Attualità
MESsi in trappola (di Francesco Cappello)
di Francesco Cappello
Il meccanismo europeo di stabilità (MES) è uno dei modi che i paesi ricchi dell’eurozona stanno perfezionando per porsi al riparo, a danno dei più paesi più fragili, dalle perdite provocate dalle loro stesse politiche mercantiliste-ordoliberiste, sostenute e promosse dalle istituzioni della Ue.
Se leggi “fondo salva stati (FSS)“ pensi ad una colletta tra stati, utile a venire in soccorso di quei paesi che venissero a trovarsi in grave difficoltà. Bello no? La solidarietà tra stati! Già nella versione sottoscritta, ratificata e finanziata nel 2012 il FSS fu ridefinito meccanismo europeo di stabilità. Anche in questo caso immagini che misure a garanzia della stabilità saranno sicuramente positive. C’è forse qualcuno a cui piace vivere tra brutte sorprese, in un mondo imprevedibile, continuamente mutevole e instabile?
Dire più realisticamente, che il MES sia stato architettato primariamente quale fondo salva grandi banche d’affari, non lo avrebbe reso molto popolare. Dire che mira, seppure indirettamente, ad incoraggiare la minimizzazione della spesa pubblica degli stati o a incentivare la svendita di quel che rimane del loro patrimonio pubblico, o ancora, che abbia come effetto quello di dirottare gli investimenti delle famiglie, orientandoli all’acquisto dei prodotti finanziari delle banche d’affari piuttosto che dei titoli del loro stato, avrebbe rischiato di metterlo in cattiva luce.
La denominazione di fondo salva stati ci aveva comunque abituato a convivere con l’idea dell’eventuale default (fallimento) degli stati.
Che i paesi membri possano fallire legittima strumenti quali il MES, predisposti al loro soccorso. Tale eventualità appare oggi realistica quale esito reso possibile da una serie di cambiamenti strutturali intervenuti negli ultimi decenni. Premesso che l’Italia non ha mai subito un default del debito pubblico è importante partire dall’art. 47 della Costituzione per capire le origini virtuose del debito e del cambiamento pernicioso della sua natura, da 40 anni a questa parte.
Al primo comma è scritto:
La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito.
Gli italiani hanno avuto in passato, quando era integro e attivo il modello economico inscritto nel titolo 3 della Costituzione economica, una grande vocazione e capacità di risparmio, riuscendo a mettere da parte un quarto, in media, del proprio reddito. L’economia assai vivace del tempo, vicina alla piena occupazione, era affetta, in parte, da una inflazione da costi dovuta all’aumento dei prezzi del petrolio che si verificò a metà anni ’70. L’inflazione, come si sa, erode il potere di acquisto del denaro; per di più il denaro risparmiato, nella sua funzione di riserva di valore, non circola nell’economia. Quando la politica decideva investimenti pubblici straordinari nell’interesse del Paese, qualora le entrate fiscali si rivelassero insufficienti allo scopo, chiedeva al Tesoro di emettere titoli di stato con i quali raccoglieva ed impiegava utilmente per la comunità le risorse finanziarie che quest’ultima era stata in grado di accantonare. In questo modo, nel mentre proteggeva il risparmio degli italiani, con un tasso di interesse adeguato a coprire l’inflazione, impiegava virtuosamente le risorse risparmiate mobilitandole nella costruzione di ospedali, strade, scuole, alloggi popolari, investendo in tutti quei settori rispondenti all’interesse pubblico, dai servizi pubblici, allo stato sociale ecc.. L’entità del “debito“ era perciò pari alla ricchezza attiva degli italiani, un indice della efficienza della politica, della sua capacità progettuale e di costruzione dell’interesse pubblico secondo le indicazioni della Costituzione.
Il debito cambiò natura, forma e funzione a partire dagli anni 80, in almeno tre passi.
Nell’81, il divorzio tra banca d’Italia e Tesoro, togliendo al governo la possibilità di decidere il tasso di interesse con cui remunerare i titoli di stato sulla base dell’inflazione corrente, rinunciò alla capacità di manovra di questa essenziale leva della macroeconomia lasciando che fosse il mercato a “regolare“ il tasso di interesse. Alla nostra banca centrale fu impedito di emettere la moneta necessaria a comprare i titoli rimasti invenduti alle aste pubbliche cui partecipavano molte banche pubbliche italiane (oggi privatizzate). In conseguenza al divorzio, i tassi, lasciati al mercato, lievitarono e il rapporto debito/pil raddoppiò nello spazio di un decennio, cosa che indusse molti a dirottare i propri investimenti dall’economia reale a quella finanziaria poiché quest’ultima prometteva rendimenti più alti rispetto a quelli realizzabili in molti settori produttivi. Le cose si complicarono ulteriormente quando si permise, nel corso degli anni 80, a investitori esteri di comprare titoli del debito italiano. Sino ad allora il debito era stato interno (come indebitarsi in famiglia, una partita di giro), ma esternalizzandolo si aprì una falla emorragica in grado di estrarre in modo continuativo ricchezza dal Paese. A completare l’opera è stata la rinuncia alla moneta nazionale. Il debito è stato nominato in una moneta, per noi straniera, ossia l’euro del quale non abbiamo alcun controllo. Oggi, per finanziare la spesa pubblica siamo costretti ad indebitarci rivolgendoci ai mercati finanziari che non possono che offrirci il loro veleno quotidiano fatto di moneta privata a debito. Non abbiamo più una banca centrale che faccia il suo mestiere quale prestatrice di ultima istanza (se l’avessimo potrebbe riacquistare lei i titoli da assicuratori e banche sottraendoli alla quotazione del mercato ed eliminando così il pericolo dello spread). Il debito, da strumento virtuoso per la crescita del bene comune, si è così trasformato in arma di ricatto esercitato da poteri sovranazionali che riescono a tenerci in pugno anche perché abbiamo perso memoria degli strumenti che ancora avremmo a disposizione ma che non siamo più in grado di valorizzare come la moneta di stato, emessa dal Tesoro, sperimentata da Aldo Moro: statonote, ossia moneta non a debito, come dice Nino Galloni, dello stesso segno algebrico delle tasse, con la quale potremmo soddisfare il fabbisogno necessario a mettere in cantiere i grandi progetti rimandati per scarsità di risorse finanziarie; anche la moneta fiscale, nella forma di certificati di credito fiscale potrebbe ovviare alla rarefazione monetaria che si verifica oggi nella economia reale. Ancora più semplicemente basterebbe facilitare l’acquisto dei titoli di stato agli stessi italiani, come si intendeva fare con la messa a punto dei CIR (conti individuali di risparmio), analoghi ai bot, titoli a breve e media scadenza, assicuranti un rendimento positivo, capaci di valorizzare quella immensa ricchezza che gli italiani ancora detengono, ammontante, secondo la Banca d’Italia, a 4300 miliardi di euro, di cui 1400 liberi nei conti correnti. Tale ricchezza sarebbe così, utilmente impiegabile in investimenti e spesa pubblica per lo sviluppo economico e sociale, piuttosto che lasciata in balia delle grandi banche d’affari che tendono a trovargli una destinazione indirizzandone l’impiego verso quei prodotti finanziari che pretendono di far soldi con i soldi saltando a piè pari l’economia reale.
Oggi, l’accordo sul MES appare legittimato dal rischio sistemico di fallimento provocato da uno o più dei paesi membri e dalla necessità di imporre discipline e politiche di bilancio e di intervento in caso di default.
Il MES è interpretabile come il risultato del fallimento delle politiche di austerity, restrittive, che hanno ulteriormente aggravato la dinamica di crescita del debito – portando ad ulteriore incremento il rapporto debito/pil – proponendo come soluzione l’incremento delle dosi della medicina ordoliberista, causa del male ossia più disciplina, più austerity, senza alcuna attenzione al contributo della crescita del pil alla riduzione del debito .
L’altra fonte di squilibrio delle politiche economiche europee sta nell’adozione di politiche di chiaro stampo mercantilista che hanno portato ad insostenibili squilibri delle partite correnti. Il grande surplus, europeo cui contribuisce soprattutto la Germania porta ad un aumento complessivo del surplus dei paesi della zona euro causando la crescita della dipendenza dalla domanda estera evidente nella diminuzione delle esportazioni dell’area euro causata dal recente crollo degli scambi internazionali.
Peraltro i saldi che i paesi in surplus, in area euro, hanno accumulato, registrati dal sistema dei pagamenti europeo, Target 2, ammontano a circa mille miliardi di euro, di cui 800 tedeschi. I conseguenti spostamenti criminali di capitali, dai paesi in surplus a quelli in deficit,hanno avuto un effetto deleterio. Esemplare il caso della Grecia, ridotta in povertà, costretta a ridurre a zero lo stato sociale, svendere i patrimoni pubblici, gli asset, il demanio, i fattori stessi della produzione ecc..
Alla Grecia si chiese, infatti, improvvisamente di risarcire il debito contratto, mentre le si negava ogni ulteriore finanziamento del disavanzo.
I surplus hanno permesso ai paesi detentori di finanziare i deficit dei paesi della periferia dell’eurozona mascherando così una bilancia commerciale completamente squilibrata a favore dei paesi in attivo e a sfavore dei paesi della periferia. In passato, i grandi surplus commerciali realizzati dai paesi più forti dell’eurozona, in un sistema di monete nazionali regolate da cambi flessibili, sarebbero stati impossibili da realizzare. Oggi va finalmente riconosciuto il rischio, insito negli spostamenti dei capitali accumulati nei grandi surplus europei, verso i paesi poveri dell’eurozona nel tentativo interessato di coprire debito con nuovo debito senza per questo renderlo pagabile. Non è a caso che l’indebitamento delle banche greche con quelle tedesche, francesi e in misura minore anche italiane fu tamponato dall’intervento del MES, che per concedere ulteriori prestiti alla Grecia, senza intervenire sulle cause generanti la crisi, combattendone unicamente i sintomi, ha potuto dare continuità alla criminale scelta mercantilista salvando i bilanci delle banche tedesche, francesi e olandesi con le risorse del MES.
La solita narrazione veicola anche la versione modificata del MES: le politiche di austerity perdono di efficacia se non le si sa promuovere in modo deciso e continuativo. Se l’austerity non sortisce effetti visibili positivi è solo perché non se ne fa abbastanza malgrado sia evidente a tutti come le politiche mercantiliste abbiano condotto ad una crescita della divergenza tra le economie dell’eurozona.
Il MES cerca apparentemente di rimediare agli squilibri provocati dalle politiche ordoliberiste-mercantiliste agendo sui sintomi, in realtà proteggendo dagli squilibri gli interessi dei soliti noti, ossia i paesi forti dell’eurozona, il sistema delle grandi banche d’affari e degli investitori in titoli di stato compresi i grandi fondi di investimento.
Come si sa, per partecipare alla “colletta“ del primo MES abbiamo già versato 14 miliardi. La disponibilità del MES sarà di 704 miliardi, di cui 80 già versati dagli stati aderenti ed il resto da versare.
A noi rimangono da versare altri 111 miliardi in 4 anni, per ottemperare al nostro dovere di membri sottoscrittori. Dove troveremo 23 miliardi all’anno per i prossimi 4 anni? Ce li faremo prestare emettendo titoli di debito sul mercato. Moneta a debito, che andrà ad incrementare ulteriormente il debito pubblico. Conseguentemente, cercheremo di “risparmiare“ ulteriormente sulla spesa pubblica togliendo altre risorse alla sanità, all’istruzione, alla ricerca e allo stato sociale, aumentando la pressione fiscale, ecc. tutto per essere in grado di onorare il servizio aggiuntivo al debito.
La scommessa del MES sta nella sua capacità di emettere obbligazioni (a tassi convenienti e con scadenza a 45 anni), rendendolo in grado di intervenire contro la speculazione.
Se ne dovessimo avere bisogno potremmo usufruirne anche noi. Vero, ma a quali condizioni? Potremmo ricevere in prestito aiuti finanziari del MES. Ci presterebbero i soldi che abbiamo conferito al fondo che sarebbe nostro dovere restituire interamente, capitale più interessi a remunerazione del prestito. Altra condizionalità, l’accettazione di piani di aggiustamento strutturale, ossia “consigli“ sulla politica economica del nostro paese: taglia qui, risparmia là, svendi questo e quello, diminuisci la spesa pubblica, le pensioni, fate cassa con le privatizzazioni, liberalizza, aumenta l’imposizione fiscale. Tutto allo scopo di rendere nuovamente sostenibili i conti pubblici così come previsto dall’art. 12 del novo MES, di cui riportiamo qui uno stralcio:
«Se indispensabile per salvaguardare la stabilità finanziaria dell’area dell’euro nel suo insieme e dei suoi Stati membri, il MES può fornire sostegno alla stabilità a un membro del MES soggetto a rigorose condizioni, appropriate allo strumento di assistenza finanziaria scelto. Tale condizionalità può variare da un programma di aggiustamento macroeconomico al costante rispetto delle condizioni di ammissibilità prestabilite»
Fino a oggi ad usufruire dei programmi di aiuto del MES sono stati Grecia, Cipro, Portogallo e Irlanda con prestiti corredati da “Memorandum of Understanding”, contenente il dettaglio delle misure di politica economica (programmi di aggiustamento strutturale) che i paesi riceventi il prestito devono tassativamente realizzare entro date prefissate.
L’ “efficacia“ dei “piani di aggiustamento macroeconomico“ è stata sperimentata a lungo dal FMI nei paesi che avrebbero sperato di avviarsi verso lo sviluppo ma che hanno subito una seconda colonizzazione finanziaria come denunciato da tanti studiosi:
La sottomissione totale di tutte le società alle leggi di mercato e dunque del più forte: questo è lo scopo delle politiche chiamate di “aggiustamento”, che mirano a integrare le economie nazionali in una sfera mondiale che non si preoccupa della questione dell’indipendenza (… ).
Il Fondo monetario internazionale (Fmi) e la Banca Mondiale (…) fanno tanto parlare di loro a causa delle critiche sollevate dai programmi di aggiustamento strutturale nel Terzo mondo. Dall’80, più di 70 paesi hanno dovuto piegarsi a tali programmi o a piani di stabilizzazione economica – per la precisione ne sono stati redatti ben 566. Le popolazioni che ne hanno fatto le spese, non hanno certo lo spirito per rallegrarsi delle celebrazioni del cinquantenario. Le due istituzioni sono molto lontane dall’essere promotrici di una crescita e di una stabilità generalizzate, come l’auspicava lord Keynes a Bretton Woods. Esse sono in effetti considerate fortemente responsabili della stagnazione e dello squilibrio che colpiscono l’economia mondiale. – da La macchina infernale delle politiche di aggiustamento di W. Bello e e S. Cunningham.
Sul documento del MES si legge:
«Il MES collaborerà strettamente con il Fondo monetario internazionale (‘FMI’) nel fornire sostegno alla stabilità. Si cercherà la partecipazione attiva dell’FMI, sia a livello tecnico che finanziario. Uno Stato membro dell’area dell’euro che richiede assistenza finanziaria al MES dovrebbe rispondere, ove possibile, a una richiesta analoga all’FMI»
Capital Call
Saremo obbligati a rispondere positivamente a tutte le richieste di rifinanziamento del MES. Insomma dovremo dare i soldi che ci chiederanno, a loro discrezione, senza possibilità di sottrarci alle richieste:
«…Quando viene individuata una potenziale carenza di fondi del MES, l’amministratore delegato deve effettuare quanto prima tali richieste di capitale al fine di garantire che il MES disponga di fondi sufficienti per far fronte ai pagamenti dovuti interamente dai creditori alla loro scadenza. Con la presente, i membri del MES si impegnano irrevocabilmente e incondizionatamente a pagare su richiesta qualsiasi richiesta di capitale fatta loro dal Amministratore delegato ai sensi del presente paragrafo, tale richiesta deve essere pagata entro sette giorni dal ricevimento» Stralcio art. 9
Se avessimo bisogno noi di essere “salvati“ non sarebbe così facile ottenere una linea di credito dal MES perché ci mancherebbero i requisiti per ottenere il prestito. Ai paesi richiedenti l’aiuto del MES è chiesto infatti un deficit inferiore al 3% del pil, di non essere sottoposti a procedura per disavanzi eccessivi, di avere un rapporto debito/pil minore o uguale al 60% (il nostro è più del doppio) o almeno di essere allineati al rientro di tale rapporto, in 20 anni, secondo la dinamica richiesta dal Fiscal Compact, cosa insostenibile per la nostra economia a meno di non riuscire a scovare ulteriori 40 mld l’anno che aggiunti alla quota di spesa che già sosteniamo per il pagamento del servizio al debito ci porterebbe velocemente al collasso economico certo e garantito.
Nelle nostre condizioni potremmo attingere ai fondi del MES solo sottoponendoci alla ristrutturazione preventiva del debito che comporterebbe un sicuro calo del valore dei titoli di stato italiani a carico di coloro che hanno scelto di investire nel loro acquisto. Poiché, infatti, il nostro debito sarebbe giudicato insostenibile, secondo i criteri del MES, non potremo ricevere alcun aiuto finanziario se non accettando una preventiva analisi di sostenibilità del debito che nelle nostre condizioni condurrebbe certamente alla richiesta di ristrutturare preventivamente il nostro debito (linea di credito precauzionale rafforzata – ECCL).
Chi ha prestato soldi agli stati che chiedono aiuto al MES sarebbe così penalizzato dovendosi accollare la perdita sull’investimento qualora gli aiuti venissero confermati. Il risultato sarebbe raggiunto tramite l’obbligo di emettere un particolare tipo di titoli di stato, “single limb CAC”, clausole contrattuali che accorpano più titoli del debito pubblico da sottoporre a “ristrutturazione”, cioè a riduzione facilitata, “concordata“, del valore del prestito. Si tenga presente che le norme europee di ristrutturazione prevedono il consenso della maggioranza dei creditori. Facile prevedere che la clausola single limb penalizzerà i nostri BTP, che risulteranno più facilmente ristrutturabili rispetto alle CAC «normali». In pratica in caso di crisi finanziaria, se dovessimo chiedere l’intervento del MES quest’ultimo potrà decidere di dichiarare non pagabili qualche centinaio di miliardi in BTP, su decisione votata a maggioranza. Coloro che li detengono alla scadenza potrebbe ricevere dal 20 al 30 % in meno!
Chi investe in titoli, però, sapendo di questa possibilità, potrebbe decidere di ritirare i propri investimenti provocando un innalzamento della spesa per interessi nel tentativo di renderli più appetibili, col rischio di innescare una speculazione al ribasso su di essi. A fronte di una tale prospettiva, il rating dei titoli di debito italiano potrebbe subire un tracollo con conseguente impennata dello spread rispetto ai titoli tedeschi. In definitiva, il MES sembra pensato per penalizzare i paesi che potrebbero averne bisogno.
Paradossalmente le linee di credito previste vengono concesse solo a quei paesi che da almeno due anni rispettano i criteri del Patto di Stabilità e Crescita anche se fanno registrare un surplus eccessivo. Per fare un esempio a caso, la Germania soddisfa perfettamente i criteri necessari a “meritare“ la concessione di eventuali aiuti qualora scoprisse di averne bisogno.
I risparmiatori italiani in possesso di titoli di stato subendo un taglio nominale delle obbligazioni perderebbero parte dei loro risparmi contro quanto prescritto dall’art. 47 della Costituzione che incoraggia e tutela il risparmio; il risultato negativo sarebbe a carico dei paesi più deboli che sarebbero costretti a dover pagare interessi più alti in ragione della loro maggiore fragilità, col rischio di portare ad una crisi tanto grave da indurre la ristrutturazione. In pratica un circolo vizioso ossia un meccanismo di destabilizzazione del sistema indotto dal meccanismo europeo di stabilità…
Fondo per ripianare buchi di banche
A poter usufruire dei fondi del MES senza doversi sottoporre ad alcuna ristrutturazione del debito sarà però un paese come la Germania che, dato lo stato di suoi colossi bancari, come commerz bank (CB) e Deutsche Bank (DB), ne potrà usufruire direttamente o indirettamente godendo dei prestiti che il MES concederebbe a quei paesi che fossero indebitati con le banche tedesche ovviamente previa imposizione di piani di aggiustamento strutturale.
Il «backstop», ossia la disponibilità del Meccanismo europeo di stabilita’ ad essere utilizzato dal fondo per le risoluzioni bancarie, raddoppia, infatti, i fondi disponibili per salvare le banche. Il MES intende emettere titoli con la garanzia degli stati che ne fanno parte. Questi soldi sarebbero prestati agli stati in difficoltà o più precisamente per ricapitalizzare i loro sistemi bancari.
Avanza nel frattempo e coerentemente con il MES la garanzia unica sui depositi bancari che Mario Draghi, ha definito il completamento dell’Unione bancaria, insieme a bail-in e vigilanza unica sulle grandi banche europee, verso una maggiore integrazione delle sue banche, soprattutto ora, verrebbe da dire, che il sistema bancario tedesco potrebbe essere travolto dal fallimento di CB e DB. Si tratta di assicurare i conti correnti delle banche UE attraverso un fondo sovranazionale, che sostituirebbe quelli nazionali, in pratica trasferendo gli oneri dei possibili fallimenti da un Paese agli altri.
Scholz, immancabilmente, chiede a corollario ulteriori azioni per ridurre i crediti in sofferenza (NPL) ma non fa nessuna richiesta per diminuire il peso dei titoli tossici, soprattutto nella forma di derivati, che rendono insostenibili molti dei grandi bilanci bancari tedeschi, con valore azionario tendente a zero, messe in ulteriore difficoltà dai tassi sottozero.
In pratica l’accesso al fondo è reso più difficoltoso proprio a quegli stati membri che più potrebbero averne bisogno e facilitato ai paesi in regola con i parametri di Maastricht seppure con un sistema bancario paurosamente vacillante (il valore azionario di DB e CB tende a zero…).
Sotto tiro il risparmio italiano
Il nuovo MES, continua a pretendere di sostituire la politica con “algoritmi“ apparentemente neutrali, in realtà programmati secondo criteri di governance ordoliberista che tendono a facilitare la preventiva ristrutturazione del debito, secondo una logica analoga a quella del bail-in atta a far desistere definitivamente quegli italiani, detentori di risparmi per un valore di 4300 miliardi, nel caso il governo si decidesse a creare le condizioni, a proporre loro titoli del debito pubblico, tali da indurre le famiglie a dare fiducia allo stato (si ricorda che oggi solo il 5% delle famiglie italiane possiede titoli di stato. Cassa Depositi e Prestiti potrebbe da subito collocare sul risparmio delle famiglie, tramite i conti postali, titoli del debito). Il debito pubblico apparirebbe immediatamente sostenibile. Tale eventualità toglierebbe qualsiasi arma di ricatto ai poteri sovranazionali.
Perché allora non si fa? L’unica risposta sta nel fatto che ogni colonizzazione ha bisogno e si realizza grazie alla collaborazione delle élite locali con i colonizzatori stranieri.
Il testo del MES non è emendabile. È un testo blindato. Se passasse per il Parlamento, esso potrebbe solamente accettarlo o respingerlo in blocco.
I dirigenti del MES godono di immunità pertanto non sono perseguibili:
«Nell’interesse del MES, il presidente del consiglio di amministrazione, i governatori, i governatori supplenti, i direttori, i direttori supplenti, nonché l’amministratore delegato e gli altri membri del personale sono immuni da procedimenti giudiziari in relazione ad atti da essi compiuti nei loro capacità ufficiale e godono dell’inviolabilità rispetto ai loro documenti e documenti ufficiali» art.35
Non abbiamo bisogno del MES. Gli italiani vivono non, come ripete la propaganda, al di sopra delle loro possibilità, ma ben al di sotto.
Il MES è una trappola da cui è meglio liberarci finché siamo in tempo.
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