Euro crisis
I media iniziano a parlare della fine dell’euro. Secondo ofcs.report le conseguenze nefaste ci sarebbero col SI al referendum
I media tutti, senza praticamente alcuna eccezione se si esclude per ovvie ragioni la arci-obamiana La Stampa di Torino, iniziano a trattare l’argomento dell’euroexit da parte dell’Italia in termini diciamo neutri, in realtà per il Belpaese sarebbe una manna almeno per chi ha le produzioni e vive ancora in Italia (certamente non per coloro che, come gli Elkann, hanno delocalizzato all’estero).
Pensate che anche ilfattoquotidiano.it, la testata più sopraffinamente sinistroide tanto da usare con regolarità la censura sul proprio sito onde evitare commenti sconvenienti alla linea editoriale, ha iniziato ad adeguarsi tempi. E con essa anche le altre testate più borghesi, appunto con la fulgida eccezione franco-torinese.
Evidentemente alla vigilia della macelleria sociale (postreferendaria, ndr) conseguente all’applicazione dell’austerità come impongono le regole EU volute dai tedeschi anche i media di sinistra e/o interessati non riescono più a sostenere la bugia dell’euro vantaggioso per tutti. E finalmente dico io.
Oggi vi propongo uno articolo interessante pubblicato da ofcs.report (agenzia di stampa normalmente molto ben informata) dove, non senza cinismo, l’autore dipinge con dovizia di dettagli quanto si nasconde dietro al risultato del referendum, conseguenze incluse.
Le conclusioni in ogni caso non sono piacevoli per gli italiani ma tant’è, meglio finirla rapidamente con questa farsa dell’euro a vantaggio franco-tedesco, ormai siamo davvero ai limiti della sostenibilità sociale per i periferici e fin anche per la Francia. O meglio, come implica l’autore il prossimo biennio sarà difficilissimo per il Belpaese stretto nella morsa della scelta impossibile tra un Italeave traumatico ma con futura risurrezione e morire di stenti in 5-7 anni.
Infatti con il SI al referendum il governo si troverebbe obbligato ad imporre riforme lacrime e sangue ossia l’applicazione automatica dell’austerità in forma integrale come da leggi europee volute dalla Germania a proprio vantaggio (ed a danno dei periferici). Viceversa un NO lascerebbe le mani libere all’Italia in tema di negazione dell’austerità, inclusa la possibilità ed anzi l’auspicio (se gli USA ci supporteranno, come penso) di una fine rapida dell’esperimento della moneta unica che tanti danni ha arrecato ai periferici.
MD
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#OPINIONECONOMICA. No al referendum, l’epilogo dell’euro
https://ofcs.report/opinioneconomica-no-al-referendum-lepilogo-delleuro/
Pochi riflettono sul fatto che referendum italiano e presidenziali austriache sono di fatto una scelta tra Ue a trazione franco-tedesca e fine dell’esperimento della Ue austera incentrata nella moneta unica. L’Italia in particolare non vedrà nessun crollo economico derivante da un eventuale – praticamente certo – no referendario: i conti economici del Paese non cambieranno di una virgola come conseguenza del voto, il problema è che sono già terrificanti. Nel caso, il comunque certo crollo delle borse deriverà da altri fattori, siano esse le aspettative degli investitori di un futuro eurobreak o l’interesse dei mercati a giustificare una dovuta correzione dei corsi borsistici che molti ritengono troppo ingiustificatamente elevati.
Dal 2014 Renzi, con la scusa del referendum, ha semplicemente preso tempo in Ue evitando di implementare misure degne della Troika, promettendo come contropartita correttivi all’assetto costituzionale in grado di permettergli di apportare future profonde modifiche senza eccessiva discussione parlamentare . In più ha ceduto a Frau Merkel in tema di inserimento in costituzione della preminenza delle leggi comunitarie rispetto a quelle nazionali. Insomma, se passasse il si, l’Italia sarebbe legata mani e piedi all’Ue che – ormai è chiaro a tutti – fa sistematicamente gli interessi dell’asse franco-tedesco e non quelli dei periferici. E questo senza contare che un si costringerebbe comunque il Governo a dare seguito alle sue promesse europee di lacrime e sangue per gli italiani.
Gli aspetti critici da affrontare post referendum sono due: l’aumento dei tassi dei btp delle scorse settimane (circa 1% in più nei tassi debitori italiani, 50 bps di spread e 50 bps per l’effetto Trump) ed il deficit monstre dell’Inps, entrambi esogeni al voto.
Il primo aspetto si tradurrà in una perdita in conto capitale molto pesante a fine anno 2016 per le banche ovvero, visto che il sistema bancario italiano detiene circa 350-400 miliardi di debito statale (soprattutto btp con scadenze attorno ai 5-10 anni) possiamo stimare che globalmente ci saranno per il settore bancario italiano minusvalenze record – sebbene non consolidate fin quando non si vendono i titoli, in ogni caso il capitale delle banche scenderà – per almeno 20 miliardi di euro in forza della discesa dei titoli in portafoglio. Leggasi, maggiore pressione sui conti bancari, maggiori sconquassi in borsa, richieste di aumenti di capitale e quindi maggiore rischio insolvenza oltre che minori prestiti erogabili. Come contromisura non facciamo fatica a pensare a misure draconiane, ad esempio tasse sul contante prelevato visto che prelevare dal sistema bancario cash erode il capitale già esiguo ed in assottigliamento degli istituti (ci dicono che abolire il contante serve per combattere evasione e terrorismo, tutte balle, le misure di limitazione del contante servono per evitare il fallimento delle banche oltre a sedimentare le ricchezze nelle mani dei grandi potentati economici in presenza di forti turbolenze socio-economiche, attese per altro in tutto l’occidente).
Il secondo aspetto è il un vera bomba ad orologeria: l’Inps perde nel 2015 circa 16 mld di euro e vede il capitale assottigliarsi a poco più di 5 mld. Leggasi, in assenza di crescita economica il prossimo anno si andrà ad intaccare le riserve per pagare le pensioni, un vero schema Ponzi in quanto non ci sono né entrate né riserve a sufficienza per pagare gli attuali trattamenti pensionistici (la crescita è ciò che manca all’Italia, ma è impossibile averla restando nel giogo dell’euro austero che prevede sempre e solo tasse per pagare in euro un debito in gran parte contratto in vecchie lire, ndr).
Ossia, bisogna attendersi o maggiori tasse, o limitazioni al contante, o default dell’Inps con decurtazioni delle pensioni, o confisca dei beni dei privati cittadini o un mix (per vostra informazione la prima soluzione sarà confiscare le pensioni private facendole confluire nell’Inps, basta attendere 6 mesi per la conferma).
Quello di cui possiamo essere certi è che comunque vada l‘Italia, per gioia tedesca, vedrà un imponente aumento della tassazione soprattutto indiretta, parlo – oltre alla nazionalizzazione delle pensioni private sulla scorta degli esempi ungherese ed argentino – del raddoppio degli estimi catastali con annesso aumento del gettito Imu, dimezzamento della franchigia di 1 milione di euro per le successioni, aumento dell’imposta di bollo sul patrimonio finanziario. Peccato che in tale contesto un crollo del settore immobiliare italiano appare inevitabile portandosi dietro tutto l’indotto ad esso collegato e quindi affondando a termine l’economia nazionale.
Questo sarà errore che verrà fatto dal governo e che rappresenterà l’epitaffio del “Renzi politico” (che per salvare il salvabile post referendum vorrà trasformare l’esecutivo in tecnico cercando di diluire le sue colpe verso l’opinione pubblica).
Il problema è che tutto quanto sopra destabilizzerà l’Italia alla radice e ciò non è nell’interesse di un finalmente pragmatico governo Usa targato Trump interessato a limitare l’ingerenza franco tedesca in Europa.
Ossia – e fa il paio – il prossimo anno l’interesse italico ad uscire dalla moneta unica semplicemente per sopravvivere economicamente (tornando alla lira e dunque svalutando i propri debiti, ndr) e l’interesse Usa sia a limitare lo strapotere tedesco in Europa che di preservare il miglior allato non anglosassone in Ue convergeranno, a pari passo delle politiche economiche trumpiane anch’esse basate su una svalutazione del debito per via inflattiva. Ossia, un lasciapassare per l‘uscita italiana dall’Ue.
OFCS Articolo
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