Politica
“NON TEMETE, UN ACCORDO SI TROVERA'”
C’è una frase che abbiamo sentito tante volte, a proposito della Grecia, da poterla considerare un’ovvietà: “Non temete, un accordo si troverà”. Su che cosa si fonda questo ottimismo? Semplice, sul fatto che il mancato accordo non conviene alla Grecia (che spera ancora di ottenere crediti e sovvenzioni) e non conviene all’Unione Europea (perché un’uscita dalla Grecia dall’euro potrebbe provocare nelle Borse una crisi di sfiducia dalle conseguenze imprevedibili). Ma, se si è certi che un accordo si troverà, come mai non lo si è ancora ottenuto pur negoziando da mesi e da anni?
Al riguardo soccorre una vecchia favola. Il gatto, col suo fare felpato e i suoi agguati, faceva strage di topi. Questi si riunirono in assemblea e all’unanimità votarono che la soluzione era attaccare un sonaglio al collo del gatto, in modo che lo si sentisse arrivare. Purtroppo, non si trovò chi fosse capace di attaccarglielo. Anche riguardo alla Grecia, sull’opportunità dell’accordo i governanti sono unanimi, il fatto è che il costo non lo pagano loro, lo pagano i creditori della Grecia. E costoro – cioè quelli che realmente hanno il potere di dire di sì o di no – non dicono affatto che “un accordo si troverà”. Non: “a qualunque costo”.
Quando un debitore non paga si mette nei guai ma mette nei guai anche il suo creditore, perché è costui che subisce la perdita economica. Questi ha dunque tutto l’interesse a non far fallire il debitore, con un limite: se per caso prevede che, salvandolo, domani si troverà a pagare un conto ancor più salato, è chiaro che preferirà perdere subito ciò che c’è da perdere, piuttosto che concedere ancora crediti.
Il negoziato è tutto qui. I creditori cercano disperatamente di non far dichiarare il fallimento della Grecia pubblicamente (sostanzialmente è fallita da tempo) perché perderebbero i loro crediti. Ma per non perderci ancor di più in futuro, vorrebbero che la Grecia attuasse riforme economiche tali da far sì che a poco a poco possa pagare i suoi debiti. Personalmente lo reputo un sogno, ma loro sembrano crederci. La Grecia, dal canto suo, da un lato sa che ben difficilmente potrà rimborsare i debiti e sopravvivere, dall’altra è convinta che l’Europa non avrà il coraggio di buttarla fuori.
Nel caso che i creditori dicano di no, i greci sperano nell’intervento dei Paesi dell’eurozona che, nel loro proprio interesse, dovrebbero aprire il borsellino pur di salvare Atene. Ma non è detto che sia un buon calcolo. Innanzi tutto, i popoli europei, a partire dai tedeschi, protesterebbero a gran voce, se gli si chiedesse di pagare per i greci. Si può dire anzi che protesterebbero tanto, da rendere forse l’operazione politicamente impraticabile. In secondo luogo, un Paese come l’Italia, fermo da sette anni e con l’acqua alla gola, o un Paese come la Spagna, che ha fatto grandissimi sforzi, avrebbero gravi difficoltà a spiegare ai propri cittadini che devono pagare per la Grecia, mentre l’Unione Europea non fa per loro, che sono stati “virtuosi”, quello che fa per la Grecia spensierata e spregiudicata. La Grecia pesa in tutto per un 2% del pil dell’Europa, ma l’Europa non dispone certo di fondi tali da poter aiutare in misura analoga giganti come l’Italia o la Spagna.
In sintesi: la Grecia è convinta d’avere un potere di ricatto; i governi europei sono nell’impossibilità politica d’intervenire e i creditori non vogliono perdere altri soldi. L’infinito prolungarsi dei negoziati si spiega col fatto che la Grecia spera di “essere buttata fuori”, per poi poter dare all’Europa la colpa dei guai in cui si troverà; l’Europa spera che la Grecia lasci l’euro (o anche l’Unione Europea, se lo desidera), purché lo faccia di sua volontà, e nessuno possa accusarla di avere dato inizio alla disgregazione dell’unione monetaria europea; i creditori si chiedono soltanto in che modo possono ridurre i danni al minimo.
Poiché gli avvenimenti storici sono figli della necessità, si potrebbe pensare che l’esito finale ci spiegherà qual era l’elemento più forte. In realtà non è così. Perché la necessità è giudicata dagli uomini di Stato e questi possono benissimo sbagliarsi. Alla vigilia della Prima Guerra Mondiale tutti i capi dei governi europei erano convinti di due cose: che la guerra sarebbe durata pochissimo e che loro l’avrebbero vinta. In realtà la guerra durò moltissimo e la persero tutti.
Nel caso della Grecia può darsi che l’esito sia obbligato, dati gli elementi di fatto – che forse oggi non siamo in grado di valutare correttamente – ma può anche darsi che la conclusione sia soprattutto influenzata da un fattore storico di portata immensa: l’umana follia.
Gianni Pardo, [email protected]
25 giugno 2015
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