USA
Portland: dopo le rivolte anti-ICE, Trump manda l’esercito. La risposta “muscolare” alla città santuario
Dopo mesi di rivolte violente, graffiti e scontri, il Presidente Trump sceglie la linea dura contro la città “santuario”. Una mossa che infiamma lo scontro tra governo federale e autorità local

La situazione a Portland, Oregon, sta per surriscaldarsi ulteriormente. Dopo mesi di proteste, a volte degenerate in vere e proprie guerriglie urbane, contro gli uffici federali dell’Immigration and Customs Enforcement (ICE), il Presidente Donald Trump ha deciso di rompere gli indugi e passare alla linea dura.
Con un annuncio sul suo social network, Truth Social, Trump ha dichiarato di aver dato disposizioni per l’invio di truppe federali nella città. La motivazione ufficiale? Proteggere le strutture federali “devastate dalla guerra” e “sotto assedio da parte di Antifa e altri terroristi domestici”.
“Sto anche autorizzando l’uso della Piena Forza, se necessario”, ha aggiunto il Presidente, con un tono che non lascia spazio a interpretazioni.
Un contesto di tensione crescente
La mossa di Trump non arriva dal nulla, ma è il culmine di una lunga serie di scontri che hanno trasformato parti di Portland in uno scenario da film distopico. La città, guidata da un’amministrazione democratica e autoproclamatasi “città santuario” dal 2017 (cioè una città che limita la sua cooperazione con le agenzie federali per l’immigrazione), è diventata l’epicentro della protesta anti-governativa.
Gli eventi che hanno portato all’intervento federale includono:
- Proteste e assalti: Manifestazioni quasi quotidiane da giugno, con scontri violenti tra manifestanti e agenti federali.
- Atti simbolici: Bandiere americane bruciate e sostituite, graffiti come “Guardate su e vedete la Gestapo americana” sui muri degli edifici federali.
- Simulacri macabri: Ad agosto, i manifestanti hanno esposto una ghigliottina davanti agli uffici federali, un simbolo non esattamente pacifico.
- Scontro istituzionale: L’amministrazione cittadina ha persino emesso avvisi di violazione urbanistica contro la struttura dell’ICE, contestando il tempo di detenzione degli immigrati e le finestre barricate per protezione.
La reazione delle autorità locali: “Non abbiamo bisogno di truppe”
Come prevedibile, la reazione del Governatore dell’Oregon, Tina Kotek, e del Sindaco di Portland, Keith Wilson, è stata di netta opposizione. Entrambi hanno dichiarato di non essere stati informati e che “non c’è alcuna minaccia alla sicurezza nazionale a Portland”.
Il sindaco Wilson ha usato parole particolarmente dure: “Le truppe necessarie a Portland sono zero. La nostra nazione ha una lunga memoria per gli atti di oppressione, e il presidente non troverà illegalità o violenza qui, a meno che non abbia intenzione di perpetrarla lui stesso”. Ha poi aggiunto, con una nota polemica, “Immaginate se il governo federale inviasse centinaia di ingegneri, o insegnanti, o assistenti sociali a Portland, invece di una breve, costosa e inutile dimostrazione di forza”.
Questa è la classica dinamica dello scontro tra il potere federale, che rivendica il suo diritto di far rispettare la legge e proteggere le sue proprietà, e le amministrazioni locali “blu” (democratiche), che difendono la loro autonomia e le loro politiche di “santuario”. Un braccio di ferro che, con l’invio dei militari, rischia di trasformarsi in una crisi istituzionale senza precedenti. Trump non si arrenderà così facilmente
This has been the scene at the Portland ICE facility on a nightly basis for months, you feckless liar. pic.twitter.com/xpkCiK1Uqj
— Tiffanie Tx (@tiffanie_tx) September 27, 2025
Domande e Risposte
1) Perché il Presidente Trump ha deciso di inviare le truppe proprio a Portland?
La decisione è la risposta diretta a mesi di proteste intense e spesso violente contro la sede dell’ICE (Immigration and Customs Enforcement) a Portland. L’amministrazione Trump giustifica l’intervento con la necessità di proteggere la proprietà federale e il personale dagli attacchi, definiti opera di “Antifa e terroristi domestici”. Portland è anche una “città santuario”, politicamente ostile alle politiche migratorie del Presidente, il che rende la città un simbolo dello scontro tra autorità federale e locale. La mossa ha quindi un valore sia pratico che politico.
2) Cosa significa esattamente “città santuario” e perché è un problema per il governo federale?
Una “città santuario” è un’amministrazione locale (città o contea) che adotta politiche per limitare la propria cooperazione con le agenzie federali nell’applicazione delle leggi sull’immigrazione. Ad esempio, può rifiutarsi di trattenere persone in carcere oltre la data di rilascio solo per una richiesta dell’ICE. Per il governo federale, questo rappresenta un ostacolo diretto alla sua capacità di far rispettare le leggi federali, creando un “porto franco” per gli immigrati irregolari e minando l’autorità dello Stato centrale a favore di quella locale.
3) Quali potrebbero essere le conseguenze di questa mossa?
Le conseguenze potrebbero essere molteplici. A breve termine, si rischia un’escalation della violenza, con scontri diretti tra manifestanti e militari, infiammando ulteriormente la situazione. A livello politico, Trump rafforza la sua immagine di presidente “law and order” con la sua base elettorale, ma aliena ulteriormente gli elettori moderati e democratici. A livello legale, potrebbero nascere battaglie legali sull’uso di truppe federali per compiti di ordine pubblico all’interno di una città americana, mettendo in discussione i limiti del potere presidenziale.

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