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Macro-chip sovracutaneo

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Fino a qualche anno fa, il discrimine tra il “complottismo” e la “ragionevolezza” era la famosa questione del “microchip sottopelle”. Se uno iniziava a parlare di chip sottocutaneo, subito  scattava il riflesso condizionato: o era uno scrittore di fantascienza e allora non lo si prendeva sul serio. Oppure faceva sul serio e allora era da ricovero. Oggi – ferma restando l’assurdità di un simile abominio (il chip “integrato”, intendo) – bisogna rifletterci su.

Se per caso la “tivù”, per bocca di qualche suo autorevole “anchor man” o la politica per iniziativa di qualche “bravo leader”, dovesse proporre la cosa, non ci suonerebbe più così strana. Comunque, non strana al punto da chiamare un’ambulanza. E non solo perché lo avrebbe detto la “tivù” o una “autorità”, ma perché ci sarebbero subito “prestigiose” fonti ad avallarne la razionalità e la logica. In fondo, tra avere una app in tasca a monitorare il tuo stato di salute e i tuoi incontri ravvicinati del terzo tipo con un “infetto” o con un “untore” e averla sottopelle, quale differenza passa? Vuoi mettere la comodità?

Idem dicasi per la “agevolazione” di molte altre “incombenze” richieste dalla civiltà digitale e dall’intelligenza artificiale dello sviluppo e del benessere: dal transitare attraverso il gate di un centro commerciale o di un aeroporto, al pagare una multa, al giustificare il proprio passeggio a una qualche occhiuta autorità in divisa. È come se l’emergenza Covid-19 ci avesse precipitato in un frullatore spazio-temporale, proiettandoci qualche anno avanti nel futuro. Alle soglie di un mondo fino ad ora sperimentato solo nei cinematografi sgranocchiando patatine o leccando chupa chups.

Ora, tutta la dannata faccenda può essere vista da due prospettive opposte: quella “serenella” e quella preoccupata. Quella serenella bisbiglia, più o meno, così: è il progresso, bellezza, non viviamo più nelle caverne, la tecnologia ha sempre cambiato il mondo (dai tempi dell’invenzione della ruota) e lo ha sempre cambiato in meglio; dunque, rilassati e goditi il viaggio, la “Scienza” vigila su di noi. In base a questa logica, la app di “tracciamento” non solo non è un impiccio, è la soluzione a un sacco di impicci.

E l’eventuale microchip sottocutaneo darebbe lo stesso beneficio di una ruota: ci farebbe risparmiare tempo. Soprattutto se  questo nuovo gadget fosse all’inizio volontario (perché facoltativo) e gratuito (perché pagato dallo Stato). Vi sembra fantascienza? Serenella vi risponderebbe, giustamente, che era fantascienza (fino a ier l’altro) anche la proposta (o la imposizione) della app di cui ora parla il Corriere della Sera. Quella potenzialmente in grado di mandarti i gendarmi a casa se ti è capitato di sfiorare inavvertitamente un malato nel corso dei tuoi “liberi” spostamenti quotidiani.

Per Serenella tutto si giustifica in nome del progresso, della salute, dell’ordine pubblico, della sicurezza. Come nei romanzi distopici di Orwell, per lei schiavitù è libertà. La prospettiva opposta, quella preoccupata, non serve che ve la descriva, la avete già capita. E, tra l’altro, non è più neanche “preoccupata”: è terrorizzata.

Il tema vero è questo: quando arriverà, se mai arriverà, il “controllo” integrale, massivo, delle nostre vite quanta parte della pubblica opinione sarà terrorizzata e quanta sarà “serenella”? Noi scommetteremo per un dieci a uno a favore di quest’ultima.  Il vero nemico non è dentro, ma fuori di noi. È il macrochip sovracutaneo della manipolazione dolosa, seriale e concertata del consenso a cui siamo quotidianamente sottoposti.

Francesco Carraro


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