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Operazione Blueberry: così Renault ha “salvato” Ford (e beffato Volkswagen) tra un bagel a Detroit e la F1 a Monza
Operazione Blueberry: i retroscena segreti dell’accordo Ford-Renault. Dal “tradimento” a VW all’incontro a Monza, ecco come nascono le nuove city car elettriche.

Dimenticate le strette di mano formali sotto i riflettori dei saloni dell’auto. Le vere alleanze industriali, quelle che decidono se tra cinque anni avrete ancora un lavoro o un’auto accessibile da comprare, nascono spesso in luoghi anonimi, lontani da occhi indiscreti, tra caffè lunghi e moquette sintetiche. È la storia dell’Operazione Blueberry, il nome in codice che ha portato a uno degli accordi più sorprendenti e pragmatici dell’industria automobilistica recente: quello tra l’americana Ford e la francese Renault.
Una storia che ha tutto: incontri segreti in hotel aeroportuali, ingegneri che smontano auto della concorrenza, dimissioni improvvise che rischiano di far saltare il banco e un finale a 300 all’ora sul circuito di Monza. Ma soprattutto, è una storia che ci dice molto sullo stato dell’arte dell’industria europea e sulla “fame” di piattaforme elettriche a basso costo.
Detroit, marzo: l’inizio della cospirazione
Tutto inizia in un lunedì di fine inverno a Detroit. Il clima è quello tipico del Michigan, grigio e freddo, ma François Provost e Josep Maria Recasens non sono lì per il turismo. Il responsabile delle partnership di Renault e il capo di Ampere (la divisione elettrica del gruppo francese) hanno una missione delicata.
Non si recano al quartier generale di Ford a Dearborn. Troppo rischioso, troppi occhi. L’incontro avviene in una anonima sala riunioni di un hotel vicino all’aeroporto. Dall’altra parte del tavolo ci sono i vertici strategici dell’Ovale Blu: Marin Gjaja e John Lawler. L’ordine del giorno è brutale nella sua semplicità: come sopravvivere alla transizione elettrica senza svenarsi.
Ford ha un problema, e non è piccolo. In Europa l’Ovale Blu sta perdendo quote di mercato e la sua strategia “tutto SUV e tutto elettrico” si sta scontrando con la dura realtà dei costi. Hanno bisogno di volumi, e in fretta. Hanno bisogno di auto elettriche piccole, le famose city car, che non costino un patrimonio da sviluppare. E qui entra in gioco il pragmatismo francese.
“In questo tipo di dossier, spesso si inizia con gruppi di lavoro infiniti e studi di fattibilità,” racconta Provost. “Io preferisco iniziare con pochissime persone, ma di alto livello.”
Tra un bagel e un caffè, nasce un memo di tre pagine. Due le piste: veicoli commerciali (dove entrambi sono forti) e, soprattutto, le piccole auto elettriche.
Perché Ford ha bussato alla porta di Renault?
Qui la faccenda si fa tecnica, ed è qui che si vede la genialità industriale (o la disperazione, a seconda dei punti di vista). Ford non è andata alla cieca. Prima dell’incontro di Detroit, gli ingegneri americani avevano comprato una Renault 5 E-Tech e l’avevano letteralmente disossata.
Il verdetto dei tecnici di Dearborn è stato inequivocabile: la piattaforma francese è eccellente. Christian Weingärtner, vicepresidente di Ford Europa, ammette candidamente: “Avevamo fatto i compiti a casa”. Hanno visto nella rinascita di Renault dal 2020 un modello da seguire e una tecnologia da sfruttare.
Ford, che per anni ha cercato di “americanizzare” la sua presenza in Europa, si è resa conto che per vendere nel Vecchio Continente servono auto adatte alle nostre strade e alle nostre tasche. E sviluppare una piattaforma da zero costa miliardi. Perché spendere se i francesi l’hanno già fatto bene?
L’Operazione Blueberry prende forma
Il progetto ottiene il nome in codice “Blueberry”. Nelle settimane successive, la segretezza diventa paranoica.
Le riunioni si tengono a Londra (sede di Ford Europe) quando gli uffici sono vuoti.
A Boulogne-Billancourt, quartier generale Renault, si usa una sala al piano terra del “Bâtiment X” per evitare che troppi dipendenti notino il viavai.
I team si sentono quotidianamente in videoconferenza.
L’obiettivo di Ford è aggressivo: vogliono l’auto sul mercato ieri. I francesi accettano la sfida del “retroplanning“: si parte dalla data di lancio imposta dagli americani e si lavora a ritroso. Tutto sembra procedere a gonfie vele, con una convergenza su design e costi prevista entro fine anno.
Il terremoto di giugno: l’addio di De Meo
Poi, il 15 giugno, arriva la doccia fredda. Luca de Meo, l’architetto della “Renaulution”, annuncia le dimissioni. Nel mondo corporate, un cambio al vertice in una fase così delicata è spesso la pietra tombale sui progetti speciali. L’incertezza spaventa gli investitori e paralizza i manager.
Ma l’Operazione Blueberry è troppo importante per fallire. Weingärtner e la controparte francese, Jean-François Salles, decidono di ignorare il panico: “Continuiamo a lavorare come se nulla fosse”, si dicono. È una scommessa rischiosa, ma necessaria. Il tempo, nel settore automotive odierno schiacciato dalla concorrenza cinese, è una risorsa più scarsa del litio.
Il patto di Monza: velocità e pragmatismo
La tensione si scioglie il 30 luglio. Renault nomina il nuovo CEO, ed è proprio lui: François Provost. L’uomo dell’hotel di Detroit. Appena nominato, la sua prima mossa è chiamare Jim Farley, il CEO globale di Ford.
L’appuntamento per la benedizione finale è fissato in un luogo sacro per chi ama i motori: il circuito di Monza, durante il Gran Premio d’Italia. Qui la scena cambia drasticamente. Niente più moquette grigia da hotel, ma il lusso dell’hospitality Alpine e il rombo dei motori. Jim Farley è un car guy puro, un appassionato che corre in pista nel tempo libero. Provost ha un profilo diverso, meno “benzina nel sangue”, ma tra i due scatta l’intesa.
Mentre fuori le monoposto girano, dentro si chiude l’accordo. È il trionfo del realismo: Ford ottiene la tecnologia che le serve, Renault ottiene i volumi produttivi necessari per ammortizzare i costi fissi delle sue fabbriche francesi. È pura teoria economica applicata: economie di scala per sopravvivere.
Lo “schiaffo” a Volkswagen
C’è un grande assente in questa storia, che probabilmente sta masticando amaro a Wolfsburg: Volkswagen. Fino a ieri, Ford sembrava legata a doppio filo ai tedeschi per l’elettrificazione in Europa (l’accordo sulla piattaforma MEB). L’idea era di usare la base della ID.Polo per le piccole Ford.
Ma qualcosa si è rotto. O meglio, i calcoli non tornavano più.
Il Tempo: La ID.Polo arriverà solo nel 2026, troppo tardi per le esigenze impellenti di Ford. Non solo, ma per ora non rispetta le premesse sul prezzo. Costa ancora troppo, più dei 25 mila euro promessi, comunque tantissimo.
Il Costo: La soluzione Renault si è rivelata più economica.
“Non mettiamo tutte le uova nello stesso paniere”, ha dichiarato Weingärtner, confermando che la partnership con VW resta, ma per questo segmento specifico, i francesi hanno vinto. È un segnale fortissimo: la presunta superiorità tecnologica tedesca sta mostrando crepe evidenti, superata dalla flessibilità e dalla velocità di esecuzione della “nuova” Renault.
I test segreti e il “Concept Freeze”
L’autunno vede l’accelerazione finale. In una stanza segreta del tecnocentro di Guyancourt, i designer lavorano fianco a fianco. Di notte, prototipi camuffati girano per l’Île-de-France per i test drive congiunti.
A novembre, il momento della verità: il “concept freeze”. Viene presentata la maquette della nuova piccola Ford accanto alla R5. Il timore era di avere due auto fotocopia (il vecchio errore del badge engineering). Invece, lo stupore è generale: le auto sono diverse, hanno anime distinte. Ford ha ottenuto la sua differenziazione stilistica, Renault ha imposto la sua architettura tecnica.
Le negoziazioni contrattuali di novembre sono state tese – nessuno regala niente in questo business – ma l’accordo regge. Il lancio è previsto per il 2028.
Cosa ci insegna questa storia?
L’Operazione Blueberry non è solo un accordo tra due aziende. È un manifesto di come sta cambiando l’industria.
La fine dell’orgoglio nazionale: Un gigante americano usa tecnologia francese per vendere in Europa. Il pragmatismo vince sul nazionalismo industriale.
La crisi tedesca: Volkswagen, un tempo riferimento assoluto, perde un cliente chiave su un segmento vitale per ritardi e costi. È un campanello d’allarme assordante per l’industria teutonica.
La velocità è tutto: In un mercato distorto da normative europee stringenti e concorrenza asiatica, chi esita è perduto. Ford e Renault hanno tagliato i tempi di sviluppo della metà.
Resta da vedere se il mercato risponderà. Ma se il risultato sarà un’auto elettrica finalmente accessibile, prodotta in Europa e con un design accattivante, allora quei bagel stantii all’aeroporto di Detroit saranno stati il miglior investimento dell’anno. Per ora, Renault incassa i complimenti e, soprattutto, le future royalties. Ford compra tempo e speranza. E i cinesi? Per ora, osservano.
Domande e risposte
Perché Ford ha scelto Renault invece di continuare solo con Volkswagen? Ford aveva bisogno di agire rapidamente per colmare un vuoto nella sua gamma di auto elettriche piccole. La piattaforma di Volkswagen (quella della futura ID.Polo) non sarebbe stata pronta prima del 2026 e, secondo le analisi di Ford, risultava più costosa. La piattaforma della Renault 5, invece, era già pronta, testata e giudicata eccellente dagli ingegneri americani dopo averne smontata una. È stata una scelta dettata puramente da tempi (time-to-market) e costi (Capex), fattori critici per competere oggi.
Quali sono i vantaggi concreti per Renault in questo accordo? Per Renault, questo accordo è una boccata d’ossigeno finanziario e industriale. Sviluppare piattaforme elettriche e batterie costa miliardi; permettere a Ford di usare la propria tecnologia (l’architettura AmpR Small) consente di “spalmare” questi costi fissi su un numero molto più alto di veicoli prodotti. Questo genera economie di scala: più auto produci sulla stessa base, meno ti costa ogni singola unità. Inoltre, Renault ottiene un riconoscimento del suo status tecnologico, passando da inseguitore a leader tecnico in Europa.
L’auto Ford sarà solo una “copia” della Renault 5 con un logo diverso? No, ed è stato un punto cruciale della negoziazione. Ford ha posto come condizione essenziale una forte differenziazione stilistica. Durante il “concept freeze” di novembre, è stata presentata una maquette della futura Ford accanto alla R5 e i testimoni hanno confermato che le due vetture appaiono molto diverse. Condivideranno la “pancia” (motore, batteria, telaio), ma la carrozzeria, gli interni e il feeling di guida saranno specifici per ogni marchio, per evitare l’effetto “clone” che i clienti detestano.









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