EconomiaEnergia
Romania: le sanzioni USA spingono per una vendita forzata di Lukoil. Ma chi compra?
Le sanzioni USA impongono a Lukoil di vendere la raffineria Petrotel e 320 distributori in Romania. Bucarest festeggia la “cacciata” dei russi, ma trovare un compratore per asset obsoleti prima della scadenza sarà quasi impossibile.

Sembra che per Lukoil in Romania i giochi stiano per finire. Le nuove sanzioni “tremende” annunciate il 22 ottobre dal presidente USA Donald Trump contro due major petrolifere russe stanno per colpire duro.
Il segretario di stato rumeno per l’energia, Cristian Bușoi, è stato chiaro con Politico: Lukoil avrà “l’obbligo” di vendere la sua raffineria locale, Petrotel, entro la scadenza del mese prossimo.
Bucarest, tra l’altro, non sembra affatto dispiaciuta. “Saremmo felici di non avere più Lukoil”, ha aggiunto Bușoi. Un’uscita di scena che il governo rumeno pare attendere con una certa impazienza, forse cogliendo la palla al balzo offerta da Washington.
Cosa c’è sul piatto (e perché nessuno lo vuole)
Il gruppo russo, che in passato è stato sotto indagine in Romania per frode finanziaria (accuse poi cadute nel vuoto), gestisce asset significativi nel Paese:
- La raffineria Petrotel: Situata a Ploiești, non è esattamente un gioiello tecnologico. Ha una capacità limitata (2,4 milioni di tonnellate di greggio all’anno) e non ha visto aggiornamenti recenti. Chi comprerà l’impianto sarà obbligato a investimenti per centinaia di milioni per renderla efficiente.
- La rete di distribuzione: Un pacchetto di 320 stazioni di servizio sparse sul territorio. Tante, ma non un numero impressionante.
Il meccanismo delle sanzioni
I dettagli tecnici sono ancora in fase di elaborazione, ma la scadenza è fissata: il 21 novembre. Se la forma attuale delle sanzioni verrà mantenuta, l’impatto sarà totale.
Qualsiasi transazione finanziaria con le filiali Lukoil (incluse quelle rumene) potrebbe far scattare automaticamente sanzioni statunitensi contro chiunque vi partecipi:
- Banche
- Società di trasporto
- Acquirenti o venditori di beni e servizi
In pratica, si tratta di un isolamento finanziario completo. Il ministro dell’Economia rumeno, Radu Miruţă, ha già scaricato la patata bollente a Bruxelles, affermando che le sanzioni saranno discusse a livello di Commissione Europea, che negozia direttamente con gli USA.
L’ironia: vendere sì, ma a chi?
E qui arriva il punto dolente, che rivela l’ironia della geopolitica. Obbligare un’azienda a vendere è una cosa, trovare un acquirente è tutt’altra.
La vendita delle filiali Lukoil non sarà affatto semplice. Il motivo? Sono già sul mercato da tempo, senza che nessun compratore si sia fatto avanti.
Un esempio su tutti: la vicina Bulgaria, che sta cercando da anni di piazzare la raffineria di Burgas (considerata persino più appetibile di Petrotel), senza alcun successo. È facile, dal pulpito di Washington o Bucarest, dire “vendete”, molto meno facile trovare chi, rischiando le sanzioni USA, tiri fuori i soldi per asset non esattamente strategici e tecnologicamente datati.
A livello globale, la posta è alta: Lukoil e Rosneft rappresentano quasi i due terzi delle esportazioni giornaliere di petrolio russo. Non a caso, il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha già fatto sapere che la filiale tedesca di Rosneft sarà oggetto di negoziati con gli USA per ottenere delle esenzioni. Ognuno, come sempre, tira l’acqua al suo mulino.
Domande e Risposte del i Lettori
1. Cosa rischiano i cittadini rumeni con questa vendita forzata? Il rischio principale è l’incertezza operativa. Se le sanzioni scattassero il 21 novembre prima di una vendita, le 320 stazioni di servizio Lukoil potrebbero avere difficoltà ad approvvigionarsi o ad accettare pagamenti. Questo creerebbe disagi significativi alla distribuzione di carburante. È probabile che il governo rumeno stia cercando una soluzione “ponte” o una nazionalizzazione temporanea per evitare il caos, ma la situazione resta tesa.
2. Perché nessuno vuole comprare la raffineria Petrotel? Petrotel è considerata un asset poco attraente. Ha una capacità produttiva bassa e non ha ricevuto aggiornamenti tecnologici recenti. In un’Europa che punta (almeno a parole) alla transizione energetica, investire centinaia di milioni in una vecchia raffineria, per giunta legata a sanzioni internazionali, è un rischio enorme. Gli acquirenti scarseggiano perché il costo di ammodernamento e il rischio geopolitico superano i potenziali benefici.
3. L’Europa è unita su queste sanzioni? Assolutamente no. Il testo evidenzia la classica frattura europea. La Romania sembra lieta di usare le sanzioni USA per liberarsi di un’ingombrante presenza russa. Al contrario, la Germania, tramite il Cancelliere Friedrich Merz, sta già negoziando attivamente con Washington per ottenere esenzioni per Rosneft, che gestisce asset strategici sul suolo tedesco. Come spesso accade, gli interessi nazionali prevalgono sulla presunta unità d’intenti geopolitica.








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