Economia
L’Oro d’Italia ovvero “La storia del paesello, dei suoi cittadini, del loro tesoro, e delle menzogne, che a forza di venir ripetute, sostituirono la realtà”
(Di Mirella Ramonda)
C’era una vota un paesello situato in una zona bisognosa di essere irrigata.
I suoi abitanti decisero, di comune accordo, di mettere a disposizione della comunità, un terreno e di costruirci un bel pozzo, con il lavoro ed i contributo anche economico di tutti i cittadini.
In questo modo la comunità tutta si arricchì di un nuovo tesoro.
I cittadini ben sapevano che il pozzo rappresentava un Bene Comune, perché avevano visto e partecipato con i loro sacrifici alla sua costruzione.
Passò il tempo, nel paesello i vecchi morirono, nacquero nuovi bambini, arrivarono cittadini da alti paesi.
Ed arrivò anche una famiglia di approfittatori, lungimiranti, i cui membri incominciarono a spargere la voce che il terreno era di proprietà dei loro antenati e che quindi anche il pozzo apparteneva esclusivamente a loro.
Iniziarono sommessamente.
Gli anziani cittadini sapevano bene che si trattava di una menzogna e ne contestavano verbalmente le pretese. Ma i giovani e i nuovi abitanti, giorno dopo giorno, parola dopo parola, iniziarono a crederci.
Passarono anni, decenni, la famiglia di approfittatori continuò a sostenere con costanza la menzogna.
A forza di ripeterla con pazienza nel tempo, senza più che si sollevassero le giuste proteste, la menzogna si confuse con la realtà, e la cancellò.
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La famiglia di approfittatori lungimiranti e pazienti, oggi, nel silenzio generale, pretende un compenso da chiunque attinga acqua al pozzo.
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Gli italiani chiamati al voto sono 51.299.871
italiani chiamati al voto sono 51.299.871
1 gennaio 2019
E’ iniziata UFFICIALMENTE la lotta di resistenza per impedire all’‘ UE di sottrarci l‘ ORO DELL’ ITALIA (in realtà ci stanno provando già da tempo)
Il tema dell’oro della Banca d’Italia è tornato di attualità dopo che il presidente della Commissione Bilancio della Camera, Claudio Borghi, ha depositato qualche mese fa un progetto di legge che punta a chiarire con una norma, che l’oro conservato da Banca d’Italia appartiene allo Stato italiano.
PROGETTO DI LEGGE
Articolo 1 XVIII LEGISLATURA CAMERA DEI DEPUTATI N. 1064
PROPOSTA DI LEGGE d’iniziativa dei deputati
CLAUDIO BORGHI, MOLINARI, BAZZARO, BELLACHIOMA, BELOTTI, BIANCHI, BINELLI, BISA, BOLDI, BONIARDI, BORDONALI, BUBISUTTI, CAFFARATTO, CAPARVI, CAPITANIO, VANESSA CATTOI, CAVANDOLI, CECCHETTI, CENTEMERO, CESTARI, COIN, COLLA, COLMELLERE, COMAROLI, COMENCINI, COVOLO, ANDREA CRIPPA, DARA, DE ANGELIS, DE MARTINI, DI MURO, DONINA, FANTUZ, FERRARI, FOGLIANI, FOSCOLO, FRASSINI, FURGIUELE, GASTALDI, GIACOMETTI, GIGLIO VIGNA, GOBBATO, GOLINELLI, GUSMEROLI, IEZZI, INVERNIZZI, LAZZARINI, LEGNAIOLI, LOCATELLI, LOLINI, EVA LORENZONI, LUCCHINI, MACCANTI, MAGGIONI, MARCHETTI, MATURI, MOSCHIONI, MURELLI, ALESSANDRO PAGANO, PANIZZUT, PATELLI, PATERNOSTER, POTENTI, PRETTO, RACCHELLA, RIBOLLA, SASSO, SEGNANA, STEFANI, TATEO, TOCCALINI, TOMASI, TOMBOLATO, TONELLI, TURRI, VALLOTTO, ZANOTELLI, ZICCHIERI, ZORDAN
Interpretazione autentica dell’articolo 4 del testo unico delle norme di legge in materia valutaria, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1988, n. 148, in materia di gestione delle riserve ufficialiPresentata il 6 agosto 2018 Onorevoli Colleghi! — Il tema della proprietà delle riserve auree nazionali, sebbene inconfutabile nel cuore di ogni cittadino italiano, è carsicamente apparso nella discussione parlamentare come un tema di dibattito, specie dopo l’avvento del sistema bancario europeo e lo stratificarsi della normativa che, unitamente all’intenso dibattito dottrinale, ha finito col rendere la Banca d’Italia un ircocervo giuridico.
Ciò che è indubitabile è la proprietà dell’oro che era ed è dello Stato italiano.
La Banca d’Italia è il quarto detentore di riserve auree al mondo, dopo la Federal Reserve statunitense, la Bundesbank tedesca e il Fondo monetario internazionale. Il quantitativo totale di oro detenuto dall’istituto, a seguito del conferimento di 141 tonnellate alla Banca centrale europea (BCE), è pari a 2.452 tonnellate (metriche); esso è costituito prevalentemente da lingotti (95.493) e, per una parte minore, da monete.
L’oro dell’istituto è custodito prevalentemente nei caveaux della Banca d’Italia e in parte all’estero, presso alcune banche centrali.
Visto il diffuso dibattito circa l’asserita presenza di un vulnus normativo, se non addirittura una vera e propria errata interpretazione, si rende necessario riportare l’esegesi della normativa nazionale, in conformità con quella euro-unitaria, in una situazione di certezza e chiarezza.Il quadro normativo nazionale. Il quadro normativo nazionale sul tema è da recuperarsi principalmente e prioritariamente nel testo unico delle norme in materia valutaria, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1988, n. 148, emanato su delega conferita dal Parlamento con la legge 26 settembre 1986, n. 599.
L’articolo 4 del testo unico, recante «Soggetti abilitati ad effettuare operazioni valutarie e in cambi», è stato oggetto di modifica attraverso l’articolo 7 del decreto legislativo 10 marzo 1998, n. 43, «Adeguamento dell’ordinamento nazionale alle disposizioni del trattato istitutivo della Comunità europea in materia di politica monetaria e di Sistema europeo delle banche centrali», che, in particolare, ha interamente sostituito il secondo comma, trasferendo le attribuzioni sulla gestione delle riserve ufficiali in valute estere dall’Ufficio italiano dei cambi (UIC) alla Banca d’Italia, nonché armonizzando la disciplina domestica a quella euro-comunitaria (e poi euro-unitaria).Il quadro normativo euro-comunitario. Tralasciando il trasferimento di competenze dall’UIC alla Banca d’Italia, questione per lo più domestica, l’aggiunta della novella «nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 31 dello statuto del Sistema europeo di banche centrali e della Banca centrale europea» pone un tema di armonizzazione nei confronti delle attività di riserva in valuta estera detenuta dalle banche centrali nazionali del Sistema europeo di banche centrali (SEBC), stabilendo che, ultimato l’adempimento di cui all’articolo 30 dello statuto del SEBC (necessario ai fini della costituzione delle riserve, anche auree, della BCE), le ulteriori «attività di riserva in valuta estera detenute della Banche centrali nazionali» siano disciplinate anche da questo articolo.
È infatti l’articolo 127, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea a stabilire che tra i compiti da assolvere tramite il SEBC vi siano la detenzione e la gestione delle riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri.
L’articolato euro-comunitario ribadisce la detenzione, sia esplicitamente nel titolo dell’articolo 31, sia nella disposizione dell’articolo 31.2 che fa riferimento alle «attività di riserva in valuta che restano alle banche centrali nazionali dopo i trasferimenti», con ciò evidenziando nessuna supponibile ingerenza del diritto euro-comunitario circa la proprietà e il titolo in forza del quale le banche centrali nazionali detengono tali riserve, ivi comprese quelle auree, lasciando così sul campo del diritto domestico la determinazione della questione.L’intervento di interpretazione autentica. La presente proposta di legge vuole assicurare chiarezza interpretativa poiché la Banca d’Italia, secondo quanto dispone l’articolo 4, secondo comma, del testo unico, «provvede in ordine alla gestione delle riserve ufficiali, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 31 dello statuto del Sistema europeo di banche centrali e della Banca centrale europea».
Fermo restando, dunque, il rispetto degli obblighi internazionali derivanti da trattati, la disposizione relativa all’attività di gestione non appare sufficientemente esplicita nel sottolineare la permanenza della proprietà delle riserve auree allo Stato italiano e una specificazione su questo punto si rende necessaria, vista la natura ibrida assunta dalla Banca d’Italia nel corso degli anni, in conseguenza dei numerosi interventi legislativi stratificatisi.PROPOSTA DI LEGGEArt. 1. 1. Il secondo comma dell’articolo 4 del testo unico delle norme di legge in materia valutaria, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1988, n. 148, si interpreta nel senso che la Banca d’Italia gestisce e detiene, ad esclusivo titolo di deposito, le riserve auree, rimanendo impregiudicato il diritto di proprietà dello Stato italiano su dette riserve, comprese quelle detenute all’estero.
Camera dei deputati 2015-2018 © Tutti i diritti riservati
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Quella delle riserve d’oro italiane è questione dalle proporzioni immense, anche se ignorata dai più .
La proposta di legge di Claudio Borghi è suonata come un campanello di allarme per possibili cacciatori di oro, perché hanno capito che il loro operato non è più nell’ombra. E’ stato acceso un faro su di loro, tutti possono conoscerne le “reali”intenzioni.
E la Banca d’Italia, si sussurra, pare abbia iniziato con il sensibilizzare parlamentari (magari del Partito democratico) componenti della commissione finanze incaricata dell’esame preliminare del progetto di legge, che hanno sostenuto che la proposta di Borghi è «inopportuna». Naturalmente ci aspettiamo che siano in grado di supportare le loro convinzioni con argomentazioni serie.
Il direttore generale della Banca d’Italia Salvatore Rossi, intervenendo a una trasmissione televisiva, ha detto che “sull’aspetto giuridico di chi sia la proprietà legale dell’oro si pronuncerà la Bce a cui abbiamo ceduto la sovranità quando è stato creato l’euro”.
Le sue incredibili parole sono di tale gravità da lasciare senza fiato.
Un dirigente del suo livello non può ignorare quanto previsto nella nostra Costituzione, e cioè l’espresso divieto di ogni cessione di sovranità, consentendo soltanto «limitazioni» alla stessa, in condizioni di «parità con gli altri Stati» ed esclusivamente per finalità «necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra i popoli» (articolo 11 della Costituzione).
Si può pensare che sia stato mal informato? O forse gli è stato riferito che qualcuno ha “ceduto” più di 2.400 tonnellate di oro (circa 80 MILIARDI di euro) alla BCE, senza darne notizia e/o chiedere l’autorizzazione al Popolo Italiano, cioè al legittimo proprietario? In tal caso non sarebbe d’obbligo fornircene il nominativo?
A questo punto sorge spontanea una domanda.
Mettiamo che la suddetta dichiarazione fosse uscita dalla bocca di un dirigente della Bundesbank, durante una qualunque trasmissione televisiva tedesca. Se il tal dirigente avesse detto che la proprietà di circa 3.400 tonnellate di oro non è della Germania, come avrebbero reagito i tedeschi? E come avrebbero reagito i gilet gialli francesi se gli fosse stato comunicato che forse forse non hanno diritti sul loro oro? E lo stesso vale per tutti i cittadini dei vari stati d’Europa.
Gli italiani aventi diritto al voto sono 51.299.871 . E se venissero ben informati degli intenti di alcuni soggetti, se esprimessero il loro parere, se alzassero la loro voce a tutela dei loro diritti, cosa accadrebbe?
Non è solo nostro diritto, ma innanzitutto nostro sacro dovere (come previsto dalla nostra Prima Legge) lanciare una campagna civile morale, patriottica oltre che politica, a tutela di ciò che ci appartiene, frutto del sudore di milioni di italiani.
Evitiamo di dimenticarci di quella famiglia di approfittatori lungimiranti e pazienti, che oggi, a causa del passato silenzio generale, pretende un compenso da chiunque attinga acqua al pozzo e facciamo rumore, baccano, strepito quanto serve.
E’ nostro dovere.
Mirella Ramonda
Allegati di approfondimento
Allego un articolo tratto dal quotidiano “l’Italiano” a firma Torquato Cardilli, a mio parere esplicativo, utile a rispolverare la memoria, sugli eventi relativi alla Banca d’Italia.
L’oro è degli italiani
TORQUATO CARDILLI – Come è possibile che l’Italia sia in condizioni disastrose quando è al quarto posto nel mondo per quantità d’oro dopo USA, Fondo Monetario Internazionale e Germania? Il fatto è che oro e valute per 128 miliardi e 480 milioni di euro sono nelle mani della Banca d’Italia, istituto pubblico ma di proprietà privata
IL REGALO DI 7 MILIARDI E MEZZO ALLE BANCHE PRIVATE
II popolo italiano ha assistito attonito alla vergognosa approvazione da parte della maggioranza di poltronisti, della conversione in legge del decreto del Governo Letta sul regalo di 7 miliardi e mezzo di euro alle banche private, camuffato con i panni della cancellazione dell’IMU 2013. Il tutto grazie alla procedura, che non esiste nel regolamento della Camera, usata per la prima volta in assoluto in 72 di storia repubblicana, della cosiddetta ghigliottina dei diritti dell’opposizione da parte della zarina di Montecitorio.
Ripetiamo ancora una volta i tre punti essenziali di questa incredibile beneficenza ai soliti banchieri:
– il capitale viene rivalutato dagli attuali 156mila euro (300 milioni di lire versati nel 1936) a 7,5 miliardi di euro, sicché le 300 mila quote possedute dalle banche private passano da un valore di 0,52 euro a 25 mila euro ciascuna. Su questa plusvalenza dovrà essere pagata allo Stato un’imposta del 12%, prevista dalla legge di stabilità. Ed è questo lo zuccherino fatto balenare agli ignari e incompetenti parlamentari dal Governo e dai banchieri (vi dicono nulla le collusioni con la politica delle fondazioni bancarie dal Monte dei Paschi al San Paolo?) ben felici di pagare questa tassa su un regalo così munifico da vincita stratosferica al casinò.
– Nessun socio potrà detenere più del 3% del capitale. Dunque le banche (Intesa San Paolo, Unicredit e Assicurazioni Generali, che da sole oggi possiedono il 60% del capitale), dovranno mettere sul mercato (ovviamente al prezzo di 25.000 euro o superiore per ciascuna quota) le eccedenze, guadagnandoci subito vari miliardi in contanti. Chi non sarebbe felice di poter rivendere ad un prezzo così alto un pezzo di carta che fino a ieri valeva quanto un rotolone regina?
– Siccome in questa situazione di crisi e di incertezza scarseggiano i capitali, la Banca d’Italia potrà riacquistare, temporaneamente, le quote poste in vendita attingendo alle proprie riserve che sono denari pubblici per rinsanguare i bilanci delle banche in malora per la pessima gestione. Tradotto in soldoni è come se il decreto avesse stabilito di regalare direttamente alle banche private i miliardi attinti dalle riserve con un’operazione che ha il gusto amaro della beffa per le imprese creditrici di 80 miliardi di euro da parte della pubblica amministrazione e per tante piccole aziende e famiglie che non riescono ad ottenere crediti.
LA BANCA D’ITALIA SOTTO IL CONTROLLO DEI PRIVATI
Ma come è che la Banca d’Italia è passata sotto il controllo dei privati? L’inizio dell’ondata delle privatizzazioni italiane risale al 1992. Da allora, in circa 10 anni, sono state privatizzate aziende statali per un valore di oltre 220.000 miliardi di lire (liquidazione dell’IRI, e vendita delle grandi società pubbliche quali Telecom, ENEL e ENI (in parte) e praticamente tutte le banche precedentemente controllate dallo Stato. Se nel 1991, le banche pubbliche rappresentavano il 73% del totale delle banche italiane, alle soglie del 2000 allo Stato erano rimaste soltanto piccole quote di minoranza a una cifra in banche di importanza marginale.
Governo e Parlamento decisero di privatizzare, ma sul come e sul quando fu lasciata la più ampia libertà al Direttore Generale del Tesoro Draghi che (mantenendo quell’incarico sotto 6 diversi ministri del Tesoro) ebbe modo di pilotare direttamente la maggior parte delle privatizzazioni, lasciando ai ministri il compito formale di apporre la firma sotto ogni singolo decreto di privatizzazione. Il suo fu un potere forte, privo di ogni legittimazione democratica, al di sopra di ogni controllo di merito e di metodo delle scelte adottate, e soprattutto sottratto alla doverosa trasparenza eall’ informazione del maggior azionista dello Stato che è il popolo.
L’opinione pubblica fu tenuta volutamente all’oscuro del significato della privatizzazione delle banche pubbliche che erano dal 1936 partecipanti al capitale della Banca d’Italia, il cui Statuto disciplinava con assoluta chiarezza che la Banca era un Istituto di diritto pubblico e che le sue quote potevano essere possedute solo da Casse di Risparmio emanazione di Istituzioni pubbliche locali, da Istituti di credito di diritto pubblico, da Istituti di previdenza pubblici, e da Istituti di assicurazione. Insomma non c’erano assolutamente dubbi sul carattere pubblico della Banca d’Italia, sia per le funzioni svolte che per la natura dei suoi soci partecipanti.
All’atto della privatizzazione delle banche, secondo logica e secondo diritto, si sarebbe dovuto chiarire che erano escluse dalla privatizzazione le quote di partecipazione alla Banca d’Italia. Ciò non fu fatto.
La legge sul risparmio 262 del 28.12.2005 pur nell’esigenza di sanare l’evidente stortura derivante dalle privatizzazioni sulla titolarità del capitale e del patrimonio della Banca d’Italia, demandò la definizione dell’assetto proprietario e le modalità di trasferimento allo Stato ad un regolamento da emanarsi entro tre anni. Anche in questo caso il cosiddetto principio della stabilità, tanto invocato ai nostri giorni, che sa solo di immobilismo, ebbe il sopravvento e non si diede seguito operativo alla regolamentazione. Dov’erano il Governo, il Parlamento, il Presidente della Repubblica, il CNEL, la Corte dei Conti? Questa mancata definizione fu per dolo o per semplice insipienza a favore dei nuovi soci privati che reclamano con le quote della Banca d’Italia anche i diritti di proprietà sul suo capitale e sul suo patrimonio (immobili, preziose collezioni d’arte, comprese le antiche raccolte numismatiche auree donate allo Stato da Re Vittorio Emanuele III)?. Non lo sapremo mai perché il Governo non ha interesse a svelare le connivenze che ci sono state tra politica e finanza, tra amministrazione pubblica e speculatori, tra Fondazioni bancarie e organi dello Stato.
Dunque di fronte all’opinione pubblica sempre più sconcertata appaiono evidenti due punti fermi: la qualità di Istituzione pubblica della Banca d’Italia che non è discutibile e l’ignavia dei principali attori politici, incluso il Direttorio della Banca, che da controllore si era trasformato in controllato che hanno mancato di adempiere alla legge 262.
E quale il destino delle riserve non menzionate fino ad ora?
LE RISERVE D’ORO
Secondo quanto pubblicato dal sito ufficiale della Banca d’Italia al 31.12.2011 le riserve (che sono proprietà del popolo italiano) erano costituite da:
Oro e monete, per 95.924 milioni;
Dollari americani, per 18.970 milioni;
Sterline inglesi, per 3.506 milioni;
Yen giapponesi per 5.380 milioni;
Franchi svizzeri per 275 milioni;
Altre valute per 4 milioni
DSP (Diritti Speciali di Prelievo verso il FMI) per 4.421 milioni
Totale 128.480 milioni cioè 128 miliardi e 480 milioni di euro.
Questo monte riserve, secondo dati ufficiosi, sarebbe ora salito a 136 miliardi di euro, ma facciamo finta, per non avanzare argomentazioni basate solo su ipotesi e congetture, che le riserve siano tuttora quelle sopra riportate.
Sul sito della Banca d’Italia si legge che l’Istituto gestisce le riserve nazionali, in valuta e in oro, destinate a far fronte alle richieste di conferimento di capitali della BCE al verificarsi di determinate condizioni, a consentire il servizio del debito in valuta del Tesoro, ad adempiere agli impegni verso organismi finanziari internazionali, come il Fondo Monetario Internazionale e a sostenere ed alimentare la credibilità del sistema europeo delle banche centrali essendo l’Italia parte integrante dell’eurosistema. Ovvio che queste sono funzioni integralmente pubbliche e che le stesse riserve sono dello Stato e non possono mai essere considerate private.
Il grosso delle riserve è costituito da lingotti (2.451,1 tonnellate per 110 miliardi) che pongono l’Italia al quarto posto nel mondo per quantità d’oro dopo gli Stati Uniti, il Fondo Monetario Internazionale e la Germania e francamente non si capisce perché una nazione così dotata versi nelle disastrose condizioni attuali.
L’oro accumulato nel tempo con i risparmi ha subito varie vicissitudini come quello della rapina, come bottino di guerra, da parte dei tedeschi che, dopo l’8 settembre 1943, ne prelevarono dai sotterranei della Banca d’Italia 191 tonnellate. Finita la guerra una piccola parte dell’oro ci fu consegnata dagli americani e dagli inglesi che avevano scoperto alcuni mini depositi tedeschi ai confini con l’Austria e solo due terzi del totale ci furono restituiti dalla Germania (con lingotti che recano ancora impressi i marchi della svastica nazista), in un arco di tempo di venti anni, dopo interminabili negoziati.
Tutto questo oro è custodito in parte nei sotterranei della Banca d’Italia e in parte nei forzieri delle banche centrali di vari paesi (un terzo nei sotterranei della Federal Reserve a New York, nei depositi della Bank of England a Londra, in quelli svizzeri della Banca dei regolamenti internazionali di Losanna e in quelli di Francoforte della BCE).
Nel 2009, il ministro dell’economia Tremonti, conscio della gravità della situazione finanziaria dell’Italia, tenuta accuratamente nascosta al pubblico ed anzi costantemente negata, era disperatamente alla ricerca di nuove risorse e pensò di tassare “una tantum” le grandi plusvalenze che la Banca d’Italia aveva realizzato sulle riserve auree, il cui prezzo era cresciuto del 100%. Il Presidente della BCE Trichet gli diede quasi del pazzo ammonendolo che l’oro non era della Banca d’Italia, ma del popolo italiano, cioè dello Stato e che sarebbe stato assurdo se lo Stato avesse voluto tassare se stesso.
Allo stesso modo si espresse Draghi, allora governatore della Banca d’Italia, che precisò che le riserve auree appartenevano agli italiani e non a palazzo Kock.
E pochi mesi fa la Consob, l’ente di vigilanza sui mercati, ha ipotizzato che per cercare di abbattere il debito pubblico e quindi per favorire l’allentamento fiscale con il minor esborso di interessi sul debito stesso “si potevano usare senza problemi le riserve auree della Banca d’Italia, che può liberamente disporre di tutti i beni mobili e immobili, senza chiedere permessi, nei limiti in cui tali atti di disposizione non incidano sulla capacità di poter trasferire alla BCE le attività di riserva eventualmente richieste”.
Qualche bello spirito della maggioranza, duramente criticata per la rivalutazione delle quote della Banca d’Italia, ha ora argomentato che con la rivalutazione non è stato fatto nessun regalo alle banche private perché queste erano già proprietarie della Banca d’Italia e quindi anche dei suoi averi. Chiaro ballon d’essai per cercare di allungare gli artigli anche sulle riserve. Sarebbe bello se i vari talk show televisivi anziché rifilare al popolo le solite insulsaggini potessero sfidare i difensori di tali tesi a sostenere un’idiozia del genere di fronte all’opinione pubblica che è inferocita, ed ora informata solo grazie al ruolo delle opposizioni.
A CHI APPARTIENE L’ORO DELLA BANCA D’ITALIA?
Occorrerebbe che i signori deputati che hanno autorizzato la spoliazione della Banca d’Italia a vantaggio delle banche private si pongano la domanda “a chi appartiene l’oro della Banca d’Italia”? Qualunque cittadino risponderebbe senza esitazione che quell’oro appartiene allo Stato, cioè agli italiani, e che la Banca d’Italia lo ha solo in custodia e gestione. E’ arrivato il momento che Governo e Parlamento, dopo aver regalato in fretta 7 miliardi e mezzo di euro alle banche, chiariscano subito, nero su bianco, una volta per tutte, che le riserve auree sono degli italiani e restano intoccabili se non per fini di utilità generale.
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