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Materie Prime Critiche: l’America siede su un tesoro e lo butta via. Lo studio che cambia tutto

Le miniere USA estraggono già i minerali critici necessari a batterie e difesa, ma li gettano via. Uno studio su Science rivela come l’efficienza, non nuove miniere, sia la chiave per l’indipendenza dalla Cina.

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Viviamo in un’epoca ossessionata dalla scarsità. Ci viene ripetuto quotidianamente che la transizione energetica, la difesa e l’alta tecnologia sono a rischio perché la Cina controlla le materie prime critiche. Si invocano nuovi permessi minerari, si stanziano miliardi per esplorazioni e si ridisegnano le alleanze geopolitiche. Tutto corretto, se non fosse per un dettaglio che ha del clamoroso, rivelato da un recente studio pubblicato su Science: gli Stati Uniti stanno già estraendo gran parte di ciò di cui hanno bisogno, semplicemente non se ne sono accorti o, peggio, lo stanno buttando via.

Un team di ricercatori guidato da Elizabeth Holley della Colorado School of Mines ha scoperchiato il vaso di Pandora dell’inefficienza mineraria americana. La tesi è semplice quanto potente: le miniere di metalli già attive negli USA contengono enormi quantità di minerali critici sotto forma di sottoprodotti. Questi materiali, essenziali per batterie e semiconduttori, finiscono oggi nelle discariche minerarie (i cosiddetti tailings), trattati come scarti costosi da gestire invece che come risorse strategiche.

Il tesoro nascosto in piena vista

La ricerca, supportata dall’American Association for the Advancement of Science (AAAS), si basa su un’analisi statistica che ha incrociato due enormi dataset: quello della produzione principale delle miniere federali e quello delle rilevazioni geochimiche dettagliate su 70 minerali critici presenti nei campioni di minerale grezzo.

Il risultato è sbalorditivo. I minerali critici – come cobalto, nichel, manganese, tellurio e germanio – si trovano naturalmente “agganciati” ai metalli primari come rame, oro o zinco. Poiché l’obiettivo della miniera è estrarre l’oro o il rame, tutto il resto viene separato e scartato durante la lavorazione.

Le implicazioni numeriche dello studio sono tali da far impallidire qualsiasi piano industriale governativo:

  • Se si recuperasse il 90% di questi sottoprodotti, si potrebbe soddisfare quasi l’intera domanda interna degli Stati Uniti per le materie prime critiche analizzate.
  • Basterebbe recuperare anche solo l’1% di questi scarti per ridurre in modo “sostanziale” la dipendenza dalle importazioni estere (leggi: cinesi).

In un mondo razionale, questo sarebbe il punto di partenza di ogni politica industriale. Invece, assistiamo al paradosso di nazioni che importano materiali costosi e geopoliticamente rischiosi, mentre gettano via gli stessi materiali estratti a casa propria.

Terre rare

Economia Reale vs. Inefficienza

Da una prospettiva industriale, questo studio evidenzia un fallimento del mercato o, meglio, un fallimento della visione strategica. Le aziende minerarie si concentrano sul core business (il metallo principale), ottimizzando i processi solo per quello. Recuperare i sottoprodotti richiede investimenti in tecnologie di separazione aggiuntive, che spesso non vengono considerati prioritari nel breve termine dei bilanci trimestrali.

Tuttavia, lo studio della Holley sottolinea un dato economico che dovrebbe far riflettere i CFO delle compagnie minerarie:

“In molti casi, il valore in dollari di questi minerali recuperati potrebbe superare il valore dei prodotti primari della miniera.”

Stiamo parlando di miniere che, tecnicamente, stanno gettando via il “filetto” per vendere solo l'”osso”. Trattare i rifiuti minerari come una risorsa non è solo una questione di ambientalismo da salotto, ma di pura efficienza economica. Trasformare un costo (la gestione dei rifiuti minerari) in un ricavo è l’abc dell’economia circolare industriale, quella vera, non quella fatta solo di slogan.

Cosa sono esattamente questi “Minerali Critici”?

Per chi non fosse addetto ai lavori, quando parliamo di minerali critici non parliamo di sassi rari da collezione. Parliamo del sangue che scorre nelle vene dell’economia moderna e della sicurezza nazionale. Ecco una breve panoramica di ciò che viene attualmente sprecato:

  • Cobalto e Nichel: Fondamentali per le batterie dei veicoli elettrici e per lo stoccaggio dell’energia rinnovabile.
  • Tellurio: Essenziale per i pannelli solari a film sottile e per alcuni dispositivi a semiconduttore.
  • Germanio: Usato nelle fibre ottiche, nell’elettronica avanzata e nei visori notturni militari.
  • Manganese: Cruciale per la produzione di acciaio e batterie.

La domanda per questi elementi sta esplodendo. Costruire nuove miniere per estrarli richiede decenni tra permessi, studi di impatto ambientale e costruzione delle infrastrutture. Sfruttare i flussi di rifiuti di miniere già esistenti, con permessi già approvati e infrastrutture già operative, è una scorciatoia strategica che l’America (e l’Europa) non possono permettersi di ignorare.

Vantaggi strategici e ambientali: due facce della stessa medaglia

L’aspetto più interessante dello studio pubblicato su Science è come riesca a unire le esigenze dei “falchi” della sicurezza nazionale con quelle degli ambientalisti pragmatici.

  1. Sicurezza nazionale e geopolitica
    Ridurre la dipendenza dalle importazioni significa togliere un’arma di ricatto a nazioni rivali o instabili. Se gli USA possono produrre il loro germanio dagli scarti delle miniere di zinco del Tennessee o dell’Alaska, le restrizioni all’export imposte da Pechino diventano improvvisamente molto meno spaventose. Si tratta di sovranità industriale pura: controllare la catena di approvvigionamento dall’inizio alla fine.
  2. Impatto ambientale
    Qui l’ironia è sottile, ma potente. Aprire una nuova miniera è un processo ecologicamente invasivo. Recuperare minerali dai rifiuti di una miniera esistente, invece, riduce il volume totale dei rifiuti tossici che devono essere stoccati e monitorati per secoli. È una bonifica che si ripaga da sola. Meno tailings significa meno rischi di disastri ambientali (come crolli di dighe di sterili) e meno consumo di suolo vergine.

La sfida tecnologica e politica

Ovviamente, se fosse facile lo farebbero tutti. O forse no? La professoressa Holley nota che la sfida principale sta nel rendere il recupero “pratico ed economico su scala”. Le miscele di minerali negli scarti sono complesse e richiedono passaggi di lavorazione avanzati.

Qui entra in gioco il ruolo dello Stato e della politica industriale. Il mercato, lasciato a se stesso, potrebbe essere troppo lento a reagire o troppo avverso al rischio per investire in nuovi impianti di processazione secondaria. Servono incentivi mirati, ricerca finanziata dal pubblico e, perché no, normative che impongano o premino il recupero integrale delle risorse estratte.

Se il governo considera il cobalto vitale per la sicurezza nazionale, non può sperare che la “mano invisibile” lo estragga dai rifiuti per magia. Deve creare le condizioni perché ciò avvenga, magari defiscalizzando gli investimenti in tecnologie di recupero o imponendo quote di recupero sui permessi minerari federali.

Gli USA stanno intervenendo a vario livello: sia garantendo un prezzo base superiore a quello di mercato, per incentivare l’estrazione di terre rare, sia con l’intervento diretto, tramite EXIM bank o perfino con acquisizione diretta di quote minoritarie da parte di istituzioni federali, perfino il Pentagono.

La Climax Mine, una delle più interesanti per le terre rare

Un’opportunità da non sprecare

Lo studio di Science è un campanello d’allarme, ma di quelli positivi. Ci dice che la scarsità di cui abbiamo paura è, in parte, una scelta. È il risultato di un sistema industriale che si è adagiato su processi vecchi di decenni e su una globalizzazione che dava per scontato l’approvvigionamento estero a basso costo.

Oggi quel mondo non esiste più. I costi geopolitici sono esplosi e la competizione tecnologica è feroce. Scoprire che la Miniera Climax in Colorado o i giacimenti del Missouri potrebbero renderci indipendenti domani mattina, se solo smettessimo di considerare “rifiuto” ciò che non luccica immediatamente, è una buona notizia.

Resta da vedere se la politica e l’industria americana (e occidentale in generale) avranno la lucidità di raccogliere questa sfida. Non servono sempre nuove buche nel terreno; a volte basta guardare meglio in quelle che abbiamo già fatto. La risorsa più scarsa, alla fine, non è il cobalto o il tellurio, ma l’intelligenza gestionale e la visione strategica.


Domande e Risposte

Perché le compagnie minerarie non recuperano già questi minerali se valgono così tanto?

È una questione di focus e tecnologia. Le miniere sono progettate e ottimizzate per estrarre il metallo principale (es. rame o oro). Modificare gli impianti per recuperare sottoprodotti presenti in piccole percentuali richiede investimenti in tecnologie complesse e costose (CAPEX). Spesso, senza incentivi o una visione a lungo termine, il ritorno immediato non giustifica la spesa agli occhi degli azionisti, nonostante il valore potenziale sia enorme.

Di quali minerali stiamo parlando esattamente e a cosa servono?

Lo studio cita circa 70 minerali, ma i più rilevanti includono cobalto, nichel, manganese, tellurio e germanio. Sono fondamentali per la transizione verde e la difesa: il cobalto e il nichel per le batterie EV, il tellurio per i pannelli solari avanzati, il germanio per semiconduttori, fibre ottiche e sistemi di visione notturna militare. Sono tutti materiali per cui oggi gli USA dipendono fortemente dall’estero.

Questo significa che non serviranno più nuove miniere?

Non necessariamente. La domanda di metalli è in crescita esponenziale e il recupero dai rifiuti potrebbe non coprire il 100% del fabbisogno futuro in ogni scenario. Tuttavia, riduce drasticamente l’urgenza di aprire nuovi siti, permettendo di evitare i lunghi tempi di attesa (spesso decenni) necessari per i permessi di nuove miniere. È la soluzione più rapida per alleviare la dipendenza dalle importazioni nel breve e medio termine.

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