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Energia

OPEC+: aumenti contenuti e la “Pausa Invernale”. Il mercato del petrolio tra Fed e sanzioni

L’OPEC+ aumenta la produzione per dicembre ma annuncia una “pausa stagionale” per il Q1. Tra sanzioni russe e tagli dei tassi Fed, il mercato resta volatile, con la Banca Mondiale che vede il Brent a 60$ nel 2026

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L’OPEC+, il cartello allargato dei produttori di petrolio guidato da Arabia Saudita e Russia, ha concordato domenica un altro piccolo aumento della produzione per dicembre, proseguendo la sua strategia di lento rientro sul mercato. Se l’aumento delle quote limitato era previsto,  la vera notizia è forse la decisione di prendersi una “pausa stagionale” nei primi mesi del prossimo anno.

Il gruppo degli otto paesi principali (che include anche Iraq, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Kazakistan, Algeria e Oman) ha deciso di aumentare la produzione di 137.000 barili al giorno (bpd) per il mese di dicembre. Si tratta di un livello simile agli incrementi già visti a ottobre e novembre.

La mossa, si legge nel comunicato ufficiale, è stata presa alla luce di “prospettive economiche globali stabili e fondamentali di mercato attualmente sani, come riflesso dalle basse scorte di petrolio”.

La pausa di riflessione

Nonostante questo nono mese consecutivo di aumenti – parte del piano per annullare i tagli precedenti (prima 2,2 milioni di bpd, poi 1,65 milioni) – il cartello ha anche deciso di sospendere gli incrementi di produzione per gennaio, febbraio e marzo, adducendo motivi di “stagionalità”.

È una mossa tecnica: l’inverno vede calare la domanda in alcuni settori. Tuttavia, l’OPEC+ lascia la porta aperta: il ritmo di rientro dei tagli (1,65 milioni di bpd) “può essere ripristinato in parte o totalmente in base all’evoluzione delle condizioni di mercato e in modo graduale”.

Insomma, si apre il rubinetto, ma con la mano pronta a richiuderlo. La prossima riunione è fissata per il 30 novembre.

Pozzo petrolifero negli Emirati Arani

I fattori che muovono il mercato

Il mercato petrolifero rimane volatile, stretto tra diverse forze contrapposte. Se da un lato pesano le tensioni geopolitiche in Medio Oriente e le tariffe annunciate dal presidente USA Donald Trump, dall’altro sono due i fattori principali che hanno recentemente scosso i prezzi:

  1. Sanzioni USA: La decisione degli Stati Uniti di imporre sanzioni alle compagnie petrolifere russe Lukoil e Rosneft ha fatto balzare i prezzi fino al 5% il mese scorso. Il motivo è semplice: il timore di uno shock di offerta da parte di uno dei maggiori produttori mondiali.
  2. Le Mosse della Fed: La Federal Reserve ha abbassato il suo tasso di riferimento di 25 punti base (dopo un taglio simile a settembre). Questa è una classica mossa espansiva: tassi più bassi significano prestiti meno costosi per le imprese, stimolando investimenti e crescita economica, che a sua volta spinge al rialzo la domanda di petrolio. Però ora si prenderà probabilmente una pausa, anche per mancanza di dati, e bisogna valutarne l’effetto.

Come ha notato Claudio Galimberti di Rystad Energy, “Gli investitori hanno interpretato il cambio di politica [della Fed] come favorevole alla domanda a breve e medio termine”.

Lo spettro dell’eccesso di offerta

Nonostante il supporto della Fed, sul mercato aleggiano preoccupazioni per un eccesso di offerta e una domanda debole. La Banca Mondiale, in un report del mese scorso, ha dipinto uno scenario ribassista: si prevede che i prezzi del greggio Brent scendano da una media di 68 dollari nel 2025 a 60 dollari nel 2026, un minimo di cinque anni.

Le cause? La stagnazione del consumo di petrolio in Cina e il parallelo aumento della domanda di veicoli elettrici.

Alla chiusura di venerdì, il Brent (riferimento globale) si è assestato a 64,77 dollari al barile, mentre il West Texas Intermediate (WTI) statunitense ha chiuso a 60,98 dollari. Quasi al livello delle previsioni. Però bisognerà valutare come evolverà la situazione in Nigeria e in Venezuela.

Prezzo petrolio WTI

Domande e risposte

Perché l’OPEC+ aumenta la produzione se teme una domanda debole?

L’OPEC+ sta gestendo un equilibrio complesso. Gli aumenti attuali non sono dettati da una domanda forte, ma fanno parte del piano di “restituzione” dei barili tagliati volontariamente durante la crisi (come i 1,65 milioni di bpd annunciati ad aprile 2023). Il cartello vuole recuperare quote di mercato perse, ma lo fa con estrema cautela. La “pausa” nel Q1 dimostra che sono pronti a fermarsi immediatamente se vedono che il mercato non riesce ad assorbire l’offerta extra, per evitare un crollo dei prezzi.

In che modo un taglio dei tassi della Fed influenza il prezzo del petrolio?

Il petrolio è la linfa dell’economia. Quando la banca centrale (come la Fed) taglia i tassi di interesse, il denaro costa meno. Le aziende sono più incentivate a chiedere prestiti per investire, costruire ed espandersi. Le famiglie sono più propense a spendere. Questo stimola l’attività economica generale. Più attività economica (fabbriche, trasporti, viaggi) richiede più energia, e quindi più petrolio. Di conseguenza, la domanda di greggio aumenta e, con essa, il prezzo.

Qual è la previsione della Banca Mondiale sul petrolio e perché è così bassa?

La Banca Mondiale prevede un calo del Brent a 60 dollari al barile entro il 2026, un livello considerato molto basso (minimo di cinque anni). Questa previsione ribassista si basa su due fattori principali che frenano la domanda. Il primo è il rallentamento economico e la stagnazione dei consumi in Cina, che è stata per anni il motore della domanda globale di petrolio. Il secondo è l’accelerazione dell’efficienza energetica e la crescente adozione di veicoli elettrici, che iniziano a erodere la domanda di carburanti fossili nel settore dei trasporti.

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