Analisi e studi
LO STATO NON È UNA FAMIGLIA! (di Paolo BECCHI e Giuseppe PALMA)
Quando si perde la sovranità monetaria, inutile negarlo, si perde anche la libertà di poter fare determinate affermazioni soprattutto in materia di politica economica e monetaria. Per questo comprendiamo l’attuale strategia comunicativa del governo: toni bassi e parole accomodanti nei confronti dell’Europa. Del resto far alzare lo spread, se poi le leve del comando – quantomeno per il momento – stanno altrove, è da pazzi. Da qui il buon senso di Salvini che, nei giorni scorsi, ha tenuto nei confronti dell’Ue un approccio comunicativo più blando, per calmare le acque sui mercati agitati. Ci sta, ci sta meno invece il discorso che Presidente del Consiglio ha pronunciato sabato a Cernobbio, in occasione del Forum Ambrosetti.
In tema di politica economica per Conte varrebbe la “macroeconomia del buon padre di famiglia” . Lo Stato non è – e non potrà mai essere – un padre di famiglia. I motivi sono ovvi. Un padre deve far quadrare i conti e non indebitarsi, altrimenti impoverisce la sua famiglia, mentre lo Stato – dovendo garantire diritti e servizi pubblici essenziali – può non far quadrare i conti e spendere a deficit se questo è necessario per il bene dei cittadini. A dover fare pareggio di bilancio è dunque solo il buon padre di famiglia e non lo Stato.
Ma è poi vero, come ha sostenuto Conte, che i mercati vogliono essere garantiti dal fatto che lo Stato – alla scadenza – ripaghi capitale più interessi? Il debito pubblico, detto volgarmente e semplificando al massimo, è l’ammontare dei titoli che lo Stato colloca mensilmente sul mercato, più gli interessi. Ma, alla scadenza del titolo, lo Stato non ripaga il capitale, bensì solo gli interessi. Se alla scadenza l’investitore è interessato, lo Stato glielo rinnova (quindi zero esborso per il Tesoro, tranne gli interessi), se invece vuole tornare in possesso del capitale investito, lo Stato gli paga gli interessi e il capitale ma vende il titolo per lo stesso ammontare ad un altro investitore, con zero esborso in conto capitale. Tutto qui?
No, c’è dell’altro. Conte, per rassicurare gli imprenditori, ha detto che il suo governo non ha mai discusso l’uscita dell’Italia dalla Ue e dall’euro. Non c’era bisogno di sputtanare Savona sull’euro; ma è vero, su questo ha ragione, anche perché il “contratto di governo” non prevede nessuna delle due opzioni. Il contratto però, tra le altre cose, prevede non solo la ridiscussione dei parametri dei Trattati europei relativi al deficit, ma anche e in modo esplicito la revisione della governance economica europea (politica monetaria, Fiscal Compact, Mes etc…). Questo Conte non lo ha detto. Poco importa che non lo abbia ricordato a Cernobbio per ragioni tattiche, importante è che questo non venga dimenticato nell’ azione strategica del governo.
D’accordo, non ci sarà la tempesta perfetta in autunno, ma qualcosa del programma di politica economica del governo ( flat tax, reddito di cittadinanza, Fornero) gli italiani vorranno vederlo sotto l’albero di Natale. Con un deficit al di sotto del 3% “i padri di famiglia” penseranno soltanto di essere stati presi per il culo. La luna di miele non è destinata a durare in eterno.
di Paolo BECCHI e Giuseppe PALMA su Libero del 10 settembre 2018
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