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Partita IVA: soluzione o salasso?

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Aprire una partita IVA non è sempre una scelta: è obbligatorio quando si superano i 5000 euro per prestazioni occasionali e quando si lavora più volte per lo stesso committente nell’arco di un anno e per più di 30 giorni.

Si tratta di un regime del quale possono usufruire tutti coloro che non hanno un contratto di lavoro dipendente e che permette anche di risparmiare sulle tasse tramite il sistema di detrazione e deduzione delle spese: nel primo caso si riduce l’imposta dovuto allo Stato, nel secondo si ha invece una riduzione dell’imponibile sul quale viene applicata l’aliquota della tassa.

Vigono però delle grandi differenze in merito in base al tipo di regime che si sceglie o che si è costretti a scegliere: parliamo dell’ordinario e del forfettario. Attualmente il governo ha lasciato in auge i paletti posti dal precedente tramite la nuova Legge di Bilancio.

Forfettario o ordinario?

La possibilità di accedere al regime forfettario è molto allettante per chi cerca di ammortizzare le spese in ambito di tasse: parliamo di un’aliquota al 15%, della quale possono usufruire tutti coloro che guadagnano fino a 65mila euro all’anno.

Bisogna però fare una distinzione per quanto concerne i redditi dei professionisti, derivati da lavoro dipendente, che non possono superare i 30mila euro, pena il decadimento del tipo di regime. Una buona notizia è che il forfettario non ha una durata, ma è illimitato fino a quando si mantengono i limiti imposti.

Inoltre il professionista non è soggetto al pagamento dell’IVA e neppure agli studi di settore, anche se questa ipotesi era al vaglio dei deputati. Chi ha intenzione di dare vita a una start up ha una tassazione ancora più agevolata, pari al 5%, per i primi 5 anni di attività, mentre chi produce oltre i 65mila euro pagherà un’aliquota del 20%.

Cosa dire, invece, del regime ordinario? La situazione qui cambia anche perché ci sono una serie di comunicazioni da fare: si paga l’IVA, la ritenuta d’acconto del 20%, è obbligatorio registrare le fatture, fare la dichiarazione trimestrale e annuale, pagare l’Irpef e inviare lo Spesometro.

Deduzione e detrazione

Una grande differenza tra i due regimi sta anche nella possibilità o meno di dedurre o detrarre alcune spese dalla base imponibile Irpef: se per l’ordinario ci sono una serie di possibilità, per il forfettario queste sono ridotte all’osso.

Il professionista in regime ordinario può innanzitutto dedurre tutti i costi che derivano dall’attività lavorativa, quindi la benzina, le spese da sostenere per le trasferte lavorative, per il telefono o i computer, insomma tutto ciò che è attinente alla propria professione.

Inoltre è possibile dedurre anche il denaro versato alla propria cassa previdenziale o all’Inps, gli assegni di mantenimento e la beneficenza. Per quanto concerne la detrazione, invece, rientrano tutte le spese concernenti, per esempio, la salute (se si superano i 129,11 euro), l’istruzione secondaria e universitaria e tutte quelle che concernono le attività sportive ed educative dei figli.

Questa “fortuna” non tocca al professionista nel regime forfettario, che può eliminare ben poco delle spese personali, ma sicuramente non può detrarre quelle relative alle spese sanitarie. Per il resto, non rimane che cercare di risparmiare, magari acquistando ciò che serve tramite siti come Buonoedeconomico, che offrono una comparazione di prezzi, per aiutarvi a spendere di meno.

A chi rivolgersi

Se le idee riguardanti questi regimi non sono chiare e per capire bene come stanno le cose, così da valutare se aprire o no una partita IVA, è possibile rivolgersi a un commercialista o a un CAF.

Anche qui c’è da fare una considerazione abbastanza importante: la parcella del commercialista è consistente nella maggior parte dei casi, soprattutto se le consulenze richiedono parecchi interventi, come le comunicazioni all’Agenzia delle Entrate, etc.

Inoltre, se viene commesso qualche errore, la responsabilità è tutta del contribuente.

Ciò non accade con i CAF che, prima di tutto, hanno una parcella proporzionale al reddito del professionista. In secondo luogo, ogni Centro di Assistenza Fiscale stipula un’assicurazione che tutela chi vi si reca da eventuali errori di compilazione o trasmissione dati.

Va da sé quale sia la scelta più conveniente da fare!

Il problema Inps

Ciò che incide maggiormente sulle spalle del professionista è certamente il contributo previdenziale, che costituisce un vero e proprio salasso. Per questa ragione può capitare che chi ha ricevuto un’offerta di lavoro che superi i 5mila euro all’anno possa trovarsi nella condizione di doverla rifiutare, perché il pagamento delle tasse implica un regime di schiavismo.

Questo è ciò su cui il governo dovrebbe lavorare, cercando di favorire e di non mettere il cappio al collo a tante persone che vogliono regolarmente pagare le tasse.


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