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Rinaldi “asfalta” La Repubblica su BCE ed Inflazione

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Vi abbiamo postato ieri l’articolo “La Repubblica prende un granchio con lo statuto della BCE! (di Antonio Maria Rinaldi) “.

Il professore Antonio Maria Rinaldi torna sulla questione con un’interessante intervista ad il Giornale d’Italia

 

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Qui l’articolo proposto ieri:

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Martedi 13 gennaio a pag. 28 e 29 de “la Repubblica”, un editoriale a firma Alberto D’Argenio dal titolo: “Pronti gli acquisti Bce si parte con 500 miliardi 0,4% di inflazione in più”, è scivolata in una imprecisione di non poco conto che la dice lunga sul livello dell’informazione e conoscenza economica profusa in Italia da chi si è elevato a ruolo di grande difensore mediatico della costruzione monetaria europea.

 

Ma veniamo ai fatti: nell’articolo dedicato alle prossime mosse della Banca Centrale Europea, in relazione all’operatività con cui sarà reso esecutivo il QE, Repubblica afferma che “…il programma di acquisto di titoli di Stato da parte dell’Eurotower per rilanciare l’economia del continente con il conseguente effetto di riportare l’inflazione intorno al 2%, l’obiettivo fissato dallo statuto e dalla strategia di politica monetaria della Bce”.

 

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Per quanto si possa consultare per lungo e per largo gli articoli che compongono lo statuto della Banca Centrale, visibile da chiunque sul sito ufficiale della stessa BCE:

      https://www.ecb.europa.eu/ecb/legal/pdf/it_statute_2.pdf

 

non c’è l’ombra, neanche velata, dell’indicazione del target inflattivo, tantomeno del 2%! Il giornalista fa grande confusione, affermando grossolanamente che, fra gli obiettivi previsti e inseriti nello statuto della Banca Centrale Europea, ci sia il target inflattivo del 2%, mentre è solamente specificato genericamente il perseguimento della stabilità dei prezzi. Basta consultare l’art.127 (ex art.105 TCE), paragrafo 1 del TFUE che sancisce che: “L’obiettivo principale del Sistema europeo di banche centrali (…) è il mantenimento della stabilità dei prezzi”, recepito dallo statuto della BCE chiaramente all’art.2, allegato come protocollo al Trattato stesso:

      https://www.ecb.europa.eu/ecb/tasks/html/index.it.html

 

Ed è un particolare non trascurabile specialmente se sostenuto da una testata come la Repubblica, perché sarebbe stato da stolti fissare un parametro macroeconomico di riferimento così importante, ma suscettibile di variazione in funzione delle contingenze di politica economica e monetaria futura, in un articolo dello statuto e pertanto fisso e vincolante. Come sarebbe stato da principianti fissare a priori in qualche articolo dello statuto stesso il livello del TUS da applicare, invece di farlo decidere con criteri contingenti dal Board volta per volta.

 

In nessuno dei Trattati posti a fondamento dell’Unione Europea, vi è un solo rigo in cui è specificato che il target inflattivo di riferimento sia del 2%, o in qualsiasi altra percentuale, e neanche i sacerdoti più intransigenti dell’ortodossia economica tedesca se la sono sentita d’inserire a suo tempo nello statuto della Banca Centrale un target inflattivo con un parametro fisso come ad esempio quello del 2%. Lo capirebbero anche studenti svogliati del primo anno del triennio di economia!

 

Ma allora dove è scritto e chi ha deciso questo 2% di target inflattivo? Tutto è lecito pensare dopo l’intervista rilasciata qualche anno fa da un funzionario del Tesoro francese, Guy Abeille, che ha candidamente rivelato che il famoso rapporto del 3% fra deficit e PIL, posto a pietra miliare e sacro paletto della convergenza monetaria fissati sin dai tempi di Maastricht (art.104c) prot. n. 5 e dal TFUE di Lisbona (art.126), sia stato frutto di una decisione alquanto bizzarra dello stesso Mitterrand negli anni ’80, il quale bisognoso di individuare una regola comune anche senza necessariamente nessun fondamento scientifico, ma idonea a farla rispettare ai suoi ministri, la decise nel giro di un’ora sentenziando poi: “è un buon numero, un numero storico che fa pensare alla trinità”! I bravi burocrati di Bruxelles se lo sono trovato su un bel piatto d’argento e non si sono fatti molte domande da dove scaturisse il parametro che veniva chiamato “Il 3% di Mitterrand”.

 

Al limite semmai il target inflattivo del 2%, che il distratto giornalista di Repubblica attribuisce a parte integrante dello statuto della BCE, lo si potrebbe desumere per analogia dall’interpretazione di quanto disposto dall’art.140, paragrafo 1, primo trattino del TFUE:

      http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:12012E/TXT

 

il quale specifica i criteri previsti per i paesi “in deroga” (cioè quelli aderenti già all’UE, ma ancora dotati di proprie valute nazionali in attesa di aderire all’euro) recitando: “il raggiungimento di un alto grado di stabilità dei prezzi; questo risulterà da un tasso d’inflazione prossimo a quello dei tre Stati membri, al massimo, che hanno conseguito i migliori risultati in termini di stabilità dei prezzi”, e dall’art.1, del protocollo n.13 allegato sempre al TFUE:

      http://www.isaonline.it/mag/UE-Trattati-Protocolli.html#protocollo13

 

il quale definisce testualmente che: “il criterio relativo alla stabilità dei prezzi di cui all’articolo 140, paragrafo 1, primo trattino, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, significa che gli Stati membri hanno un andamento dei prezzi che è sostenibile ed un tasso medio d’inflazione che, osservato per un periodo di un anno anteriormente all’esame, non supera di oltre 1,5 punti percentuali quello dei tre Stati membri, al massimo, che hanno conseguito i migliori risultati in termini di stabilità dei prezzi. L’inflazione si misura mediante l’indice dei prezzi al consumo (IPC) calcolato su base comparabile, tenendo conto delle differenze delle definizioni nazionali.”

 

Ma paradossalmente la vera origine del target inflattivo del 2% potrebbe essere nella pratica stato letteralmente “scopiazzato” da quelli perseguiti da altre banche centrali extra UE, le quali si sono sempre avvalse di procedure molto più snelle e pratiche che gli hanno consentito di esercitate sempre veri poteri operativi non per altro perché non hanno mai dovuto confrontarsi con 24 lingue e soprattutto con le esigenze molto diverse di politica economica di 28 paesi membri più 6 paesi candidati all’adesione!

 

Perciò “cara” Repubblica, prima di “sparare” in articoli economici affermazioni errate di questo genere, spero che la prossima volta darete almeno una letta allo statuto della Banca Centrale Europea (magari capendolo pure), così eviterete in futuro di scrivere ancora ulteriori strafalcioni! Grazie.

 

Antonio Maria Rinaldi

 


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