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Economia

Serbia pronta a nazionalizzare la raffineria russa NIS: le sanzioni USA impongono scelte drastiche a Belgrado

Belgrado modifica la legge di bilancio per rilevare la NIS se non si troveranno acquirenti. Le banche bloccano i pagamenti e l’oleodotto croato chiude i rubinetti: l’Ungheria invia aiuti, ma non bastano. Vucic costretto a intervenire.

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La geopolitica dell’energia continua a disegnare strani percorsi nei Balcani, dove le sanzioni statunitensi stanno paradossalmente spingendo un governo verso la nazionalizzazione di asset strategici. La Serbia sta infatti preparando il terreno legislativo per assumere il controllo della Naftna Industrija Srbije (NIS), la raffineria controllata dai giganti russi Gazprom Neft e Gazprom, qualora non dovessero emergere acquirenti terzi in tempi rapidi.

È una mossa pragmatica, quasi da manuale di economia mista in tempo di crisi: quando il mercato si blocca per cause di forza maggiore (in questo caso, le sanzioni dell’OFAC americano), lo Stato deve intervenire per garantire la continuità produttiva.

La mossa legislativa

Il governo serbo sta lavorando a un emendamento alla legge di bilancio. L’obiettivo è chiaro: creare una base legale per la nazionalizzazione dell’impianto se la situazione dovesse precipitare. Ana Brnabic, figura chiave dell’amministrazione e stretta collaboratrice del Presidente Aleksandar Vucic, non ha usato mezzi termini:

“Uno degli emendamenti che verranno presentati prevederà la circostanza che, a un certo punto, prenderemo il controllo di NIS”.

Nel frattempo, la stessa NIS ha giocato d’anticipo, inviando una richiesta all’Office of Foreign Assets Control (OFAC) del Tesoro USA per poter continuare le operazioni mentre si cerca una via d’uscita negoziale sulla proprietà.

L’importanza strategica di NIS

Per comprendere perché Belgrado non possa permettersi il lusso di lasciare che la raffineria si fermi, basta guardare i numeri. Situata a Pancevo, è l’unico polmone energetico del Paese per la raffinazione del greggio.

Ecco i dati salienti della struttura e della sua recente operatività:

DatoDettaglio
LocalizzazionePancevo, vicino a Belgrado
Capacità Totale4,8 milioni di tonnellate di greggio/anno
Output H1 20251,677 milioni di tonnellate
Trend+20% rispetto al 2024 (anno di manutenzione)

Il “collo di bottiglia” delle sanzioni

La situazione è precipitata perché le esenzioni statunitensi, concesse ripetutamente in passato, sono ormai scadute. Ecco la cronologia del blocco che sta strangolando l’operatività finanziaria e logistica:

  • 8 Ottobre: Scadenza dell’ultima deroga USA alle sanzioni.

  • Conseguenza finanziaria: Le banche hanno smesso di processare i pagamenti di NIS per timore di sanzioni secondarie che le escluderebbero dal sistema bancario europeo.

  • Conseguenza logistica: L’oleodotto croato JANAF ha interrotto le consegne di greggio alla raffineria, sempre a causa del timore di sanzioni.

Il Ministro dell’Energia serbo, Dubravka Djedovic Handanovic, aveva lanciato l’allarme il mese scorso: senza nuovo greggio, la NIS non avrebbe potuto operare oltre il 25 novembre. Una data limite che ha costretto il governo a cercare soluzioni ponte.

L’aiuto dall’Ungheria (ma non basta)

In questo scenario complesso, emerge la solidarietà regionale. L’Ungheria di Orbán è intervenuta in soccorso del vicino serbo. Il ministro dell’energia ungherese, Peter Szijjarto, ha promesso che Budapest non lascerà sola Belgrado.

La compagnia energetica ungherese MOL ha raddoppiato le esportazioni verso la Serbia da novembre, utilizzando ogni mezzo possibile:

  • Trasporto su gomma;

  • Trasporto ferroviario;

  • Trasporto fluviale.

La MOL si è pure offerta di acquistare una partecipazione della NIS per ridurre quelle di Rosfnet e terminare la minaccia dei dazi. Tuttavia, c’è un limite fisico ed economico: MOL ha chiarito che, pur aumentando i flussi, non è in grado di coprire l’intero fabbisogno del mercato serbo da sola. La nazionalizzazione, o un cambio di proprietà “guidato”, sembra quindi l’unica via per sbloccare i canali bancari e l’oleodotto croato, garantendo la sicurezza energetica nazionale.

Domande e risposte

Perché la Serbia vuole nazionalizzare una compagnia russa nonostante i buoni rapporti con Mosca?

Non si tratta di una mossa ostile verso la Russia, ma di pura sopravvivenza economica. Le sanzioni USA impediscono alle banche di processare i pagamenti di NIS e bloccano l’arrivo del petrolio via Croazia finché la proprietà resta in mani russe (Gazprom). Nazionalizzando l’asset, la Serbia rimuove l’etichetta “sanzionato” dalla raffineria, permettendo la ripresa dei flussi finanziari e logistici necessari per non lasciare il Paese senza carburante.

L’aiuto dell’Ungheria può risolvere il problema definitivamente?

No, è solo una soluzione tampone. Sebbene l’Ungheria e la sua compagnia MOL abbiano aumentato l’export verso la Serbia via treno, camion e navi, non hanno la capacità logistica né i volumi sufficienti per soddisfare l’intera domanda interna serba. L’Ungheria agisce come un “respiratore artificiale” per l’economia serba, ma la raffineria di Pancevo deve tornare a operare a pieno regime tramite l’oleodotto JANAF per garantire la stabilità a lungo termine.

Qual è il rischio maggiore per i cittadini serbi in questo momento?

Il rischio immediato è la carenza di carburanti e l’aumento dei prezzi alla pompa. Se la raffineria non riprende a ricevere greggio tramite oleodotto (molto più economico e capiente rispetto a camion o treni), i costi di approvvigionamento saliranno vertiginosamente. Inoltre, la dipendenza da importazioni di prodotti finiti dall’Ungheria espone la Serbia a strozzature logistiche che potrebbero lasciare alcune aree del Paese a secco durante l’inverno.

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