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Crisi

DUE SOLUZIONI PER L’EUROPA

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L’intera Europa – per un verso o per l’altro – ha problemi molto gravi. Dunque è normale che tutti si chiedano che cosa bisognerebbe fare per uscire dall’impasse. Ed oggi leggiamo, sul Corriere della Sera(1), la soluzione di Lucrezia Reichlin, editorialista chiara e competente come pochi.

La sua ricetta – che a suo parere tutti conoscono e sulla quale sono tutti d’accordo, ma che non si ha il coraggio di applicare – è tanto semplice e tanto ovvia che la giornalista la scrive tra parentesi. Il risanamento si può ottenere “(attraverso un taglio delle tasse o tramite un aumento della spesa)”.

Tenendo presente la bussola di non allontanarsi mai troppo dal modo di ragionare di Bertoldo, ed essendo sempre pronti ad inchinarsi alle osservazioni ragionevoli dei competenti (cioè a riconoscere i propri errori) si può provare ad obiettare che le due soluzioni sono lungi dall’essere equivalenti.

Il male che sta alla radici della crisi, e non soltanto in Europea, è la presenza di un’enorme quantità di denaro a fronte di niente. Gli Stati per giunta sono obbligati a pagare un’enorme quantità di interessi a coloro che detengono una grande parte di questo denaro a titolo di risparmio/investimento. Col rischio aggiuntivo di un default, nel caso che i mercati perdano la fiducia nel rimborso. Il ricordo del default dell’Argentina non è certo sbiadito.

Se dunque si immette liquidità nel sistema (per ipotesi aumentando stipendi e salari, in modo da rilanciare i consumi) innanzi tutto si cura la malattia inoculando ulteriori dosi del veleno che l’ha provocata. In secondo luogo si crea inflazione, visto che alla moneta introdotta in circolo non corrisponde (non subito, quanto meno) un equivalente aumento della ricchezza costituita da beni e servizi. Infine si tira la coda al leone addormentato della diffidenza dei mercati nei riguardi dell’eccessivo debito sovrano. In altri termini, questa vecchia ricetta keynesiana è congiunturale e non strutturale. Potrebbe risolvere il problema momentaneamente e non definitivamente. In secondo luogo essa è aleatoria, nel senso che potrebbe anche non porre rimedio al problema neppure momentaneamente. E ciò mentre le conseguenze negative (inflazione) si avrebbero lo stesso: è forse questa la ragione fondamentale dell’opposizione della Germania.

Una ripresa drogata non trasforma un sistema inefficiente in un sistema efficiente. Poniamo il caso che un’industria francese produca eccellenti forni a microonde. Purtroppo, a causa dei suoi costi (fondamentalmente imposte e salari), vende poco perché i consumatori preferiscono i prodotti importati che costano meno. Improvvisamente lo Stato fa sì che i lavoratori possano spendere di più, ed ecco che essi possono finalmente permettersi i prodotti nazionali: questo aiuterà l’impresa che li produce? Sì e no. Momentaneamente venderà di più, ma se i suoi costi di produzione non cambieranno, passata la ventata dell’incoraggiamento keynesiano, essa tornerà alla situazione di prima. Anche perché l’inflazione provocata dall’immissione di liquidità farà aumentare i costi dell’impresa, almeno come valore facciale, e dunque essa dovrà aumentare i propri prezzi.

Se invece lo Stato riducesse grandemente i peso del fisco e degli oneri sociali, l’impresa diverrebbe competitiva, e ciò a titolo definitivo. Pur non cambiando niente nel modello produttivo.

Da tutto ciò si deduce che il taglio delle tasse sarebbe una soluzione ben diversa da quella dell’immissione di denaro nel sistema, e probabilmente tutto ciò la signora Reichlin lo sa meglio degli altri. Il problema non è dunque la scelta tra taglio delle tasse e aumento della spesa, è sapere come attuare il taglio della spesa, presupposto per la diminuzione delle tasse. Lo Stato infatti in tanto può abbassare le tasse in quanto abbia prima attuato riforme che lo rendono meno affamato di denaro per far fronte ai troppi impegni assunti.

Purtroppo, se queste riforme corrispondono ad una destrutturazione del Welfare State, cui la gente è abituata e che considera “ovvio ed acquisito”, si comprende che l’immobilismo rimproverato all’Europa dalla Reichlin è giustificato. Bisognerebbe diminuire la pressione fiscale. Per diminuire la pressione fiscale bisogna ridurre le spese dello Stato. Per ridurre le spese dello Stato bisogna che i cittadini rinuncino a mille servizi pubblici e lo Stato stesso deve licenziare, in un modo o nell’altro, decine e decine di migliaia di suoi dipendenti. E tutto ciò è impossibile in una democrazia. Soprattutto se si richiede di farlo in tempi brevi.

Tutto ciò posto, anche se ci si può scandalizzare vedendo un treno che procede a tutta velocità verso una roccia contro la quale andrà a schiantarsi (il paragone è della Reichlin) è inutile prendersela col manovratore. Nemmeno lui può metterci rimedio. Le rotaie finiscono ai piedi della roccia e il treno non ha ruote sterzanti.

Gianni Pardo, [email protected]

3 ottobre 2014
(1)http://www.corriere.it/editoriali/14_ottobre_03/cosa-giusta-che-non-facciamo-38a97e2c-4abb-11e4-9829-df2f785edc20.shtml


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