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Analisi e studi

L’ombra lunga della crisi energetica: un’analisi della stagnazione industriale europea

La produzione industriale europea sta affondando, trascinata verso il basso dalla crisi tedesca. Questo ovviamente viene a colpire la crescita economica . Bisogna invertire rotta

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L’Europa si trova in una fase di profonda incertezza economica e a una decadenza industriale che sembra non reversibile. Mentre il mondo tenta di lasciarsi alle spalle gli strascichi della pandemia Covid, ormai esaurita, il Vecchio Continente sembra impantanato in una palude di crescita stagnante e prospettive nebulose.

I dati sulla produzione industriale, raccolti e analizzati da Oxford Economics e Haver Analytics, e presentati da Daniel Kral dipingono un quadro preoccupante: la ripresa post-pandemica, già di per sé fragile, è stata bruscamente interrotta da una serie di shock esogeni, amplificati da scelte politiche miopi e da una cronica mancanza di lungimiranza che ormai sembra segnare il vecchio continente

Il grafico  soprastante, che illustra l’andamento della produzione industriale nell’Eurozona, nell’Eurozona esclusa l’Irlanda e in Germania dal 2018 al 2024, parla chiaro: dopo il crollo del 2020, causato dalle restrizioni imposte dalla pandemia, la ripresa è stata lenta e incerta, con livelli produttivi che faticano a tornare a quelli pre-crisi.

La Germania, motore economico dell’Europa, mostra una volatilità preoccupante, sintomo di una vulnerabilità strutturale che si ripercuote sull’intera area euro. Ormai non solo non tira più, ma la sua crisi sta avvelenando il resto dell’economia europea. 

L’Irlanda, con la sua economia dinamica e fortemente orientata all’export, si distingue per una performance migliore, trainata da settori high-tech meno colpiti dalla crisi, ma in realtà la sua posizione è legata non a un reale vantaggio competitivo, quanto soltanto a fattori di carattere fiscale.

Cosa si cela dietro questa debolezza industriale? La risposta, a mio avviso, va ricercata in una serie di errori strategici in materia di politica energetica, errori che hanno minato la competitività dell’industria europea e ne hanno compromesso la capacità di ripresa.

Prezzi energia in Germania, fonte Statista

Appare evidente come l’energia in Germania, pur non essendo ai livelli folli della crisi del 2021, comunque è raddoppiata rispetto ai prezzi del 2019, e questo è dovuto si alla fine delle forniture russe, ma anche alle politiche energetiche sbagliate. Un paese che si basa ancora molto su industrie energivore, come Chimica e Metalmeccanica, viene a deindustrializzarsi. 

La transizione energetica verso fonti rinnovabili, pur essendo un obiettivo condiviso, anche in modo talvolta illogico, è stata gestita in modo affrettato e ideologico, senza una adeguata pianificazione e senza considerare le reali esigenze del sistema produttivo. La chiusura degli impianti nucleari, in particolare in Germania, ha creato un vuoto di offerta energetica che è stato colmato da una maggiore dipendenza dalle importazioni di gas dalla Russia, esponendo l’Europa a un rischio geopolitico enorme.

La guerra in Ucraina ha drammaticamente svelato la fragilità di questo modello energetico. L’impennata dei prezzi del gas ha messo in ginocchio molte imprese energivore, costrette a ridurre la produzione o addirittura a chiudere i battenti. L’inflazione galoppante, alimentata dai costi energetici, ha eroso il potere d’acquisto dei consumatori, deprimendo la domanda interna.

In questo contesto di crisi energetica, la politica monetaria restrittiva della Banca Centrale Europea, volta a contenere l’inflazione, rischia di aggravare la situazione, soffocando la crescita e spingendo l’Eurozona verso la recessione. I tassi d’interesse reali attuali sono ancora attivi, e non di poco, a fronte di un’inflazione in calo. Le aziende e le famiglie bruciano vere risorse per finanziarsi, e questo porta a un calo dei consumi e degli investimenti.

Le conseguenze di questa tempesta perfetta si riflettono anche sul secondo grafico, che mostra la crescita del PIL reale nel terzo trimestre del 2024 rispetto al quarto trimestre del 2019. Mentre gli Stati Uniti, grazie alla loro maggiore indipendenza energetica e a politiche economiche più espansive, registrano una crescita robusta, l’Europa arranca, con performance molto eterogenee tra i diversi paesi.

La crescita del PIL è strettamente correlata allo sviluppo industriale. Come teorizzato dall’economista Nicholas Kaldor, esiste un circolo virtuoso tra crescita industriale e crescita economica: l’espansione del settore industriale stimola l’innovazione, aumenta la produttività e genera occupazione, alimentando la domanda aggregata e sostenendo la crescita del PIL.

Al contrario, la stagnazione industriale, come quella che stiamo osservando in Europa, rischia di innescare un circolo vizioso di declino economico, con conseguenze negative su occupazione, investimenti e benessere sociale.

Per uscire da questa impasse, l’Europa deve ripensare radicalmente la sua strategia energetica, puntando su un mix equilibrato di fonti rinnovabili, nucleare e gas naturale, diversificando le fonti di approvvigionamento e investendo massicciamente in efficienza energetica.

Una riforma del genere deve però portare a un ripensamento dei paradigmi che hanno regolato l’economia negli ultimi 10 anni, cioè quella di seguire politiche di decarbonizzazione senza se e senza ma, di una regolamentazione soffocante e della prevalenza della politica estera sull’economia. Avranno i politici europei il coraggio per intrapresndere questa strada?


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