030.

La piccola nazione caraibica si appresta a fornire quasi il 20% della nuova produzione globale di petrolio nel prossimo anno. Un contributo sistemico impressionante per un paese che, fino a ieri, basava la sua economia su agricoltura e miniere.

In conclusione, la lezione è economica, applicata però all’offerta: gli investimenti (Capex) guidano la crescita. Senza investimenti costanti e tecnologia, anche le riserve più grandi del mondo restano solo una statistica geologica, mentre il vicino “povero”, ma pragmatico, si arricchisce.


Domande e risposte

Come ha fatto la Guyana a crescere così velocemente?

La Guyana ha adottato un approccio pragmatico basato sull’apertura totale agli investimenti esteri diretti (FDI). Invece di tentare di creare una compagnia di stato da zero senza know-how, ha concesso licenze a consorzi guidati da ExxonMobil, Hess e CNOOC. Questi giganti hanno portato capitali e tecnologie avanzate per l’estrazione in acque profonde (offshore), permettendo di passare da zero a 900.000 barili al giorno in soli sei anni, sfruttando rapidamente le scoperte nel blocco Stabroek.

Perché il Venezuela produce così poco nonostante le riserve?

Il Venezuela soffre di un mix letale di fattori strutturali e congiunturali. Strutturalmente, la gestione statale di PDVSA è stata caratterizzata da decenni di mancati investimenti in manutenzione e fuga di cervelli. Congiunturalmente, le sanzioni internazionali e, più recentemente, il blocco navale de facto degli USA nei Caraibi, impediscono l’arrivo dei diluenti chimici necessari per rendere commerciabile il loro petrolio extra-pesante, oltre a limitare l’export tramite flotte non ufficiali.

Quali sono i rischi per la Guyana?

Il rischio principale è la cosiddetta “Maledizione delle risorse” (Dutch Disease), dove l’enorme afflusso di valuta estera apprezza il cambio distruggendo gli altri settori economici come l’agricoltura. Inoltre, esiste un rischio geopolitico concreto: le rivendicazioni territoriali del Venezuela sulla regione dell’Essequibo (che copre gran parte della Guyana e delle acque ricche di petrolio) potrebbero trasformarsi da dispute verbali a conflitti reali, minacciando le infrastrutture offshore.

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