Finanza
Possiedi davvero i Bitcoin che pensi di avere? L’amara verità sugli ETF

di Furio Ruggiero
Sempre più investitori pensano di “possedere Bitcoin” solo perché sono parcheggiati su un exchange o peggio hanno acquistato quote di un ETF. Ma è davvero così?
Con il dilagare dei wallet cosiddetti “Custodial” forti delle recenti restrittive normative europee, sempre più utenti credono di aver diversificato i propri investimenti lasciando i presunti propri bitcoin sugli exchange dove li hanno acquistati.
Ovviamente questo li espone ad una pluralità di rischi connessi alle sorti degli stessi exchange che per quanto regolamentati sono molto più incerti delle più incerte banche commerciali.
Ma c’è di peggio.
Dal 10 gennaio 2024, con l’approvazione della Securities and Exchange Commission (SEC) statunitense, diversi ETF spot su Bitcoin sono stati lanciati sul mercato, tra cui quelli di BlackRock (iShares Bitcoin Trust), Fidelity (Wise Origin Bitcoin Fund) e Grayscale (Bitcoin Trust convertito in ETF). La notizia è stata accolta come una legittimazione istituzionale della criptovaluta più famosa. Tuttavia, la natura di questo possesso differisce profondamente da quella concepita nel whitepaper originale di Satoshi Nakamoto (2008).
Possesso diretto vs esposizione finanziaria
Il principio fondante di Bitcoin è la disintermediazione: eliminare la necessità di affidarsi a terze parti per custodire e trasferire valore. La regola riassuntiva “Not your keys, not your Bitcoin” — coniata da Andreas M. Antonopoulos nel 2014 — sintetizza il concetto secondo cui solo chi possiede le chiavi private di un conto Bitcoin ha il controllo effettivo di quei fondi.
Con un ETF spot, invece:
- L’investitore acquista quote di un fondo regolamentato che possiede Bitcoin tramite un custode, ad esempio Coinbase Custody Trust Company LLC.
- Le chiavi private sono possedute esclusivamente dal custode, non dall’investitore.
- La proprietà è indiretta: si ha un diritto legale sul prodotto finanziario, non sull’asset digitale.
Il problema della prova di riserva on-chain:
Alcuni custodi, come Coinbase, dichiarano di mantenere riserve 1:1 e di sottoporsi a audit esterni (fonte: Coinbase Q4 2023 Shareholder Letter), ma non forniscono una prova crittografica pubblica che dimostri in tempo reale il possesso ed il controllo delle chiavi.
La Proof of Reserves on-chain — adottata in forma parziale da alcune piattaforme dopo il collasso di FTX nel novembre 2022 — non è standard nel settore degli ETF, lasciando spazio a un approccio “fiduciario” simile a quello bancario.
Cosa dicono le evidenze disponibili:
- Brian Armstrong, CEO di Coinbase, ha affermato chiaramente che Coinbase non rende pubblici gli indirizzi on‑chain dei suoi clienti istituzionali, inclusi quelli collegati a BlackRock. Secondo lui, sebbene sia sottoposta ad audit (come quello condotto da Deloitte), pubblicare tali indirizzi non è nell’interesse degli investitori istituzionali
- BlackRock, nel settembre 2024, ha formalmente modificato il proprio accordo con Coinbase richiedendo che le richieste di prelievo di bitcoin siano eseguite entro massimo 12 ore e inviati a un indirizzo blockchain pubblico. Ciò ha l’obiettivo di aumentare la trasparenza operativa, ma non implica la pubblicazione preventiva degli indirizzi custodi su una piattaforma pubblica.
- Nessuna fonte giornalistica affidabile o documento ufficiale riporta la pubblicazione di indirizzi di custodia specifici utilizzati da Coinbase per BlackRock ETF.
- Dashboard pubbliche monitorano flussi ETF, ma non confermano identità del custode
- Ethereum/BTC dashboard come quelli di Arkham Intelligence tracciano flussi associati a ETF spot, nonostante si riferiscano a indirizzi potenzialmente collegati (e.g. per IBIT circa 33.430 BTC). Tuttavia questi non sono confermati ufficialmente da BlackRock o Coinbase
Parallelo con il mercato dell’oro
Il rischio di una distanza tra asset fisico e strumento finanziario non è nuovo.
- Nel mercato dell’oro, il prezzo spot è influenzato pesantemente dal mercato dei futures del COMEX, dove il volume giornaliero scambiato può essere centinaia di volte superiore all’oro fisicamente disponibile (fonte: LBMA, 2021).
- Un meccanismo simile può verificarsi con Bitcoin: strumenti derivati, ETF e prodotti sintetici possono moltiplicare l’esposizione “cartacea” rispetto ai BTC realmente in circolazione.
Impatto potenziale sul prezzo di Bitcoin
Il prezzo di Bitcoin è determinato principalmente dalle negoziazioni sugli exchange centralizzati (spot e derivati). Secondo i dati di CoinGecko, a marzo 2024 oltre il 60% del volume di scambi proveniva da mercati derivati.
In uno scenario di stress finanziario, vendite massive di ETF potrebbero generare un calo del prezzo di mercato di Bitcoin, anche senza movimenti significativi di BTC on-chain.
Esempio storico: durante la crisi finanziaria del 2008, l’oro — pur essendo un bene rifugio — perse oltre il 25% del suo valore in pochi mesi, poiché gli investitori liquidarono posizioni per generare liquidità (World Gold Council, 2009). Una dinamica analoga potrebbe ripetersi per Bitcoin.
Conclusione
Gli ETF spot su Bitcoin offrono una porta d’ingresso regolamentata e accessibile per investitori istituzionali e retail, ma non equivalgono al possesso diretto di BTC.
Chi cerca esposizione al prezzo può trovare negli ETF uno strumento conveniente.
Chi invece desidera sovranità digitale e indipendenza da intermediari deve optare per la custodia autonoma in un wallet non-custodial, consapevole delle responsabilità che ne derivano.
Come ricordava Antonopoulos: “Se non sono le tue chiavi, non sono le tue monete.”
Fonti principali:
- Satoshi Nakamoto, Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System, 2008.
- SEC, Order Approving Proposed Rule Change to List and Trade Shares of Spot Bitcoin ETPs, 10 gennaio 2024.
- Coinbase, Q4 2023 Shareholder Letter, febbraio 2024.
- LBMA, Gold Market Liquidity Study, 2021.
- World Gold Council, Gold Demand Trends, 2009.
- CoinGecko, Crypto Derivatives Market Data, marzo 2024.
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