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Perché discutere sull’aborto manda ai matti i sinceri “democratici”

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Un significativo episodio di contestazione del diritto di esprimere e manifestare liberamente il proprio pensiero è accaduto, qualche giorno fa, in quel di Bologna. Il casus belli è stata la proiezione di un video di tre minuti (dal titolo Baby Olivia)  su un mega schermo, in Piazza XX Settembre. Organizzato dall’associazione Pro Vita & Famiglia, la clip si limitava a ricordare ai passanti cose assolutamente vere e non smentibili:  per esempio che, a una settimana dal concepimento, nel grembo materno si forma l’embrione; che dopo tre settimane è possibile auscultare il cuore battente del nascituro; che, di lì a sette giorni, a quest’ultimo spuntano le braccia e le gambe.

Eppure –  apriti cielo! – In loco si è radunata una contro manifestazione che ha riversato sui promotori del filmato i peggiori insulti. Ma anche a livello istituzionale, Bologna la Dotta non si è fatta mancare nulla se è vero che l’amministrazione della città ha così commentato: “Esprimiamo il nostro sdegno per chi usa gli spazi della democrazia per veicolare intolleranza e attaccare la salute e l’auto-determinazione delle donne”. Insomma, fosse per questi autentici campioni democratici, la manifestazione anti-aborto andava fatta abortire prima ancora di cominciare. Sarà forse perché la sensibilità democratica in certe regioni, sinistramente sensibili, è più sensibile che altrove. Ma così sensibile che il labilissimo, e sensibilissimo, confine tra ciò che tutti possono dire, per amor di libertà,  e ciò che a taluni è inibito, per amor di democrazia, si fa talmente rarefatto da diventare impercettibile.

Ad ogni buon conto, si è scatenata la tempesta perfetta – di recriminazioni, invettive, censure – nei confronti di un gruppo di cittadini rei del più odioso dei crimini.  Aver osato, cioè, diffondere sulla pubblica via alcuni dati di realtà (evidenze scientifiche, ardiremmo dire, se fossimo dei sensibili democratici devoti a “Lascienza”) relativi ai tempi e ai modi con cui si forma un bimbo nella pancia della mamma. Ma già dire “bimbo”, capite bene, potrebbe suonare offensivo alle orecchie democraticamente sensibili di cui sopra. Costoro preferiscono – ma che dico, esigono! – che lo si chiami “feto”. “Feto” è meno forte e non impegna, un po’ come certe giacchette casual nelle mezze stagioni. Per la stessa ragione, va via come il pane – negli ambienti dem e progressisti – la parola “aborto”, di regola accompagnata da un’altra immancabile password della casa: il termine “diritto”. Da cui la famosa locuzione pronunciata, preferibilmente, tutta d’un fiato: diritto-all’aborto.

In effetti, messa così, la faccenda sembrerebbe chiusa ad ogni tipo di considerazione sul tema. Se l’aborto è un diritto, come puoi metterlo in discussione? Peggio ancora: cosa c’è da discutere? Soprattutto in una civiltà in cui i “diritti” e le battaglie sui “diritti” sono il companatico di cui si nutrono, nonché la fonte a cui si abbeverano, tutte le coscienze affamate di democrazia e assetate di progresso. Ergo, per effetto di questa elementare constatazione (che cioè l’aborto-è-un-diritto e c’è il-diritto-all’aborto) chi ne dubita diventa tout court un pazzo, un sovversivo, un “mezzo criminal” come cantava il grande Bennato. E ciò, nonostante il “diritto” all’aborto non sia ancora sancito dalla Costituzione (per lo meno fino a una prossima modifica della Suprema Carta in salsa macroniana).

Un tanto premesso, la vicenda in esame è vieppiù interessante – sul piano giuridico e comunicativo – perché ci consente una riflessione sulle tre poderose, e letali, “armi” dialettiche della cultura laica, progressista e democratica; vale a dire, e nell’ordine: 1) le fake news; 2) l’odio; 3) i diritti. Per tacciare chiunque non la pensi come loro, i nostri entusiasti fascisti-anti-fascisti usano, di regola, questa triplice “clava” per picchiare duro – metaforicamente parlando – sulla testa dei malcapitati contraddittori. Se non ti allinei, lorsignori ti menano innanzitutto con la scusa delle “fake”: ciò che dici è falso, e tu sei un bugiardo o sei un bifolco anti-scientifico.

Se però insisti, allora sei un odiatore, nuova figura letteralmente inventata dalla inesausta macchina della propaganda dem. Nel “Mondo Nuovo” (peggiore persino di quello preconizzato da Aldous Huxley nel famoso romanzo) verso il quale ci stanno traghettando, il sentimento dell’odio è, come sapete, bandito. A dispetto del fatto che l’odio rappresenta non solo un umanissimo sentimento, ma addirittura il motore stesso di moltissime e democraticissime contestazioni, insurrezioni, rivoluzioni; dalle quali, e con le quali – sia detto di passata e per inciso –  gemmarono e proliferarono i movimenti di sinistra antesignani proprio degli odierni democratici. Ma fa niente. Oggi, che tutte le rivoluzioni “giuste” sono finite, pure l’odio è finito in soffitta e chi osa “provare” odio – o anche solo darne l’impressione – non può che  essere un retrogrado psicotico da rieducare o, quantomeno, da imbavagliare. Sia come sia, se anche la tiritera sull’odio – anzi sugli “haters” come amano chiamarli gli amorevoli benpensanti sbavando livore odioso e odiante – non funzia, allora parte l’attacco frontale e finale dei “diritti”.

Non sono riusciti a dimostrare che siete spacciatori di bufale? Non hanno fatto breccia nel cuore dei semplici con il babau dell’odio? Allora provano a stendervi accusandovi di mettere in discussione, o addirittura, in pericolo i famigerati “diritti”. Ebbene, questa strategica tragedia in tre atti  è stata dispiegata, con puntigliosa applicazione, anche nel caso della manifestazione pro life da cui abbiamo preso le mosse. Ma la cose divertente è che neppure una delle tre “mosse del cavallo” ha funzionato. Anzi, nessuna delle tre funziona mai quando c’è di mezzo il diritto di un bambino (pardon di un “feto”) di nascere.

Non la prima (fake news) perché i video e i dati divulgati dai manifestanti sono assolutamente reali, scientificamente validabili e addirittura empiricamente verificabili con una normale ecografia. Non la seconda (l’odio) perché la campagna degli anti-abortisti è basata tutta quanta, e tutta intera, sull’amore; anzi sulla forma suprema e meno negoziabile o dubitabile di amore, che è poi quello materno (di una madre per la propria creatura) inscindibilmente connesso con quello filiale (di un cucciolo d’uomo per la sua mamma). E neppure la terza. Infatti, tutti coloro i quali si riempiono la bocca con la parola “diritti”, parlando di aborto, tendono a dimenticare opportunamente che, in gioco, ci sono due persone, non una. Non solo la madre incinta, ma anche il figlio morituro. Di più. Il diritto della madre non dovrebbe essere solo quello di determinarsi nel senso di abortire, ma anche quello – altrettanto inviolabile fino a prova contraria – di poter cambiare idea e di proseguire la gravidanza.

E invece cosa succede? Che salgono in cattedra i pasdaran del “diritti” nonché infallibili cacciatori di “fake” nonché amatori seriali di chiunque tranne di chi odia perché lo odiano (alla faccia di Aristotele e del principio di non contraddizione). E questi luminari illuminati di un’epoca fosca e buia più di un inferno dantesco, precipitano nella più colossale, e ingestibile, dissonanza cognitiva. Da un lato, urlano ai diritti, condannano le fake news e additano gli odiatori. Dall’altro, negano il diritto di manifestare a persone le più amorevoli perché hanno detto la pura verità: e cioè che – se esiste un diritto della madre all’aborto – deve esistere anche il diritto contrario della medesima (a non abortire) e pure il diritto del bimbo, di cui nessuno si cura, a non tirare anzitempo le cuoia.

Ma qui scoppia, letteralmente, il bubbone nelle loro piccole coscienze confuse. I “diritti” sono, come essi asseriscono ad ogni piè sospinto, per definizione “convenzionali”. E dunque prescindono da qualsiasi pretesa “naturalità” o, peggio, ancora “sacralità”. Diritto è ciò che l’uomo “vuole” e “statuisce” nel rispetto delle norme procedurali di un processo legislativo in uno stato democratico, in barba a qualsiasi pretesa di Dio o di Natura. Non a caso, di diritti se ne inventano uno al dì, e dei più bizzarri, compresi quello di dare la morte a chi non ha più speranze, o voglia, di vita; o di cambiare sesso come le camicie; o di decidere il genere di una persona con un tratto di penna o una emissione di fiato; o di assegnare a un bambino due padri o due madri.

A questo punto – pensateci – ove mai a una maggioranza silenziosa, e non berciante,  venisse in mente di tutelare i diritti di chi non è ancora nato alla società “umana”, ma è già indubitabilmente “umano”, come la metterebbero i difensori dei “diritti”? Come potrebbero negare la normazione – per via maggioritaria –  di questo nuovo diritto perfettamente in linea con i capisaldi della nostra Costituzione, coloro che proprio (e solo) sul feticcio della “maggioranza” – e in assenza di ogni valore e principio superiore –  fondano ogni tipo di diritto? Capite ora il perché di tanto strepito e di tanta rabbia? Odio non si può dire perché loro, per definizione, pur essendo odiosi, non odiano.

Il motivo è che – precisamente sul tema dell’aborto – tutto il loro armamentario di retorica sedicente scientifica, ostentatamente liberale e pretesamente democratica viene mandato in frantumi. E, per di più, con suprema eleganza di modi e con l’inconfutabile forza dei fatti. Ecco perché chi ama la vita e odia l’aborto va fatto tacere. Con democratica sensibilità, s’intende.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com


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