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Politica

L’ORRORE, ARMA SPUNTATA

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Le efferatezze pubblicitarie degli aderenti allo Stato Islamico (Is) non si contano più. Quei fanatici imperversano nella regione in cui si sono impadroniti del potere e compiono attentati sanguinosi dovunque possano. L’ultima è di ieri mattina, in Yemen. Cinque attentatori suicidi, approfittando della folla riunita per pregare, hanno provocato delle esplosioni in alcune moschee, arrivando ad uccidere, a quanto si sa sino ad ora, centotrenta persone. Inoltre ne hanno anche ferito circa trecento. Lo Yemen è tutto musulmano, e il fanatismo religioso ne ha fatto una sede di estremisti. Ma alcuni musulmani non sono quelli giusti: sono sciiti e non sunniti, e tanto basta per condannarli a morte in massa.

Non val la pena di commentare questo ennesimo massacro. In fondo è come se non ci fosse nulla di nuovo. Dall’undici settembre del 2001 sappiamo che l’animale uomo è spesso fra i più stupidi e crudeli del mondo. Se ci fosse un’Onu dei mammiferi, scimmie e cavalli ci guarderebbero come criminali. Dopo lo scoramento e quasi l’umiliazione, nel sentirci umani come queste belve, non bastando né il dolore né le esecrazioni, rimane da riflettere sul senso che potrebbe avere tutto questo orrore. E sul suo possibile effetto finale.

Lo Stato Islamico tenta di farsi quanti più nemici è possibile. Uccide in modo spettacolare degli occidentali, sapendo quanto le folle dei Paesi civili siano sensibili alla crudeltà e all’orrore. Affronta militarmente, se appena può, anche Stati di antica tradizione, come la Siria. Si mostra spietato con le popolazioni dei territori conquistati. È capace di far morire centinaia di musulmani, solo perché sciiti invece che sunniti e fra l’altro si inimica così la seconda potenza regionale dopo la Turchia: l’Iran sciita. La lista è infinita. Perfino quando un attentato è commesso lontano dal Medio Oriente, e forse per un’iniziativa locale, l’Is si affretta a rivendicare il fatto, perché spera d’intitolarsi qualunque disastro, qualunque crudeltà, qualunque massacro. Vorrebbe divenire lo spettro del mondo e vorrebbe che ogni male suoni a gloria della sua potenza.

È un piano spaventoso e demenziale ma non immune da errori. Non è mai convenuto a nessuno farsi troppi nemici. Come dice un bel proverbio tedesco, troppe lepri sono la morte del cane. Alla lunga, se i molti si sentono provocati, se veramente le folle di tanti Paesi cominciano ad essere esasperate, si può innescare una reazione inevitabilmente vincente. Napoleone non si rese autore di particolari orrori, ed anzi le armate francesi cercarono di convincere tutti i popoli che venivano a portare il verbo della Rivoluzione; e tuttavia, alla lunga, le coalizioni, pure comandate da generali tanti nobili quanto incompetenti, alla fine lo sconfissero definitivamente. Napoleone sarà stato il più grande condottiero dei tempi moderni, ma le lepri erano troppe.

Il secondo errore che commette lo Stato Islamico è quello di scambiare per potenza il clamore mediatico dell’indignazione universale. Nei primi tempi della pubblicità si usava dire “parlate male di me purché parliate di me”; oggi nessun competente direbbe una cosa del genere. Il principio universalmente accettato è che se una buona pubblicità fa vendere bene anche un prodotto di qualità media, affossa presto e definitivamente un prodotto cattivo. La pubblicità induce colui che l’ha provato a raccomandare agli amici di guardarsene: e la sua parola vale molto più di quella gorgheggiata in televisione.

Molti anni fa si fece notare a Stalin la disapprovazione del pontefice e lui chiese quanti carri armati avesse il papa. Applicando questo schema allo Stato Islamico, gli si potrebbe chiedere a che sarà servito avere ottenuto tanti titoli di giornale il giorno in cui comparissero all’orizzonte dei veri eserciti. Per spazzare via questo set di film horror non è necessario che il mondo intero insorga in armi: ammesso che nessun altro intervenisse, dello Stato islamico Israele farebbe un solo boccone. La guerra non si combatte più con le fionde e i Paesi musulmani non sono famosi per il livello della loro tecnologia. E neanche per il loro valore guerriero, se si eccettua la Turchia.

A conti fatti, non si vede dove voglia andare a parare, questo Stato Islamico. Già la sua spinta propulsiva sembra essersi fermata. Dunque forse già da questo momento sta sulla difensiva, sperando che la sua esistenza dia fastidio soltanto alla Siria e all’Iraq, e che riesca a conservare quanto già ha. Ma se continua a tirare la corda, un giorno potrebbe accorgersi che quella corda era la coda di un leone, e imparare quanto conta la vera forza. La forza militare, non quella dei coltelli di coloro che sgozzano degli inermi.

Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it

21 marzo 2015.


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