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Economia

18 centesimi a chi cuce, 17 euro per la distribuzione: lo scandalo della maglietta che svela lo sfruttamento della moda.

Ti sei mai chiesto dove finiscono i soldi di una maglietta da 29 euro? Una nuova ricerca svela la realtà: solo 18 centesimi vanno al lavoratore che l’ha prodotta, mentre quasi il 60% resta al rivenditore.

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Il mercato globale dell’abbigliamento è un settore da mille miliardi di dollari che impiega decine di milioni di lavoratori in tutto il mondo.

Tuttavia, come riferisce Felix Richter di Statista, nonostante la forte crescita registrata negli ultimi due decenni, il settore rimane fortemente sbilanciato verso il vertice della catena del valore.

Mentre un piccolo numero di grandi multinazionali che dominano il mercato dell’abbigliamento a livello globale realizzano miliardi di profitti ogni anno, i lavoratori delle fabbriche nei paesi produttori di tessuti guadagnano a malapena il salario minimo, affrontando condizioni di lavoro spesso non solo scomode ma anche pericolose.

Le stime pubblicate dalla Clean Clothes Campaign rivelano l’entità dello svantaggio dei lavoratori in questo settore.

L’organizzazione ha suddiviso il prezzo al dettaglio di una maglietta venduta a 29 euro in Europa per illustrare dove finiscono i soldi.

Da queste si evince che i lavoratori delle fabbriche ricevono meno dell’1% del prezzo di una maglietta prodotta in Bangladesh e venduta in un tipico negozio di abbigliamento in Europa.

La maggior parte del prezzo di vendita finale, quasi il 60%, finisce ai rivenditori sotto forma di profitto del negozio, personale, affitto e imposte sulle vendite.

Le quote successive più consistenti sono il profitto del marchio e i costi dei materiali, ciascuno pari al 12% del prezzo finale, e i costi di trasporto, pari all’8%.

Nel frattempo, la fabbrica in Bangladesh guadagna poco più dei suoi lavoratori, con una stima del 4% del prezzo finale che finisce come profitto della fabbrica, un euro su 29 del costo della maglietta ch costa 29 euro.

Al lavoratore vanno 18 centesimi per maglietta, meno dell’1%. 

La situazione è talmente squilibrata che dazi anche del 30% o del 40% in realtà sarebbero di danno assai limitato per il lavoratore e di poco danno per la fabbrica all’estero. Al massimo potrebbero un po’ danneggiare il marchio. Dato che il 60% sono costi di distribuzione vari nazionali, l’effetto sui prezzi sarebbe molto limitato.


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