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Economia

L’’oro d’Italia è “del popolo”: perché una mezza frase fa tremare i tecnocrati europei (e la Reichlin)

Perché mezza frase sulla proprietà delle riserve auree ha scatenato il panico a Bruxelles? La verità sul doppio standard europeo e su come 2.400 tonnellate d’oro garantiscono la nostra sovranità.

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Sembrava una frase innocua, quasi scontata, inserita tra le pieghe della legge di bilancio 2026: le riserve auree custodite dalla Banca d’Italia “appartengono al popolo italiano” e non genericamente allo “Stato”. Un’affermazione di principio, lapalissiana per chi crede nella sovranità democratica, ma che ha scatenato un vero e proprio panico nei corridoi di Bruxelles e Francoforte.

Perché tanto rumore per nulla? O forse il nulla non è così vuoto? Lucrezia Reichlin, voce autorevole dell’establishment ed espressione di quel potere europeo che mal tollera le deviazioni dai trattati, lo ha scritto chiaramente su Project Syndicate: il governo Meloni, proclamando la proprietà popolare dell’oro, sta essenzialmente evidenziando il suo piano di emergenza per una grande crisi. E in un momento in cui la fiducia nelle istituzioni europee vacilla, il fatto che qualcuno abbia un Piano B, fa paura a tutti gli altri.Perché volendo l’Italia non è condannata ad andare a fondo.

La gabbia giuridica e la chiave politica

Dal punto di vista strettamente legale, l’emendamento potrebbe apparire privo di significato pratico immediato. La proprietà e la governance delle riserve auree sono blindate nei bilanci delle banche centrali, ormai perfettamente integrate nel Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC). I trattati europei e lo statuto del SEBC garantiscono l’indipendenza operativa e vietano ai governi nazionali di allungare le mani sulle riserve per finanziare la spesa pubblica o abbattere il debito. Senza il consenso della BCE — che non arriverebbe mai — quell’oro è intoccabile (almeno in apparenza, ma ne parleremo in seguito).

Tuttavia, in economia e in politica, i simboli pesano quanto i lingotti. Dichiarare che l’oro è “del popolo” invia un messaggio potente agli elettori e ai mercati: l’Unione Europea non ci possiede e l’interesse nazionale viene prima. È un segnale che risuona forte in un Paese che ha sempre romanticizzato le sue riserve (le terze al mondo, pari a 2.452 tonnellate) come l’ultimo baluardo di sovranità.

La “Sacrestia dell’oro”, il deposito sotterraneo della Banca d’Italia dove è conservato l’oro nazionale

Il Piano B che non si può nominare

Il cuore della questione, quello che fa sudare freddo i custodi dell’ortodossia euroatlantica, è ben riassunto dalla stessa Reichlin. Riportiamo integralmente il passaggio chiave, tradotto per voi, che svela il timore recondito delle istituzioni:

“Finché l’Italia è membro dell’Eurozona, questa fantasia si scontrerà con la realtà operativa. Ogni volta che i politici italiani hanno suggerito di usare l’oro per ridurre il debito o sostenere l’economia, si sono scontrati con i limiti basati sui trattati. Ma se l’Italia dovesse lasciare l’Eurozona, sia per conto proprio che nel contesto di una frammentazione più ampia, le riserve auree del Paese ancorerebbero una nuova valuta nazionale, servirebbero come garanzia per stabilizzare i mercati finanziari e diventerebbero un simbolo di sovranità economica ripristinata.”

Ecco il punto: 2.420 tonnellate d’oro sarebbero sufficienti a dare fiducia immediata a una nuova valuta. È la polizza assicurativa contro l’apocalisse finanziaria o, per meglio dire, lo strumento che renderebbe tecnicamente fattibile ciò che politicamente viene dipinto come impossibile.

Perché ora? Tre ipotesi sul tavolo

Perché il governo ha deciso di lanciare questo sasso nello stagno proprio adesso, secondo la Reichlin? Lei individua  tre ragioni tattiche:

  • Manovra di politica interna: Con le tensioni sui conti pubblici e le nuove regole del Patto di Stabilità, un richiamo alla sovranità è un modo a costo zero per compattare il fronte interno e rassicurare l’elettorato più scettico verso Bruxelles.

  • Messaggio negoziale: L’Italia ricorda all’UE che è “too big to fail” e che possiede asset reali enormi. In un sistema basato sulla fiducia reciproca, ricordare che si hanno le chiavi della cassaforte è una forma di contrattazione.

  • Copertura geopolitica: In un mondo che cambia rapidamente, con l’amministrazione Trump che guarda con favore ai movimenti patriottici e con scetticismo all’UE burocratica, l’Italia si posiziona come un interlocutore che tutela il proprio interesse nazionale, allineandosi a una visione meno globalista.

Il doppio standard europeo: l’oro di Zapatero

C’è un ultimo aspetto che merita di essere sottolineato con una certa ironia. Ci dicono che l’oro è intoccabile, sacro, bloccato dai trattati. Eppure, la memoria corre al 2007, quando la Spagna decise di vendere una parte consistente delle sue riserve auree (si parla di circa il 32% del totale posseduto all’epoca).

L’oro non può essere venduto? A quanto pare dipende da chi governa. Nel 2007 a Madrid c’era la Spagna socialista di Zapatero. A lui era permesso vendere tutto, depauperando il patrimonio nazionale senza che da Francoforte si levasse un grido di dolore. Evidentemente, anche l’economia ha un colore politico: se sei un “progressista” europeista puoi vendere i gioielli di famiglia; se sei un conservatore sovranista, anche solo dire che i gioielli sono “del popolo” diventa un atto eversivo.

In conclusione, l’oro italiano resta dov’è, al sicuro nelle volte di Via Nazionale o nei depositi del FMI. Ma l’Europa farebbe male a sottovalutare la potenza delle narrazioni. Sapere che quel tesoro esiste, ed è “nostro”, cambia la percezione del rischio. E forse, è proprio questo che non ci perdonano.


Domande e risposte

Perché l’Europa teme che l’Italia definisca l’oro “del popolo”? L’Europa teme che questa definizione non sia solo retorica, ma prepari il terreno legale e psicologico per un “Piano B”. Se l’oro è del popolo e non vincolato ai trattati europei, potrebbe essere utilizzato teoricamente come collaterale o ancora di salvezza in caso di uscita dall’Eurozona. Sottolineare la proprietà nazionale indebolisce la narrazione dell’irreversibilità dell’Euro e mostra che l’Italia avrebbe le risorse reali (le terze riserve al mondo) per sostenere una propria moneta sovrana, scenario che terrorizza i mercati e le istituzioni UE.

È vero che l’Italia non può toccare le sue riserve auree? Attualmente, secondo i trattati europei e lo statuto del SEBC, la gestione delle riserve è di competenza del sistema delle banche centrali, che ne garantisce l’indipendenza dai governi. L’Italia non può “spendere” quell’oro per finanziare deficit. Tuttavia, la storia ci insegna che le regole vengono applicate o interpretate a seconda del contesto politico. L’esempio della Spagna di Zapatero dimostra che operazioni di vendita sono state permesse in passato, suggerendo che il divieto assoluto è più una questione di opportunità politica e di “permesso” concesso dall’alto che di impossibilità tecnica.

Cosa succederebbe alle riserve se l’Italia uscisse dall’Euro? In caso di Italexit o di frammentazione dell’Eurozona, le riserve auree tornerebbero ad essere il pilastro fondamentale della sovranità monetaria italiana. Come ammette anche la Reichlin, quelle 2.452 tonnellate d’oro servirebbero da garanzia (collaterale) per stabilizzare i mercati finanziari e darebbero immediata credibilità e valore a una nuova Lira. L’oro trasformerebbe un salto nel buio in un passaggio gestibile, fornendo una base solida di ricchezza reale a supporto della nuova valuta nazionale, rendendo l’Italia molto meno ricattabile dai mercati internazionali.

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