Energia
Saipem: la fusione con Subsea7 finisce nel mirino di Exxon e Petrobras in Brasile
La maxi-fusione di Saipem finisce nei guai. I colossi petroliferi Exxon e Petrobras si oppongono all’accordo con Subsea7, temendo un monopolio in Brasile. Ora l’antitrust minaccia di bloccare un’operazione da miliardi.

Sembrava un matrimonio perfetto, destinato a creare un colosso globale nei servizi per l’industria petrolifera. Invece, la fusione tra l’italiana Saipem e la norvegese Subsea7 ha trovato un ostacolo imprevisto e piuttosto ingombrante sulla sua strada: l’antitrust brasiliana, aizzata nientemeno che da giganti del calibro di Exxon Mobil e della statale Petrobras.
A quanto pare, l’idea di un nuovo super-player chiamato “Saipem7” non entusiasma affatto chi, in quel settore, ci lavora e soprattutto ci spende. Il timore, espresso formalmente all’autorità antitrust brasiliana (il CADE), è che l’operazione porti a una concentrazione eccessiva del mercato, con conseguente riduzione della concorrenza e, come logica vuole, un probabile aumento dei costi per i clienti.
I “guastafeste” e le loro ragioni
La lista di chi ha bussato alla porta del regolatore è di tutto rispetto. Non si tratta di un concorrente qualunque, ma di un fronte compatto che include sia clienti che rivali.
- Exxon Mobil: Il colosso americano ha messo nero su bianco che l’accordo porterebbe a un’eccessiva concentrazione di fornitori specializzati in progetti SURF (Subsea Umbilicals, Risers and Flowlines), ovvero le complesse infrastrutture sottomarine. Meno scelta per loro significa, banalmente, meno potere contrattuale.
- Petrobras: La compagnia petrolifera di stato brasiliana, uno dei maggiori committenti al mondo, ha dichiarato che la fusione avrebbe un impatto diretto sul suo core business, dipendendo essa stessa da queste aziende per le sue operazioni strategiche.
- TechnipFMC: Anche un diretto concorrente si è unito al coro dei contrari, sostenendo che l’accordo limiterebbe drasticamente la capacità degli altri operatori di competere sul mercato. Una mossa comprensibile, ma che dà ulteriore peso alla questione.
L’operazione, annunciata a luglio, darebbe vita a un gruppo con un portafoglio ordini da 43 miliardi di euro e ricavi per circa 21 miliardi. Numeri che, evidentemente, spaventano chi teme di trovarsi di fronte a un fornitore con un potere di mercato quasi monopolistico.
Ma l’Antitrust brasiliana può davvero Ffermare due colossi stranieri che si fondono?
La domanda sorge spontanea: che potere ha un’autorità brasiliana su una fusione tra un’azienda italiana e una norvegese? La risposta è: molto. Nel diritto della concorrenza vige il “principio degli effetti”: la nazionalità delle società madri è irrilevante se la loro fusione produce effetti significativi e dannosi sul mercato interno di un paese.
Il Brasile è un mercato cruciale per l’oil & gas offshore, e sia Saipem che Subsea7 vi hanno operazioni consolidate. L’autorità CADE ha quindi piena giurisdizione per valutare l’impatto della fusione sul proprio territorio. Può imporre “rimedi”, come la vendita di alcuni asset brasiliani per preservare la concorrenza, oppure, nel caso più estremo, negare l’autorizzazione all’operazione in Brasile. Un veto del genere, pur essendo tecnicamente limitato al territorio brasiliano, renderebbe di fatto l’integrazione globale molto complessa, se non impraticabile, costringendo le aziende a rinegoziare i termini o a rinunciare. La partita per Saipem, quindi, si gioca anche e soprattutto a Rio de Janeiro.
Domande e Risposte per i Lettori
1. Perché un concorrente come TechnipFMC si oppone alla fusione? Non dovrebbe essere un problema solo per i clienti?
In realtà, è una mossa strategica classica. Quando due grandi rivali si uniscono, il nuovo soggetto ha una scala, una capacità tecnologica e un potere di mercato superiori. Un concorrente più piccolo, come TechnipFMC in questo contesto, teme di essere schiacciato. La nuova “Saipem7” potrebbe offrire pacchetti di servizi più integrati a prezzi che gli altri non possono sostenere, oppure fare leva sulla sua posizione dominante per assicurarsi i contratti migliori, lasciando solo le briciole agli altri. Opporsi tramite l’antitrust è un modo per cercare di limitare la forza del nuovo gigante o, almeno, di costringerlo a cedere degli asset.
2. Quali sono i prossimi passi? Saipem e Subsea7 rischiano davvero di dover annullare tutto?
Il primo passo sarà un’istruttoria da parte dell’autorità antitrust brasiliana (CADE). Saipem e Subsea7 dovranno presentare le loro argomentazioni, dimostrando che la fusione non danneggerà la concorrenza o che, al contrario, porterà benefici (es. maggiore efficienza, innovazione). È raro che un’operazione del genere venga bloccata del tutto. Più probabilmente, se il CADE riterrà fondate le preoccupazioni, avvierà una negoziazione per imporre delle condizioni (“remedies”), come la vendita di specifiche navi, tecnologie o rami d’azienda operanti in Brasile. L’annullamento totale è l’opzione estrema, ma possibile.
3. Questo problema in Brasile potrebbe ripetersi anche in altri Paesi?
Assolutamente sì. Fusioni di questa portata globale devono essere notificate e approvate dalle autorità antitrust di tutte le giurisdizioni in cui le aziende hanno un fatturato significativo. Oltre al Brasile, l’operazione sarà quasi certamente esaminata da altre autorità importanti, come la Commissione Europea, la CMA del Regno Unito e probabilmente anche quelle di Stati Uniti, Australia e Norvegia. Ciascuna di queste agenzie valuterà l’impatto sul proprio mercato. Un’opposizione in un’area geografica chiave, come appunto il Brasile, può creare un effetto domino o costringere le società a un complesso “spezzatino” di cessioni.

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