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Economia

Serafino Ferruzzi e Raul Gardini: gli ultimi campioni di un’Italia che poteva essere grande (di Valentino Cecchetti)

Le vicende della Ferruzzi e di Raul Gardini, gli ultimi uomini che cercarono di creare un impero imprenditoriale italiano

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La caduta di un impero. 1993: Montedison, Ferruzzi, Enimont  (Rizzoli) di Carlo Sama, libro uscito il mese scorso, ripropone in controluce la figura di Raul Gardini, sullo sfondo degli eventi che segnarono l’affermazione e accompagnarono la fine della Ferruzzi-Montedison, sollecitando la memoria del lettore sui molti aspetti ancora oggi controversi, se non oscuri, legati alla fine dell’azienda ravennate e dello stesso Gardini.

Il libro di Sama, ex braccio destro e cognato di Gardini è il “racconto dettagliato e interessante degli anni e delle drammatiche settimane” che videro lo smantellamento del Gruppo ad opera della Mediobanca di Cuccia, sotto i colpi delle inchieste milanesi.

Cioè la cronistoria in presa diretta di un “esproprio”, come tale lamentato da Sama e dagli eredi di Serafino Ferruzzi, che a ben guardare fu piuttosto un brutale esercizio di sovranità da parte del sistema bancario italiano. Non meno interessante è confrontare il memoriale di Sama con l’inchiesta di Francesco Spagna, Un suicidio imperfetto. Raul Gardini. Storia di una vita da corsaro e di una morte sospetta (Castelvecchi, 2013) e con la notevole documentazione che la accompagna “la maxitangente Enimont, i rapporti tra la Difesa Usa e La Montedison, le presunte relazioni tra le aziende di Gardini e la mafia, i capitali di Ferruzzi in America e in Inghilterra e i conti del Gruppo in Mediobanca”.

Documentazione dalla quale risulta utile, per una corretta valutazione di questa saga alla Asimov, tornare agli anni della “fondazione dell’impero” da parte di Serafino Ferruzzi e alla nascita di gruppo che diviene in pochi anni una delle più grandi società al mondo nel trading delle materie prime.

L’unico in grado, durante la Guerra fredda, di mettere in contatto i grandi paesi produttori (Usa e Sud America) con i paesi consumatori (Europa e soprattutto URSS). Una “piattaforma atipica”, per il periodo storico in cui si colloca per nascita e sviluppo e che di fatto la rende un “soggetto altamente strategico” anche sul piano geopolitico. Del fondatore Serafino Ferruzzi e della sua azienda in Italia non si sa molto fino al 1976, quando la legge 159 lo costringe a far emergere le attività estere e a pagare una sanzione di 170 miliardi di lire, corrispondenti ad un valore di beni rimpatriati di circa 1700 miliardi di lire.

Un patrimonio enorme (negli stessi anni Generali vale in borsa circa 1000 miliardi di lire), cui vanno aggiunte le attività imprenditoriali ed immobiliari detenute in Italia e il patrimonio estero non dichiarato, gestito dall’eminence grise ragionier Giuseppe (Pino) Berlini, attraverso la galassia delle società off shore. Gigantesco è anche il livello di indebitamento bancario, pari al fatturato del gruppo, in larghissima parte nelle mani della banca Commerciale Italiana di Raffaele Mattioli, amico personale di Serafino.

Un rapporto-chiave, che permette a Ferruzzi di entrare in contatto con gli uomini più significativi della finanza laica che in Italia, in quegli anni, detiene il potere finanziario: Cuccia, Merzagora, La Malfa e Visentini. Ferruzzi, con il concittadino Giacomo Cirri, “rifondatore” del Credito Romagnolo (sino ad allora banca cattolica) fa parte della classe dirigente ed imprenditoriale di matrice azionista (inserita nelle dinamiche politiche della resistenza, come il cattolico Mattei) selezionata nei primi anni del dopoguerra con la piena approvazione degli Stati Uniti.

Né si deve dimenticare il rapporto che lega Serafino Ferruzzi al professor Giuseppe Medici, liberale prima, ministro democristiano poi, insegnante di Ferruzzi alla Facoltà di Agraria dell’università di Bologna. Figura che svolge un ruolo fondamentale come garante del piano Marshall legato allo sviluppo agricolo in Italia, di cui Serafino mette in pratica i piani strategici, sfruttando la riapertura dei mercati internazionali che rendono redditizia l’attività di trading sui cereali, comperati negli Usa e rivenduti in Italia e nell’Urss.

C’è da considerare poi la posizione strategica di Ravenna e la trasformazione industriale del suo porto, nel quadro della nuova geografia energetica europea, che fa dell’Italia l’enorme hub petrolifero nel cuore del Mediterraneo, con la conversione dei depositi in attività di raffinazione. Qui si muovono Attilio Monti, amico d’infanzia di Ferruzzi, con la Sarom e l’Eni di Mattei. Mentre il progetto di trasformazione del porto (1957) viene promosso proprio dal nuovo ministro del Tesoro Medici.

Anzi, è proprio la società di Ferruzzi a subentrare alla Sarom di Monti nella Sapir (Società per azioni Porto di Ravenna), con il 39% delle azioni di cui la statale Anic (Eni) detiene il 51%. Le prime tappe di quel percorso che condurrà tre decenni più tardi Gardini alla “scommessa” su Enimont. Come la caduta di Gardini al Board of Trade (Cbot) di Chicago nel 1989 di Gardini sembra prefigurata  nello scontro che vede Serafino Ferruzzi contrapporsi alla potentissime multinazionali americane, gruppi che determinano le scelte strategiche degli Stati Uniti e strumenti indispensabili nel superamento delle barriere politiche della Guerra Fredda, compreso il colossale riciclaggio di denaro, che sostiene la politica di potenza americana.

Le big five costituiscono l’ala morbida della Trilateral di David Rockfeller, la cui visione geopolitica (distensione Est-Ovest e affari con l’Urss) permette la cooptazione della Ferruzzi in sostituzione della compagnia Louis-Dreyfus, regina franco-olandese del grano in Europa, stabilendo in Italia il baricentro dei grandi scambi operati sul Cbot di Chicago. Ciò grazie ad altri appoggi importanti nel sistema statunitense, come quelli della famiglia Russell, proprietari terrieri e immobiliaristi democratici, che possiedeno la banca commerciale American Bank and Trust Co. di New Orleans, in cui Serafino entra con il 25% delle azioni al momento di acquisire l’area di Citrus Land, base delle attività americane dell’azienda italiana, in un’area tra l’altro di fondamentale importanza strategica e militare (con appoggi dunque dentro lo stesso governo americano).

A ben guardare, quindi, il sentiero tracciato da Serafino Ferruzzi è in gran parte quello seguito del genero Raul Gardini. Con l’azienda prima inserita a pieno titolo nel sistema trilateralistico che Carter e e Kissinger fondano sul “grano” come arma di penetrazione e pressione politica, esteso per gradi ad fino a toccare un imponente piano di “rivoluzione verde” e poi ridimensionata nel rovesciamento geopolitico seguito al crollo dell’Urss e alla liquidazione in Italia della classe dirigente del dopoguerra. A Raul Gardini il suocero affida i rapporti del sistema bancario e la gestione delle immense riserve di liquidità – di cui fiduciario in Svizzera sarà Berlini, specializzato nel back to back, attività separata e polmone finanziario delle operazioni di Raul.

Gardini viene introdotto nel mondo della finanza italiana da Enrico Cuccia e dal sistema politico-economico che ruota intorno alla Mediobanca, un mondo cui appartiene, come si è visto, lo stesso Serafino. E quando Raul Gardini nel 1987 da leader incontrastato del Gruppo dà la scalata a Montedison – fase più significativa della carriera di Raul – non è uno sconosciuto in Mediobanca e negli ambienti della finanza laica, ma è considerato un imprenditore cui si può dare piena fiducia – nonostante i tratti caratteriali non del tutto coerenti con lo stile del “salotto buono” milanese. Anzi l’operazione di Gardini è indubitabilmente funzionale al “ritorno a casa” di Montedison dopo la scalata di Schimberni, come conferma la creazione di Ferfin da parte di Cuccia, a colmare la voragine debitoria causata dal disastro del Cbot e placare i dissapori su Fondiaria.

Con Gardini i rapporti della Ferruzzi con le strutture atlantiche si consolidano, in particolare con i servizi militari di “Gladio”, secondo quanto riporta dall’agente operativo della Stay-Behind Antonino Arconte nel libro L’ultima missione: G71 e la verità negata, in cui l’agente racconta di aver incontrato Raul Gardini a Roma in compagnia dell’agente Bernard Moses nel 1975.  Gardini, come referente della Ferruzzi, appartiene alla Stay-Behind in qualità di “colomba”, quel settore dell’organizzazione composto da civili che svolge un ruolo importantissimo nel raccogliere e fornire informazioni ai vertici su temi specifici di importanza industriale e politica.

Se ne deduce anche il ruolo fiduciario e di garanzia di Gardini nel settore difesa della Montedison, in continuità con le scelte fatte da Eugenio Cefis e dal suo braccio destro Italo Gritti, che hanno inserito a pieno titolo l’azienda nel sistema Nato, ponendola tra il 1988 e il 1993 tra i fornitori strategici del Dipartimento difesa americano. Dal libro di Arconte si intuiscono poi i rapporti stabiliti dalla Ferruzzi, attraverso Carlos Marcello di New Orleans, le famiglie newyorkesi di Vito Genovese e John Gambino, con la Banca Privata di Sindona. In questo quadro la stessa morte di Ferruzzi, con i suoi numerosi aspetti inspiegabili, richiama il giallo della morte di Gardini (ed i suoi risvolti romanzeschi). ( l’Ultima notte di Raul Gardini – Amazon)

Il giorno successivo alla sua morte Serafino Ferruzzi avrebbe dovuto partecipare ad incontri preliminari con uomini Fiat e Generali per procedere ad una successione (è malato di cancro) che prevede l’integrazione dei tre grandi gruppi. Ma un incidente dalla strana dinamica (l’aereo di Ferruzzi precipita a qualche chilometro dalla pista di mentre è in fase di atterraggio) ne impedisce la realizzazione. Anche perché le sue decisioni, di cui Raul è pienamente informato dal momento che ne ha seguito le complesse trattative, vengono ignorate, segnando una discontinuità inedita nella storia del gruppo Ferruzzi.

Raul sale al comando sulla base di una accordo tra sé e i figli maschi di Serafino. Ma lo fa esautorando il candidato in pectore alla successione, Giuseppe de André (padre del cantautore), ex-vicesindaco repubblicano di Genova, presidente dell’Eridania (che Ferruzzi ha acquisito da Monti), che forniva al gruppo di Ravenna, con operazioni back to back in Sudamerica, molti dei capitali necessari al suo sviluppo. Con la rimozione di De André Gardini fa saltare le previste alleanze con il gruppo Fiat e con Generali, rivedendo le linee-guida del gruppo in senso “autocratico”.

Con successo, sino al duplice stop della sconfitta legale negli Stati Uniti dopo l’enorme perdita del 1989 al Cbot e della fallita joint-venture nella chimica con Eni. Che precedono il mutamento radicale della geografia politica mondiale, quando l’Italia perde il ruolo di avamposto mondiale degli Stati Uniti nel Mediterraneo, mentre Israele è giudicato dai neo-con americani più affidabile nei rapporti strategici con il mondo arabo, un ruolo che l’Italia aveva strappato all’Inghilterra nel dopoguerra, non più in grado di porsi come potenza vicaria degli Usa nell’area. E’ nel quadro di questi nuovi equilibri e nella ricerca di nuovi interlocutori, piuttosto che nel nodo Enimont, cui rimanda il un altro misterioso suicidio, quello in carcere del presidente Eni Gabriele Cagliari, che si colloca la morte di Gardini, mentre si profila un possibile ritrovato accordo con i Ferruzzi grazie al sostegno di Goldmann Sachs. Un accordo che non deve realizzarsi. Ma anche per la Mediobanca di Cuccia e Maranghi l’esproprio dei Ferruzzi sarà il canto del cigno.


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