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Sfruttamento del lavoro dei minori: una battaglia persa, soprattutto in Africa

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Un rapporto pubblicato ieri dall’UNICEF e dall’Organizzazione internazionale del lavoro mostra che anche prima che la pandemia di coronavirus  sconvolgesse il mondo, i progressi nella lotta al lavoro minorile in tutto il mondo si erano fermati. Katharian Buchholz di Statista riferisce che all’inizio del 2020 c’erano ancora una volta 160 milioni di bambini di età compresa tra 5 e 17 anni impegnati in lavori inappropriati e/o pericolosi. Il nuovo numero segna un aumento da circa 152 milioni nel 2016.

 

Mentre il lavoro minorile in Asia e America Latina è diminuito, è tornato a crescere nell’Africa subsahariana, in termini assoluti e relativi. Mentre nel 2016, il 22,4 percento dei bambini di età compresa tra i 5 ei 17 anni era coinvolto nel lavoro minorile nella regione, tale numero era salito a quasi il 24 percento all’inizio del 2020. La quota globale del 9,6 percento dei bambini coinvolti nel lavoro minorile è rimasto la stessa tra il 2016 e il 2020, dimostrando che durante l’aumento del lavoro minorile era in linea con la crescita della popolazione mondiale, l’onere si è spostato tra le regioni.

Il rapporto rivela anche che una delle immagini più comuni del lavoro minorile nei paesi in via di sviluppo – ragazzini che lavorano per un salario nei reparti di fabbrica – è in realtà lo scenario meno comune. Il lavoro minorile nell’industria si attesta intorno al 10% a livello globale, superato dal lavoro nel settore dei servizi (circa il 20%) e dal campo più comune per il lavoro minorile, l’agricoltura (70%).  Il 72% dei bambini lavoratori lavora con le loro famiglie.

Mentre il lavoro minorile in Africa è essenzialemnte agricolo, quello in Sud America ed in Asia invece coinvolge maggiormente il settore manifatturiero e dei servizi, anche se, comunque, quello minorile resta prevalente.


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