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Analisi e studi

Risparmio e il paradosso del risparmiatore (di Alessandro M. Rinaldi)

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Lo sviluppo dell’industria del risparmio gestito è stata una grande conquista della finanza negli ultimi 40 anni. Fin dalla nascita, dopo l’approvazione della legge 77 del 1983 sull’istituzione dei Fondi Comuni di Investimento, si capiva che questo strumento riusciva a indirizzare al meglio i piccoli risparmiatori verso forme di investimento nazionale e internazionale che singolarmente non avrebbero mai avuto la possibilità di fare con i loro piccoli capitali. Coprire una vasta area geografica e una moltitudine di emissioni azionarie e obbligazionarie era anche lo scopo della diversificazione di portafoglio. La parcellizzazione dell’investimento, la possibilità di suddividere i rischi, la copertura nazionale e internazionale e soprattutto le tutele che offrivano questi strumenti, sono state l’arma più efficiente che un capitalismo democratico poteva produrre. La loro funzione è stata egregiamente portata avanti dal sistema bancario e dai soggetti “indipendenti”.

Contemporaneamente, mentre cresceva la consapevolezza di questo strumento, la categoria ha continuato ad operare sopperendo al legislatore seguendole best practice internazionali, che poi in seguito sono state recepite a volte regolando bene altre volte burocratizzando, lasciando così andare avanti competitors internazionali che operavano in mercati più avanzati e deregolati.

Il Legislatore italiano, invece di copiare bene magari migliorare,ha cercato, forse dietro la spinta di troppe lobbies,di mediare e di regolamentare ex-novo imponendo una serie di vincoli formali che non hanno fatto altro che ritardarne lo sviluppo a favore degli operatori esteri. Nel corso degli anni, come nel sistema bancario, anche il sistema finanziario del risparmio collettivo andava concentrandosi: i grandi si univano, i piccoli cercavano di muoversi all’interno di nicchie di mercato; il legislatore doveva necessariamente adeguarsi alle normative del mercato europeo accorgendosi del grosso ritardo accumulato mentre l’inesorabile schiacciamento dei margini e le forti barriere all’entrata favorivano, se non imponevano, raggruppamenti o cessioni in gruppi sempre più grandi.

Questo fenomeno, sia per le dimensioni dei mercati internazionali sia per la crescita delle economie occidentali e quelle del sud-est asiatico, è stato più accelerato all’estero dove si sono creati dei gruppi di grandissime dimensioni che non solo abbracciavano tutto l’universo investibile ma che erano presenti fisicamente anche nelle maggiori capitali del mondo. La grande capacità di penetrazione e le politiche di marketing internazionali hanno fatto sì che questi gruppi, con budget pressoché illimitati, invasero in pochi anni ogni angolo del mondo che avesse una capacità di risparmio importante, per re-investirle poi nei loro paesi di origine o nelle nuove economie in via di sviluppo, sostenute spesso dalle loro capogruppo.

L’Italia, piccolo campione nel risparmio gestito, è stata presa d’assalto, come era prevedibile, da tutti le più grandi organizzazioni internazionali.Eravamo all’epoca molto contenti di questo fatto perché temevamo di essere considerati il fanalino di coda e pertanto di essere snobbati dalle grandi banche estere. Non fu così, tutte le case di investimento più importanti, soprattutto quelle europee ed americane aprirono i loro uffici in Italia. Ma a veder meglio, con il senno del poi,abbiamo scoperto che non sono venuti nei loro headquarter i gestori e gli analisti, coloro cioè che studiano i mercati e le singole aziende,non sono venuti per investire i loro soldi in Italia con i loro Fondi esteri, cioè non hanno raccolto risparmio internazionale per investirlo in strumenti finanziari italiani, bensìhanno insediati i loro sales office, le loro organizzazioni commerciali per raccogliere i soldi dai nostri risparmiatori e portarli in altri mercati.

L’Italia ha rappresentato per questi grandi gestori non tanto un Paese dove investire ma un Paese dove collocare iloro fondii quali investono in altre economie. Hanno esportato la finanza.

L’Italia così è diventata è un luogo dove la maggior parte degli operatori internazionali sono venuti, e continuano a venire, grazie al fatto che siamo un Paese libero, per poter “vendere” i loro prodotti finanziari. Hanno certamente trovato l’argomento giusto da raccontare ai risparmiatori italiani essendo un Paese sempre sull’orlo di una crisi di governo, sempre additato come paese a rischio. Gioco facile per i sales managers internazionali che possono “spaventare” in nostri risparmiatori sui soliti tormentoni finanziari: debito pubblico al collasso, probabile futura tassa patrimoniale sulle ricchezze, sulle donazioni esulle  successioni.

Il flusso di risparmio privato delle famiglie, tendenzialmente sempre in surplus finanziario, si contrappone nei sistemi finanziari ai deficit del settore pubblico e delle aziende. Tale eccezionale surplus finanziario viene oggi dirottato in altri sistemi finanziari creando uno squilibrio tra domanda e offerta. Il risparmio delle famiglie italiane non va tutto nei titoli italiani, nelle aziende di produzione. Esso non riesce ad essere quel motore per la crescita perché il sistema imprese deve reperire i mezzi dal sistema bancario nazionale e internazionale e competere contro aziende multinazionali finanziate dal nostro risparmio che, alle volte inconsciamente, prende le strade dei fondi internazionali che investono, per la maggior parte, nelle grandi imprese che sono poi le stesse che rilevano le nostre aziende.

Una volta chiesi ad un sales manager di una nota banca internazionale presente in Italia, che percentuali di investimento fosse indirizzata in Europa dai loro Fondi e dopo avermi dato una risposta approssimativa, gli chiesi quanto di questa parte andava in Italia. Dopodichè gli chiesi quanta parte di quell’Italia era investita nelle PMI. Facendo velocemente due calcoli, le PMI avrebbero ricevuto 20 euro per ogni 10.000 euro che raccoglievano da un risparmiatore italiano. Non credo che tutti i piccoli risparmiatori sarebbero contenti e soddisfatti nel sapere la quantità di capitali che esce dall’Italia e che forse non ritorna prima di 10/15 anni.

Il paradosso del risparmiatore, se lo accostiamo al “paradosso del prigioniero” nell’esempio della teoria dei giochi, ci alimenta il dilemmase è meglio cooperare oppure pensare a sestessi ed essere individualisti nelle scelte di affidare i propri risparmi a rispettabilissimi intermediari internazionali che investono il proprio patrimonio in ogni angolo della terra (anche se più vicino alla loro!). Se si coopera tutti insieme vince il Paese e contemporaneamente, per effetto sistema, il proprio investimento cresce.Se non si coopera si potrebbe avere un risultato negativo per il Paese,ma probabilmenteil singolo arriverebbe ad un rendimento positivo.La risposta nasce da una cultura individualista prettamente italiana. L’ottimo paretiano, che consiste nel risultato migliore che si può ottenere con il calcolo delle probabilità, non facilita la scelta,ma in conclusione, la teoria dei giochi sottostante il “paradosso del prigioniero”ci indica che c’è solo un punto di equilibrio ed è quello di cooperare tutti insieme.

Quindi oggi mi domando come la politica, così vicina al mondo dell’imprese e al “made in Italy”, non affronti a sufficienza tale questione chiave: la mancanza di investitori italiani (e non) focalizzati sulle società quotate di piccole e medie dimensioni. Il sistema “Borsa” consente di far crescere le aziende non solo a livello dimensionale ma anche come cultura sociale. Poter essere quotati in una Borsa, essere pertanto di interesse pubblico, arricchisce tutti gli stakeholders, arricchisce il Paese. Facciamo in modo che ci sia più collegamento tra quei settori in surplus come le famiglie, con i loro risparmi, e gli investimenti nelle aziende italiane, evitando che ci portino via le aziende e soprattutto facciamo in modo che la grande potenza di fuoco del nostro risparmio privato vada anche e soprattutto a finanziare, svilupparee proteggere l’azienda Italia.

Lodevoli sono le iniziative in queste settimane che partono dagli investitori istituzionali italiani e dagli intermediari finanziari volte a coinvolgere le Autorità di Vigilanza ed il Governo insieme alla Borsa Italiana.

Sono molte le azioni da fare, da quella sulla leva fiscale, sia per chi investe che per quelli che “fanno”investire,  a quella finanziaria, creando modelli di banche d’affari impegnati nel sostenere la piccola e media impresa italiana. Inoltreanche un’agenda di incontri a tutti i livelli, nazionali ed internazionali per promuovere le nostre eccellenze e per creare dei mini-veicoli per favorire le aziende più piccole. Abbiamo le intelligenze e le capacità per fare tutto questo, anche con l’aiuto dei fondi esteri, ma non aspettiamo che al prossimo girodobbiamo cedere ancora il passo alle logiche dei grandi gruppi internazionali e cerchiamo di non  “appaltare” il nostro risparmioa centri di governo molto distanti dal nostro Bel Paese, uscendo vincenti dal dilemma del prigioniero, cooperando e collaborando tutti insieme a livello nazionale tra sistema finanziario erisparmiatori.

Alessandro M. Rinaldi

Presidente GHC – Garofalo Health Care

Consigliere di Banca Patrimoni Sella & C


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