Dal suo blog sul Washington Post, Matt O’ Brien individua l’Italia come il paese che, date le sue dimensioni e la profonda crisi che attraversa, potrebbe far saltare l’eurozona e le sue regole, per noi così letali: gli italiani dovrebbero decidersi ad abbandonare la speranza di poter uscire dalla crisi restando all’interno dell’euro, e nessuno potrebbe biasimarli per questo.
di Matt O’Brien, 13 febbraio 2015
Nel lungo periodo, siamo tutti morti, ma che differenza fa se siete dentro l’eurozona? Potreste anche essere già morti. Infatti, sembra quasi impossibile, ma da quando è stato creato l’euro, 16 anni fa, l’Italia è cresciuta solo del 4 per cento, in totale. Peggio della Grecia.
Comunque, dall’Europa non arrivano solo brutte notizie. Nel quarto trimestre del 2014 non è solo la Germania ad essere cresciuta a un ritmo annuale più veloce del previsto, del 2,8 per cento, ma anche la Spagna (una ripresa così a caro prezzo che chiamarla ripresa è dir tanto, ci sentiamo di precisare, ndt) . Anche il Portogallo è cresciuto ad un ritmo del 2 per cento. Questo è bastato perché l’eurozona nel suo complesso crescesse ad un ritmo “almeno-non-è-una-recessione” dell’ 1.2 per cento. Ma questi barlumi di buone notizie sono appunto solo questo – dei barlumi. L’ultima prova di forza della Grecia sull’austerità ha preoccupato così tanto le sue banche e le sue imprese che la ripresa appena accennata si è trasformata in uno 0,8 per cento di contrazione. E se l’Italia non è andata in recessione, non è nemmeno cresciuta.
E non va affatto meglio se si guarda ad un periodo più lungo. Come si può vedere dal grafico, in 16 anni il Portogallo è cresciuto solo del 7,2 per cento, la Grecia poco più del 4 per cento, e l’Italia giusto del 4 per cento. Che cosa è andato storto? Be’, tutto. Hanno tutti problemi di offerta e di domanda. Per quanto riguarda il primo aspetto, ciò significa che è troppo difficile avviare un’impresa, troppo difficile farla crescere e troppo difficile licenziare i dipendenti (va detto però che gli effetti perversi delle riforme del lavoro sono noti, ndt). Questo rende le loro economie sclerotiche anche nei periodi di prosperità, e le condanna nei periodi di crisi. Ma queste fasi di crisi sono state peggiori di quello che avrebbero dovuto essere, perché la BCE non ha fatto il suo lavoro e non ha mantenuto l’inflazione vicino al 2 per cento. In realtà, ha addirittura peggiorato le cose aumentando i tassi per due volte nel 2011 per combattere un’inflazione immaginaria. Né è stato d’aiuto il fatto che questi paesi siano stati costretti a cercar di tagliare i deficit del bilancio pubblico tutti contemporaneamente. Il risultato è stato una doppia recessione che li ha ricacciati tutti indietro, al punto in cui erano quando è iniziato l’euro – e ha peggiorato anche i loro problemi di debito.
Però il vero problema qui è l’Italia. Sia la Grecia che il Portogallo sono molto indebitati e sono entrati entrambi in un programma di “salvataggio”, ma almeno stanno iniziando la ripresa (per la Spagna si è già detto, per la Grecia si tenga presente che quando c’è fame anche le briciole sembrano un lauto pasto, ndt) e sono abbastanza piccoli perché l’Europa possa extend-and-pretend, allungando le scadenze e facendo finta che un giorno che non arriverà mai il debito sarà ripagato. Ma l’Italia non è affatto in ripresa, e il suo debito è troppo grande per essere ignorato. Quindi, come minimo, avrebbe proprio bisogno di cominciare a crescere più dello 0,25 per cento l’anno. La questione è se il popolo italiano rinuncerà alla speranza che questo possa accadere all’interno dell’euro.
In questo caso, chi potrebbe biasimarli?