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Dalle pietre preziose al Bitcoin: la Jacuzia converte il gas “sperduto” in criptovalute (e la Cina osserva)

La Jacuzia e il gigante Alrosa useranno il gas dei giacimenti remoti per produrre criptovalute. Troppo costoso portarlo in Cina: un segnale macroeconomico che Pechino sta rallentando?

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 La Russia continua a muoversi in modo pragmatico, talvolta creativo, nel complesso scacchiere energetico globale. L’ultima novità arriva dal profondo Est, precisamente dalla Jacuzia (o Repubblica di Sacha), una regione vasta, gelida e ricchissima di risorse, dove il gigante dei diamanti Alrosa sta pianificando di entrare nel business del mining di criptovalute.

Non si tratta di una semplice diversificazione finanziaria, ma di una necessità tecnica ed economica che nasconde, tra le righe, un segnale importante sullo stato della domanda energetica asiatica.

Gas “incagliato” e freddo siberiano

Il governo locale della Jacuzia sta valutando l’installazione di infrastrutture per il minting di monete digitali direttamente presso i pozzi di gas gestiti in joint venture con Alrosa, il più grande produttore mondiale di diamanti (oggi pesantemente sanzionato). Le aree interessate sono i depositi di Ulugurskoye e Ergedzheyskoye.

Yakuza

La logica industriale è impeccabile e segue un principio di efficienza keynesiana applicata alle risorse naturali:

  • Il problema: Costruire gasdotti per collegare questi giacimenti remoti alla rete principale o per l’export è economicamente insostenibile a causa delle enormi distanze, soprattutto ora che il prezzo del gas non è particolarmente elevato, soprattutto verso la Cina.

  • La soluzione: Se non puoi portare il gas al mercato, porti il mercato (o meglio, il consumo) al gas. Bruciare il gas in loco per generare elettricità e alimentare “ferme” di server per il mining di Bitcoin.

Ulugurneftegaz, la joint venture che gestisce i campi, possiede riserve stimate in 217,3 miliardi di metri cubi per il campo di Ulugurskoye e 78,3 miliardi per quello di Ergedzheyskoye. Un’enormità di energia che, altrimenti, resterebbe inutilizzata o verrebbe bruciata in torcia (flaring), sprecando risorse.

La strategia russa: spostare i minatori di bitcoin al freddo

Questa mossa si inserisce in un piano più ampio di Mosca. Dopo aver legalizzato il mining nel 2024, la Federazione Russa si è trovata a dover gestire un paradosso: alcune regioni hanno un deficit energetico e hanno dovuto bandire i miners, mentre altre, come la Jacuzia o le zone artiche, hanno un surplus strutturale e temperature ideali per il raffreddamento naturale dell’hardware.

Come ha spiegato Aisen Nikolaev, capo della Repubblica di Sacha: “L’estrazione mineraria e la generazione di elettricità per i sistemi informatici sono particolarmente rilevanti per le aree remote con risorse energetiche locali, come gas e carbone, che non sono in grado di esportare”.

Ecco quindi che la mappa del mining russo si ridisegna: via dalle zone residenziali sovraccariche, tutti verso i giacimenti petroliferi esauriti o i pozzi di gas remoti del Nord. Del resto il problema delle server farm è il raffreddamento, e questo è abbondante, d’inverno, nel Nord della Siberia

Il mining di Bitcoin si sposta a nord

Il segnale di mercato: la Cina non ha abbastanza “fame”?

C’è però un aspetto macroeconomico che merita un’analisi più attenta, tipica di chi osserva gli scenari oltre la cronaca. Inizialmente, l’idea era di collegare queste riserve al gasdotto “Power of Siberia”, l’arteria vitale che alimenta la Cina. Se oggi si decide di convertire questo gas in Bitcoin in loco, significa che l’opzione dell’export non è percorribile.

Questo ci dice due cose fondamentali:

  1. Il costo infrastrutturale per raggiungere il gasdotto è superiore al margine di profitto garantito dal prezzo di vendita alla Cina.

  2. La domanda cinese, o il prezzo che Pechino è disposta a pagare, non è sufficientemente alta da giustificare investimenti in nuovi raccordi.

Se il gas viene utilizzato per produrre Bitcoin, è evidente che non c’è una domanda tale, in Cina, che giustifichi un prezzo sufficiente per il trasporto fisico della molecola. Il mercato delle criptovalute, paradossalmente, offre un arbitraggio migliore rispetto al mercato spot del gas verso il Dragone. Un segnale di rallentamento della manifattura cinese o solo una questione di logistica estrema? Probabilmente entrambe.

Percorso del gasdotto power of Siberia


Domande e risposte

Perché la Russia vuole usare il gas per minare Bitcoin invece di venderlo? Il motivo principale è logistico ed economico. I giacimenti in questione si trovano in aree estremamente remote della Jacuzia. Costruire gasdotti per trasportare questo gas verso i mercati di consumo o verso l’export (Cina) costerebbe troppo rispetto al prezzo di vendita attuale del gas. Convertire il gas in elettricità in loco per alimentare i computer che generano Bitcoin permette di “monetizzare” immediatamente la risorsa senza dover costruire costose infrastrutture di trasporto fisico. È un modo per esportare valore digitale invece che materia prima.

Qual è il ruolo dell’azienda di diamanti Alrosa in questo progetto? Alrosa, colosso mondiale nell’estrazione di diamanti, è proprietaria al 75% della joint venture che gestisce questi campi di gas. Essendo un’azienda pesantemente sanzionata dall’Occidente, ha necessità di diversificare le proprie entrate e ottimizzare i costi. Utilizzare il gas dei propri giacimenti per alimentare le proprie strutture minerarie e, con l’eccedenza, produrre criptovalute, rappresenta una strategia di efficienza interna. Inoltre, le criptovalute potrebbero offrire canali di liquidità alternativi meno tracciabili rispetto ai circuiti bancari tradizionali.

Cosa ci dice questa notizia sull’economia cinese e sui prezzi dell’energia? Questa scelta industriale suggerisce che la domanda di gas dalla Cina non è infinita o “a qualsiasi prezzo”. Se fosse stato estremamente redditizio vendere quel gas a Pechino, avrebbero probabilmente trovato il modo di collegarsi al gasdotto “Power of Siberia”. Il fatto che preferiscano il mining di Bitcoin indica che il prezzo offerto dai cinesi non copre i costi di sviluppo infrastrutturale. È un indicatore indiretto che l’economia cinese potrebbe non essere così “affamata” di energia come si crede, o che sta imponendo prezzi d’acquisto molto bassi alla Russia.

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