Crisi
PREPARARSI AL DOPO EURO
Di Jean-Marc Vittori
L’eurozona sembra traversare acque più calme. Ma nessuno dei suoi problemi è risolto. Sullo sfondo di una crescita lenta, lo statu quo non può essere eterno: bisognerà completare o smantellare. E intanto l’adesione si indebolisce.
Ci sono messaggi che non si recapitano con gioia: l’euro ha meno di una possibilità su due di sopravvivere. È dunque tempo di pensare al dopo euro. Il messaggio può sembrare paradossale. La moneta comune sembra oggi salva. Dopo la più grave crisi della sua giovane storia, gli indicatori si rimettono al verde. L’occupazione è ripartita alla fine del 2013, più forte di quanto si pensava. Lo Stato si indebita al 3,5% in Spagna come in Italia, praticamente la metà di due anni fa. L’euro si avvicina al valore di un dollaro e quaranta, il suo cambio è il più alto dal 2011. Ma, in fondo, nulla è risolto. La zona euro resta chiusa in un circolo vizioso. Il debito dei privati, delle imprese, degli Stati resterà troppo pensante, negli anni avvenire, di fronte ad una crescita troppo lenta per rimborsare senza difficoltà il capitale e un’inflazione troppo debole per erodere la montagna.
Bisogna dunque profittare della tregua attuale per preparasi agli avvenimenti successivi. La crescita troppo lenta risveglia i vecchi demoni. In Italia, in Austria, in Germania, in Finlandia, ed anche in Francia, naturalmente, partiti politici molto diversi gli uni dagli altri prosperano su un’idea comune: la vita sarebbe più bella senza l’euro, e al di là, senza l’Europa. Otterranno pressoché certamente un successo spettacolare alle elezioni europee di giugno. Secondo le misurazioni degli esperti della Deutsche Bank sul prossimo Parlamento europeo, un deputato su sei, o piuttosto uno su quattro, apparterrà al campo anti-europeo.
Questo voto di condanna trova la sua origine in un incrocio di ricordi. Innanzi tutto, la generazione della guerra scompare, e con essa il sentimento d’una imperiosa necessità: l’intesa fra Paesi vicini. Non è un’ingiuria a Helmut Schmidt e a Valéry Giscard d’Estaing dire che l’essenziale della loro opera è ormai dietro di loro. Poi si afferma la generazione della crisi e con essa la memoria d’una crudele evidenza : l’Europa ne è stata la culla. Sono le nazioni che hanno salvato le banche e le industrie. I dirigenti della Commissione sono spariti dalla scena, durante il dramma. Dopo, sono riapparsi formando una strana trinità, col Fondo Monetario Internazionale e la BCE (la troika), e dando consigli di soffocamento che poi è stato necessario revocare per salvare ciò che poteva essere salvato. Difficile far di meglio per dar corpo all’idea d’una Europa contro i popoli. Un’idea per giunta alimentata dai governi nazionali che continuamente vanno “alla guerra contro Bruxelles”, in Francia a proposito degli ogm o della riforma bancaria, per prendere esempi recenti.
Il persistente languore della crescita farà il resto, in un continente dove un attivo su otto è disoccupato. La Banca centrale europea, il cui presidente Mario Draghi ha tuttavia promesso che essa farà “ciò che sarà necessario” per salvare la moneta comune, non potrà farci nulla. Non soltanto la politica monetaria non è un utensile molto efficace per drogare l’occupazione ma, per di più, il molto abile giudizio della Corte Costituzionale tedesca di Karlsruhe le taglia le ali.
In questa strana Unione monetaria senza solidarietà di bilanci, lo statu quo non può essere eterno. Bisognerà scegliere fra il completamento (l’approfondissement) e lo smantellamento. E nel frattempo, le tensioni fatalmente saliranno. Col passare dei mesi, l’idea di “un’uscita dall’euro” guadagnerà terreno. Ma l’euro non è un club o un bar da cui si può uscire a volontà. La partenza di un Paese farebbe esplodere la moneta unica. Parecchi economisti hanno certo immaginato sistemi seducenti, sulla carta: gli euro nord e sud (euros sud et nord) del professore del CNAM Christian Saint-Etienne, le uscite temporanee (sorties temporaires) proposte dal presidente dell’istituto tedesco IFO Hans-Werner Sinn. Salvo che… questi sistemi non resisterebbero un giorno su mercati finanziari (marchés financiers), in cui centinaia di miliardi sarebbero immediatamente investiti per guadagnare denaro sulla prossima mossa. Anche in quel campo sembra che si sia un po’ dimenticato un ricordo: quello delle tempeste monetarie che hanno soffiato sull’Europa fino all’inizio degli anni ’90.
In questa rottura, la Francia potrebbe purtroppo avere una parte da protagonista. Un terzo dei suoi abitanti (Un tiers de ses habitants) desidera ormai il ritorno al franco. La tentazione della ritirata appare dappertutto. Perfino nella Française des Jeux (la Française des Jeux) che all’inizio di febbraio ha rinazionalizzato l’Euro Millions! Ad ogni estrazione del Lotto europeo, essa prometta “un milionario garantito in Francia”. Più profondamente, l’economia del Paese è stata a lungo drogata dalle svalutazioni che compensavano la sua deriva dei salari e dei prezzi, un problema che ancora oggi non è risolto. E i governi di sinistra – come prima quelli di destra – inanellano gli “shock” senza mai arrivare a ritrovare il cammino della crescita. Christopher Pissarides (Christopher Pissarides) ha espresso la cosa brutalmente (les pieds dans le plat) il mese scorso. Questo Premio Nobel dell’Economia nel 2010, che era stato uno dei rari britannici partigiani dell’ingresso del Regno Unito nell’euro, ha detto con la massima chiarezza, nel quotidiano “The Telegraph”, ciò che un buon numero di esperti pensano senza dirlo, a Parigi: “[In caso di fallimento di vere riforme in Francia] sarei molto inquieto, riguardo a ciò che potrebbe accadere all’euro” (Jean-Marc Vittori). Lo scoppio dell’euro avrebbe conseguenze incalcolabili. Esso rimetterebbe in discussione la costruzione comunitaria iniziata più di sessant’anni fa. Per fortuna non è una certezza. Bisognerebbe qui tornare al latino, a un vecchio adagio parafrasato dopo un appello lanciato su Twiter dal vostro servitore (l’autore dell’articolo, NdT). Il piccolo manuale Merlin Caesar propone: “Si vis euro, para mortem eius”, “Se vuoi l’euro, prepara la sua morte”. Il meno ortodosso Monteno propone: “Si vis euro, para chaos”.
(Traduzione dal francese di Gianni Pardo)
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