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Politica

CHE NOIA LA CORRUZIONE

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Il behaviourism è quella teoria psicologica che vuole studiare i comportamenti partendo dalle azioni concrete, senza inferirne gli atteggiamenti soggettivi corrispondenti, considerati inconoscibili. E al behaviourism, in opposizione a tutto ciò che si sente in giro, vien fatto di pensare a proposito della corruzione in Italia. Prima di stracciarci le vesti, non sarebbe il caso di esaminare i fatti?

La costante reazione agli scandali, attualmente quello grandioso di Roma, veramente degno di una capitale, è innanzi tutto morale, giuridica, politica. Dipende cioè da punti di vista che si rivolgono, severi, alla soggettività degli attori: “Tu devi lasciare per sempre la politica”, “Tu devi restituire il maltolto”,”Tu meriti la galera”. Ma tutto ciò non serve a niente. Le dichiarazioni indignate e solenni non beneficiano in alcun modo la collettività. Anche mettere in galera i colpevoli serve a poco, dal momento che – a quanto si è sempre visto – non dissuade gli altri dal continuare nel malaffare. Dunque al massimo si aggrava l’affollamento carcerario. Ciò che sarebbe desiderabile non sarebbe tanto punire – o veder soffrire di più – i colpevoli che hanno rubato i soldi dello Stato, quanto fare in modo che ciò non avvenga. Ed è chiaro che questo risultato non lo si può ottenere – o, almeno, non lo si è mai ottenuto – con i moniti, con le condanne morali e con le sentenze giudiziarie.

In certe civiltà esiste l’abitudine di lasciare sul marciapiede una sedia con sopra una pila di copie del quotidiano locale. Chi ne desidera una si serve e mette i soldi in una cassetta. Naturalmente, se molti prendessero il giornale senza pagarlo, o se qualcuno portasse via l’intera cassetta, il sistema non potrebbe funzionare. E certo non cambierebbe le cose stare a moralizzare i ladri di centesimi. O la civiltà di una comunità consente di vendere i giornali sulla fiducia, oppure i giornali li deve vendere un commerciante dall’occhio attento. Per la corruzione è lo stesso.

L’Italia ha dimostrato nel corso di molti decenni che non è possibile sradicare la mala pianta della corruzione, e poco importa che il livello sia alto o basso, periferico o centrale. Non serve stabilire se i disonesti siano di destra o di sinistra: se c’è modo di arraffare il denaro dello Stato, poco o molto che sia, s’è visto che quasi nessuno se ne priva. Il rosario dei nostri scandali è talmente lungo da essere divenuto pesantemente noioso: cambiano solo i nomi. E proprio per questo bisogna smetterla di pensare di cavarsela con la reazione morale o giuridica. Bisogna trovare un’altra soluzione.

Lo Stato ha il dovere di esercitare alcune funzioni che solo esso è in grado di esercitare, più alcune altre di cui reputa opportuno farsi carico, e tutti questi compiti richiedono un finanziamento. Purtroppo, la minaccia del giudice penale non si rivela sufficiente a frenare l’avidità dei funzionari disonesti. La soluzione dunque non è bacchettare i colpevoli che hanno preso il giornale senza pagarlo, è togliere loro l’occasione di prenderlo. Per ogni compito dello Stato, bisognerebbe chiedersi se faccia veramente parte di quelli assolutamente necessari e imprescindibili, e se non lo è, abolirlo o lasciare che se ne occupino i privati. E ciò vale anche quando si tratta di compiti che corrispondono agli ideali più alti. Per esempio la sanità pubblica. Perfino quando si tratta di soccorrere chi è in bisogno, la corruzione è in agguato. Basti vedere la quantità di truffe perpetrate ai danni dell’Inps, con la volenterosa collaborazione dei cittadini più deboli (quegli stessi che dichiarano i politici disonesti da mattina a sera), dei medici superficiali o corrotti, di funzionari di quel carrozzone assistenziale. In questi casi, bisogna ridurre drasticamente l’ambito dell’intervento statale.

Lo Stato italiano riesce a succhiare la metà di tutta la ricchezza prodotta dalla nazione e questa è un’esagerazione, per non dire una rapina. Poi amministra somme di denaro straordinariamente grandi, incanalate in un numero straordinariamente grande di rivoli, e le occasioni di peculato divengono tanto numerose da risultare incontrollabili. Soltanto un alto livello d’onestà potrebbe limitarle, ma noi non l’abbiamo. La soluzione dunque non può che trovarsi all’altra estremità. Non: “essere tanto onesti da non rubare”, ma “non avere l’occasione di rubare”.

Per questo si è partiti dal behaviourism: poco importa perché si prevarica tanto spesso. Tralasciando ogni tentativo di educazione morale, ed anche di aggravamento delle sanzioni, bisogna impedire la possibilità del suo verificarsi.

Naturalmente questo genere di considerazioni non ottiene ascolto. Moralisti inguaribili, quando ci troviamo dinanzi alle conseguenze di ciò che siamo, invece d’invocare una soluzione tecnica, invochiamo l’angelo sterminatore. Cioè continuiamo a preferire la mitologia alla scienza.

Gianni Pardo, [email protected]

8 dicembre 2014


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