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Non c’è Giustizia senza Verità

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Dice il saggio che le sentenze si commentano, e si criticano, dopo aver letto le motivazioni. Risponde il sapiente che “certe” sentenze, su “certe” questioni, si possono commentare, anzi si “devono” criticare anche prima. Come nel caso del verdetto della Corte Costituzionale sugli obblighi vaccinali. Perché i motivi di puro diritto, di elementare giustizia e di civiltà  giuridica militanti a favore di uno dei due possibili esiti del giudizio sono così solari da non ammettere che un’unica conclusione. E invece ci troviamo fra le mani l’altra. La legge impositiva dell’obbligo poteva essere costituzionale o incostituzionale, in linea teorica e formale. Nella sostanza della verità, essa era, ed è, radicalmente anticostituzionale per una plurima serie di ragioni che tutti conosciamo a menadito: dai no-vax agli ultravax, dai profani del diritto e ai raffinati giuristi, dai potenti sacerdoti della cattedrale sanitaria agli umili e indifesi che ne hanno subito le offese e patito le vessazioni.

Tutti, nessuno escluso, sappiamo che quelle leggi meschine hanno tradito la razionalità umana, la dignità dei lavoratori, i principii fondamentali della nostra suprema carta: escludendo dal consesso civile, e privando persino del diritto al sostentamento, centinaia di migliaia di individui rei di aver rifiutato un trattamento sanitario dalla dubbia efficacia terapeutica, inidoneo a proteggere gli “altri”, potenzialmente foriero di conseguenze nefaste per se stessi.

Ebbene, la decisione della Consulta – a dispetto di quanto a tutti è noto, sul piano scientifico generale e su quello empirico individuale – ha  “salvato” la norma iniqua e buttato a mare le legittime aspettative di chi, da quella norma, è stato calpestato e vilipeso. Ciononostante, si illudeva chiunque (compreso chi scrive) auspicava una fine diversa. Perché la fine era già scritta, come usa dire. Ancor prima venisse sollevata, e accolta, la primitiva eccezione di incostituzionalità.

Dopotutto, nel pronunciamento con cui il Giudice delle leggi ha dato conclusiva “copertura” costituzionale alle norme in questione c’è una sinistra coerenza, e una perversa “rettitudine”. Ma non, ovviamente, rispetto alla granitica giurisprudenza di quello stesso Giudice. Infatti, i due principali requisiti (stabiliti dal medesimo altissimo consesso in almeno tre precedenti occasioni) per imporre legittimamente un vaccino obbligatorio, nella fattispecie mancavano. Per la precisione: la salvaguardia della salute pubblica, da un lato, e l’assenza di effetti collaterali, se non tollerabili e transeunti, dall’altro.

Ma la “coerenza” e la “rettitudine” della Corte non hanno, nella circostanza, nulla a che vedere con il diritto. Semmai, con l’impianto narrativo di una delle più nere stagioni della nostra Repubblica e della nostra democrazia (ammesso che ancora esistano). Una “storia”, ormai scolorante nella leggenda, secondo cui – per salvare la vita e la salute collettive minacciate da una malattia  incurabile e letale al massimo grado – ben si poteva imporre ai consociati la somministrazione di un farmaco salvifico quanto innocuo.

Capite bene come tutto il biennio pandemico si regga su questa premessa fallace. Se essa fosse stata dichiarata infondata, l’intera successiva “costruzione di costrizioni”, discriminazioni, segregazioni, sorveglianze, punizioni (in una parola: infamie) sarebbe miseramente implosa. Ci sono motivi evidenti di carattere politico, sociale, psicologico, emotivo e financo di ordine pubblico per cui ciò non poteva, e non può, non doveva, e non deve, essere permesso e tollerato. Ma non canti vittoria troppo presto chi ha accettato, incoraggiato, o addirittura fiancheggiato il “sistema” dell’era pandemica. Persa la partita con la Giustizia, rimane aperta, e verrà vinta, quella con la Verità.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com


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