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“Parigi non ha ottenuto nulla”. Le nuove regole di bilancio europee criticate anche in Francia

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Berlino ha ottenuto l’aggiunta di diverse garanzie nell’accordo raggiunto mercoledì 20 dicembre sul quadro di bilancio europeo. Da parte sua, Parigi si vanta di aver previsto un’applicazione più flessibile entro il 2027, ma in realtà questa non è altro che una promessa vaga e non vincolante.

Così inizia un articolo ben informato apparso sulla rivista francese Marianne che descrive l’accordo sulle norme di bilancio della UE come una vera e propria capitolazione francese ai desideri di Berlino di durezza e austerità. Una resa appena addolcia dalla promessa di un po’ di flessibiilità, ma che comunque conferma una vittoria sul campo dei falchi tedeschi.

Come mai nessun paese, neppure la Francia, ha avuto il coraggio di portare un po’ di ragionevolezza nelle normative in discussione rimane un mistero. Proabilmente solo pochi erano veramente preparati a reggere la discussione, o Le Maire, il ministro incaricato francese, ha sacrificato sull’altare della politica gli interessi del suo paese.

Vediamo come presegue la critica all’accordo fatta dalla testata francese:

 Nel complesso, il meccanismo adottato rimane vicino a quello auspicato da Bruxelles: i suoibusocrati definiranno gli obiettivi finanziari da raggiungere nell’arco di quattro anni per ogni paese che non rispetta i tetti del 3% del PIL per il deficit pubblico e del 60% per il debito. Considerati da molti come arbitrari, questi due limiti rimarranno invariati e la Germania in particolare si oppone alla loro abolizione. Poiché sono stati fissati dal Trattato di Maastricht del 1992, modificarli avrebbe richiesto l’accordo unanime degli Stati membri. Gli obiettivi fissati dalla Commissione dovrebbero consentire di portare il deficit al di sotto del 3% del PIL e il debito su “una traiettoria plausibilmente discendente”. La scadenza potrà essere prorogata se gli Stati membri si impegneranno a realizzare “investimenti e riforme” per “promuovere la crescita” e “soddisfare le priorità comuni” dell’UE, che comprendono “la transizione ecologica e digitale” e “il rafforzamento delle capacità militari ove necessario”. Responsabile della valutazione e del monitoraggio di queste promesse caso per caso, Bruxelles potrà estendere il periodo di aggiustamento fino a un massimo di sette anni, invece dei quattro previsti per legge. Rispetto alla versione proposta in primavera, sono state aggiunte diverse pietre miliari vincolanti, come ha dichiarato martedì Christian Lindner. Per i paesi il cui debito supera il 90% del PIL, la traiettoria dovrà prevedere una riduzione di almeno l’1% del PIL all’anno (0,5% all’anno negli altri casi). Questo criterio ricorda le condizioni previste dalle vecchie regole, che erano leggermente più rigide: fino ad allora, i paesi dovevano ridurre il divario tra il loro livello di debito e il limite del 60% del 5% all’anno.

Appare chiaro come  queste norme , durissime per l’Italia, tale da spezzare la crescita, saranno pesanti anche per la Francia che ha un rapporto debito /PIL superiore al 100% e che comunque dovrà fare dei pesanti tagli di bilancio.  Alla fine Parigi ha ottenuto pochissimo: nel preambolo è indicato come i tassi di interesse debbano essere tenuti in considerazione nella definizione dei disavanzi, ma poco più. Il potere lasciato alla Commissione è enorme: lei può decidere di essere piuma, e quindi di concedere lunghi termini di rientro, a fronte di impegni lievi, o può essere piombo, cioè applicare le regole in modo rigido. Ed essendo la Commissione un organo politico, potete capire quale possa essere l’effetto sui bilanci dello stato.

Quindi anche in Francia ci sono dei dubbi sulle nuove regole concordate. Come abbia potuto la Geermania imporre i propri voleri appare un vero mistero. Che alla fine i ministri dell’economia siano troppo deboli per la loro carica?

 

 


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