Attualità
L’UNITA’ DI CRISI
Nei giorni scorsi, L’Unità, storico quotidiano della sinistra fondato da Antonio Gramsci, ha lanciato un grido di
dolore dalla prima pagina per allertare i suoi sparuti lettori sul proprio rischio d’estinzione. Il giornale si è dileguato
dalle edicole, sopravvive sul web e si accinge a morire anche lì per penuria di incassi e investimenti. Ora, si trattasse
di un’altra rivista ci scenderebbe la lacrima. Siamo per la libera stampa ad oltranza, per la preminenza della cultura
sulla pecunia, alfieri del sostegno pubblico all’editoria, se proprio necessario. Fosse indispensabile sganciare
quattrini per dare ossigeno a una gloriosa testata, saremmo in prima fila a domandarlo. Anche a rischio di passare da
sostenitori della famigerata casta. Tuttavia, per l’Unità facciamo (volentieri) un’eccezione. Merita di chiudere. E lo
diciamo ben consci della perentoria gravità del verdetto. Lo merita per una ragione karmica: chi semina vento
raccoglie tempesta. Compagni, ragionate! Siete un’aggiornata e melodrammatica incarnazione della nemesi storica.
Nati per resistere alla prevalenza del capitale, punto di riferimento di chi non si rassegnava alla supremazia del
denaro sulle idee, vi siete tramutati, strada facendo (quasi posseduti dal demone dell’arci-nemico) nella Gazzetta
Ufficiale della Competitività. Vi siete strafatti col mito della concorrenza, avete sposato un’Europa Unita da un solo
principio: chi primeggia nell’arena degli scambi ha diritto a una chance, gli altri crepino con dignità. Ecco, il vostro
house organ cominci col dare l’esempio. Prenda atto, con ponderata coerenza, che, se non ce la fa, è perché non
merita di farcela. Forse non si è aggiornato a sufficienza, o non ha investito in innovazione, o non ha assecondato le
voglie e i bisogni dell’unico target su cui si è misurata, negli ultimi decenni, la ragion d’essere dei democrats: colui
che consuma. Sorti per affrancare i lavoratori dal servaggio padronale, vi siete riconvertiti a cultori dell’unico attore
sociale degno d’interesse agli occhi dei padroni: il consumatore. Avete sposato le regole del turbo-liberismo senza
frontiere, propagandandole con lo stesso bieco cinismo e con la medesima stolida ipocrisia con cui, in un passato
leggendario, prendevate partito per gli indifendibili regimi totalitari che della vostra ditta recavano il nome. Ora, per
favore, risparmiateci le lagne. Non siete in grado di camminare con le vostre gambe? Non riuscite ad emergere
nell’arena della concorrenza sciolta da lacci e lacciuoli? Allora affrontate a petto in fuori il destino inscritto nella
vostra agenda dei lavori. Siete o non siete il quotidiano di un partito che meriterebbe di completare innovativamente
il proprio monco acronimo? Non già PD, ma PDP: Partito Dei Padroni. Avete un leader che ha partorito una riforma
del lavoro ribattezzata, con britannico sense of humor, jobs act e che non perde occasione per ribadire la sua priorità:
attrarre investimenti dall’estero, a costo di sacrificare intere generazioni sull’altare del profitto altrui. Un consiglio:
riguardatevi la morale della barzelletta resa celebre dal film western ‘Il mio nome è nessuno’: quando sei nella merda
fino al collo, almeno stai zitto.
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com
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